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Le particelle elementari e il Modello standard

Senza pretese di strafare, oggi parliamo delle particelle elementari. L’altra volta abbiamo visto cosa sono le particelle e cosa significa che si comportano come onde. Non è necessario aver letto la scorsa newsletter per capire quello che vi dico oggi, ma non fa male. Magari può essere utile rileggere quella sulle quattro forze fondamentali.

Di cosa parliamo oggi
– il Modello standard
– i fermioni
– le particelle mediatrici delle forze
– il bosone di Higgs
– i limiti del Modello
– pillole della settimana

Il Modello standard
L’altra volta abbiamo visto che le particelle sono divisibili in due gruppi. Le particelle più semplici, che non possono essere scomposte in altre particelle e che sono i costituenti primi della materia, sono chiamate particelle elementari. I loro composti invece sono dette particelle non elementari.
La teoria fisica che descrive il comportamento delle particelle elementari e dei loro composti si chiama Modello standard. Le particelle studiate dal Modello standard interagiscono tra di loro attraverso le quattro forze fondamentali della natura: la forza elettromagnetica, la forza debole, la forza forte e la forza gravitazionale. Tuttavia il Modello standard include solo tre di queste forze, trascurando la forza gravitazionale. Mi era già capitato di dirvi che la forza gravitazionale è diversa dalle altre – è molto più debole, è descritta dalla Relatività Generale in maniera un po’ originale e non ne sappiamo molto. Proprio per questi motivi i fisici non sono ancora riusciti a costruire una teoria che inglobi tutte e quattro le forze. Il Modello standard, dimenticandosi della forza gravitazionale, non è quindi compatibile con la Relatività Generale di Einstein. È però coerente con la Relatività Speciale, la parte della Teoria di Einstein che non tira in ballo la gravità.

Le particelle elementari
Le particelle elementari si dividono in due grandi gruppi: i fermioni e i bosoni. Non è possibile capire perché c’è questa suddivisione senza conoscere un po’ di meccanica quantistica, quindi oggi non ve lo spiego. Per ora basta sapere una cosa: i fermioni, nel Modello standard, sono i veri e propri costituenti della materia, i mattoncini con cui si formano le particelle non elementari. I bosoni invece sono particelle un po’ particolari e funzionano più o meno come una colla. Ah, poi c’è il bosone di Higgs.

I fermioni
Per conoscere tutte le particelle elementari del Modello standard direi di partire a osservarle facendo una specie di zoom. Immaginiamo di prendere un atomo di elio, quel gas che se respirato fa venire una voce da cartone animato. Si studia a scuola che l’atomo di elio è composto di tre tipi di particelle: due protoni, con carica elettrica positiva, due neutroni, neutri, e due elettroni, con carica elettrica negativa. Queste tre particelle sono tutte fermioni, ma solo una di queste è una particella elementare: l’elettrone, che non può essere scomposto in particelle più piccole. I protoni e i neutroni invece sono particelle non elementari e sono composte da particelle più piccole chiamate quark. Il nome quark fu preso da un passo del romanzo Finnegans Wake di James Joyce, in cui la parola “quarks” è una fusione dell’espressione “question marks”, che significa “punti di domanda”. Il nome è tutt’ora evocativo perché non è possibile osservare dei quark isolati, ma è possibile studiarli solamente quando sono uniti a formare altre particelle. Un’altra curiosità è che ci sono sei tipi di quark, ognuno con delle proprietà fisiche diverse, con dei nomi esotici che i fisici chiamano sapori: up, down, charm, strange top e bottom. Tutti i quark sono fermioni e tutti i fermioni che non sono quark sono chiamati leptoni. L’elettrone, ad esempio, è una particella elementare, un fermione, ma non è un quark. È quindi un leptone.
Nel corso degli anni, facendo collidere tra loro delle particelle o studiando le reazioni nucleari, sono stati scoperti altri leptoni: i muoni, i tauoni e i neutrini.
I muoni furono scoperti negli anni ’30 studiando i raggi cosmici: alcune particelle, attraversando un campo magnetico, deviavano la propria traiettoria in maniera strana. Curvavano meno degli elettroni, ma più dei protoni. Si immaginò che queste nuove particelle avessero la stessa carica elettrica degli elettroni, ma una massa diversa. Il mesone ha infatti una massa 200 volte più grande di quella dell’elettrone.
I tauoni furono scoperti negli anni ’70 in maniera indiretta, studiando alcuni fenomeni anomali. A queste particelle venne assegnata la lettera greca tau – da cui il nome italiano tauone –  perché si trattava del terzo (τρίτον, in greco) leptone carico scoperto, dopo l’elettrone e il muone. Il tauone ha una massa 3500 volte più grande dell’elettrone.
I neutrini invece sono particelle molto particolari. Furono studiati negli anni ’30, ma scoperti solo a metà degli anni ’50. I neutrini non hanno carica elettrica e hanno una massa così piccola che per molto tempo si è sospettato che fossero senza massa. La massa del neutrino è circa 100 mila volte più piccola di quella dell’elettrone. A causa delle loro caratteristiche i neutrini sono molto difficili da rilevare: interagiscono poco con le altre particelle e, quando lo fanno, lo fanno molto debolmente. La scoperta che i neutrini hanno massa ha fatto guadagnare a Takaaki Kajita e ad Arthur B. McDonald il premio Nobel per la fisica 2016.

Le particelle mediatrici delle forze
Abbiamo detto che il Modello standard si occupa non solo di classificare le particelle, ma anche di spiegare come queste interagiscono tra loro tramite tre delle quattro forze fondamentali presenti in natura. Il Modello standard prevede che l’interazione tra i leptoni e tra i quark sia mediata dallo scambio di altre particelle, dette appunto particelle mediatrici delle forze. In parole povere, quando delle particelle interagiscono tra loro lo fanno scambiandosi delle particelle mediatrici. Le particelle mediatrici delle forze, chiamate in gergo tecnico bosoni di gauge, si occupano quindi di fare da tramite tra le altre particelle.
I bosoni di gauge sono appunto bosoni e sono di tre tipi. I fotoni – di cui abbiamo parlato nella scorsa newsletter – che sono responsabili della forza elettromagnetica. I gluoni, responsabili della forza nucleare forte e i bosoni W e Z, responsabili della forza nucleare debole.
Esiste poi un quarto tipo di bosone che è diventato in questi anni il più famoso: il bosone di Higgs.

Il bosone di Higgs
Il bosone di Higgs è una particella elementare che gioca un ruolo cruciale nel Modello standard. Attraverso un meccanismo particolare chiamato meccanismo di Higgs, si ritiene che sia il bosone di Higgs a conferire massa alle altre particelle.
Vedetela così: immaginate un campo pieno di neve e supponete di dover attraversarlo. Avete vari modi per attraversarlo: potete indossare degli scarponi, usare delle racchette da neve oppure degli sci. Chiaramente in base a cosa scegliete attraverserete il campo in modi diversi. Chi di voi prenderà gli scarponi sprofonderà nella neve, farà fatica a camminare e andrà molto lento. Chi indosserà le racchette sarà più agile, camminando senza sprofondare troppo nel campo di neve. Chi invece userà gli sci sfreccerà senza problemi sul manto nevoso. È proprio quello che succede alle particelle quando viaggiano nel campo di Higgs: alcune particelle sfrecceranno velocissime, senza interagire con il campo, come se indossassero gli sci. Sono le particelle senza massa – come ad esempio i fotoni, che viaggiano alla velocità della luce – o con una massa piccolissima – come ad esempio i neutrini, che viaggiano quasi alla velocità della luce. Altre particelle invece saranno più lente perché “sprofondano” nel campo di Higgs. Queste ultime sono le particelle con una grande massa, come ad esempio i muoni, i tauoni i protoni e i neutroni. Questo processo in cui il campo di Higgs rallenta alcune particelle – e non altre – dando loro della massa si chiama meccanismo di Higgs. In questa metafora il bosone di Higgs è il fiocco di neve, che fa interagire le particelle con il campo di Higgs.
Il bosone di Higgs è stato scoperto al CERN nel 2013. Stavolta il Nobel però è andato a Peter Higgs, che teorizzò l’esistenza di questa particella nel 1964.

I limiti del Modello standard
Nonostante i successi, il Modello standard – che viene continuamente utilizzato e confermato al CERN di Ginevra e in altri esperimenti – non è considerato una teoria completa.
Innanzitutto, come abbiamo detto, non è compatibile con la Relatività Generale perché non include la forza di gravità. In secondo luogo ha molti parametri liberi, che devono essere determinati per via sperimentale, ma che sono in qualche modo collegati tra loro: esiste quindi una relazione tra questi parametri non prevista dal Modello. Inoltre il modello standard non prevede che i neutrini abbiano una massa, ma ormai sappiamo che ce l’hanno.
Da molti anni i fisici stanno provando a superare queste difficoltà, ma non è un’impresa facile: le teorie sono molto complesse e la natura regala sempre fenomeni nuovi da tenere in considerazione.

Pillole della settimana
Alcune notizie di questi giorni, brevi.

Curiosity fa foto
Curiosity, la sonda NASA che si trova su Marte, ha scattato alcune foto ad alta definizione della sabbia marziana. Poi si è fatto un selfie. Trovate le nuove foto qui.

Il Falcon 9 è esploso, ancora
SpaceX è riuscito dopo cinque tentativi a mandare in orbita geostazionaria il satellite SES-9. Il lanciatore Falcon 9 ha poi provato ad atterrare su una chiatta nell’oceano, ma è esploso. Purtroppo il video è saltato durante l’impatto e non abbiamo immagini. Niente di preoccupante, comunque. Era un tentativo a bassa probabilità di successo e per il resto la missione è andata comunque molto bene.

Hubble ha fatto una vecchia foto
Il telescopio spaziale Hubble ha fotografato la galassia GN-z11, che si trova a 13,4 miliardi di anni luce da noi. GN-z11 è la più lontana galassia mai osservata e dunque è la più vecchia: la galassia non si presenta come è oggi, ma appare come era 13,4 miliardi di anni fa. Secondo le stime la vediamo così come appariva solo 400 milioni di anni dopo la nascita dell’universo. Trovate più informazioni qui.

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Aspetto le vostre opinioni a spacebreak [at] francescobussola.it
Se vi fa piacere potete far conoscere la newsletter a un amico inoltrandola o suggerendogli di iscriversi.

Per approfondire
– Il Modello standard, con delle infografiche
– Il video completo della missione SES-9 di SpaceX
– Un video in inglese sul Modello Standard
– Un’intervista a Peter Higgs, fatta nel 2012, in cui si racconta di come è nato il termine particella di dio

La Relatività Generale e le missioni su Marte, un giorno

Come promesso oggi parliamo della Relatività Generale, la parte della Teoria di Einstein che considera anche la gravità. La scorsa mail è stata corposa, oggi ci andiamo piano.
Se avete curiosità potete scrivermi a spacebreak [at] francescobussola.it

Di cosa parliamo
– la Teoria della Relatività Generale
– pillole della settimana

La Teoria della Relatività Generale
Come abbiamo visto la volta scorsa la Relatività Speciale è basata su poche buone idee:
1 – Le leggi fisiche sono le stesse per osservatori con velocità diverse;
2 – La velocità della luce nel vuoto è una costante, ed è uguale per ogni osservatore;
3 – Lo spazio e il tempo non sono più concetti distinti, ma sono fusi in un unico concetto chiamato spaziotempo;
4 – Non valgono più le leggi inventate da Galileo. Al loro posto ci sono delle nuove leggi, chiamate trasformazioni di Lorentz che “mescolano” lo spazio e il tempo.
Le conseguenze di queste idee sono interessanti e inaspettate:
– La misura delle distanze è relativa, ossia cambia in base alla velocità dell’osservatore;
– Anche la misura degli intervalli di tempo è relativa.
Questi due fenomeni, chiamati contrazione delle lunghezze e dilatazione del tempo, accadono veramente e sono stati ampiamente verificati dagli esperimenti.
Inoltre ci sono altre conseguenze, come ad esempio la famosa legge E=mc2 o il fatto che nessun corpo può raggiungere e superare la velocità della luce.
Per chi si è perso e per chi non c’era, qui c’è la newsletter della settimana scorsa.

Manca la gravità
Nella Relatività Speciale manca però un ingrediente, la gravità. Tutta la Teoria è infatti valida quando gli effetti della gravità sono trascurabili o non presenti: è quindi un modello, una semplificazione utile in alcuni casi, ma che non dice nulla a proposito della forza di gravità, che solitamente è descritta da Newton. Ma sappiamo anche che Newton non funziona. Che si fa? Non potremmo accontentarci di avere un modello che in qualche modo funziona, magari correggendo un po’ la teoria di Newton giusto per far tornare i conti? Perché bisogna per forza includere la gravità nella Relatività?  Essenzialmente per completezza. Ai fisici piace cercare delle leggi semplici che descrivano la più vasta gamma di fenomeni naturali. Una teoria sul movimento dei corpi, come è la Relatività, che non descrive la gravità – il fenomeno fisico che conosciamo da più tempo – è in un certo senso “zoppa”.
Comunque sia, in una delle prossime mail vi parlerò del paradosso dei gemelli e sarà evidente che in effetti nella Relatività Speciale si nota che manca qualcosa.

Come introdurre la gravità
Abbiamo detto tempo fa che la forza di gravità, per Newton, dipendeva dalla distanza tra i corpi in gioco. Siccome però per Einstein la misura della distanza è un concetto relativo, quella legge non va più bene. Come si può introdurre perciò la gravità nella Relatività?
Per farlo dobbiamo ricordarci di come Einstein descrive lo spazio e il tempo: non sono entità separate, ma sono unite in un unico concetto chiamato spaziotempo. Lo spaziotempo è in sostanza una specie di struttura su cui poggiamo e senza di essa non ci sarebbe l’universo.
La faccio semplice. Provate a immaginare un universo completamente vuoto, senza galassie, stelle, pianeti, polveri. Ecco, quello sarebbe lo spaziotempo descritto dalla Relatività Speciale. Dal punto di vista geometrico possiamo pensarlo come un lenzuolo steso orizzontalmente. Ogni punto del lenzuolo indica un evento, ossia un punto dello spazio ad un certo istante di tempo. In ogni punto però non accade niente e, come detto, non c’è niente. Questo è il motivo per cui non c’è gravità.
Cosa accade però quando appoggiamo una palla sul lenzuolo? Il lenzuolo ovviamente fa una conca dove viene messa la palla, no? Ecco, questo è l’effetto della presenza di un pianeta (o di una stella, o di un qualsiasi corpo) sullo spaziotempo: la struttura su cui “poggia” il corpo si deforma. Lo spaziotempo quindi non è più piatto, come poco prima, ma è curvo. Ovviamente ogni pallina che appoggiate sul lenzuolo – sia essa una stella, un pianeta, un asteroide, un uomo, un gatto o un temperamatite – curverà lo spaziotempo. Più l’oggetto è grande (o meglio, più la sua massa è grande), più la conca sarà profonda. Se poi l’oggetto si muove, la conca si sposterà insieme ad esso.
Per capire cosa c’entra questo con la gravità basta immaginare cosa accade a una pallina quando finisce nella conca di un’altra pallina, come nella seguente animazione.


Come vedete quando una pallina finisce nella conca di una pallina molto più pesante, ci cade dentro. Vedete il movimento che fa? Sembra quello di un asteroide che cade su un pianeta. La curvatura dello spaziotempo dunque è il modo con cui viene descritta la gravità nella Teoria della Relatività.

Perché non la vediamo?
Non vediamo la curvatura per il fatto che lo spaziotempo non è una struttura tangibile. Il nostro punto di vista è molto simile a quello della telecamera in verticale nell’animazione: a noi lo spaziotempo appare “piatto”. Ci accorgiamo però degli effetti causati della curvatura.

Quali sono gli effetti della curvatura?
Beh, innanzitutto vediamo i corpi che si attirano: i pianeti orbitano attorno al Sole, gli oggetti cadono verso la Terra e così via. Insomma, percepiamo la gravità. Ma ci sono altri effetti. Se lo spaziotempo si piega, pensateci, significa che lo spazio e il tempo vengono deformati e le loro misure cambiano. Non stiamo parlando della dilatazione del tempo e della contrazione delle lunghezze viste l’altra volta. Parliamo di ulteriori effetti aggiuntivi dovuti alla gravità ed esistono delle formule per descriverli. L’esperimento di Hafele e Keating di cui abbiamo parlato dimostrò anche questi effetti aggiuntivi.
Se siete scettici fate bene – lo scetticismo in mancanza di prove è una buona abitudine – e soprattutto siete in buona compagnia. Negli anni ’70 il Dipartimento di Difesa statunitense cominciò a costruire il sistema GPS, il famoso sistema di localizzazione basato sui satelliti. Per funzionare correttamente i satelliti dovevano essere sincronizzati, altrimenti avrebbero segnalato in maniera sfasata le posizioni. All’epoca i fisici spiegarono ai militari che per sincronizzare i satelliti bisognava tenere conto delle correzioni agli orologi previste sia dalla Relatività Speciale che da quella Generale. I militari non ci credevano. Indovinate chi aveva ragione.

C’è altro?
Sì, una cosa importantissima e difficile da credere. Abbiamo visto che le palline quando cadono in una buca ci finiscono dentro girando intorno al centro. E che questo è come la Relatività descrive la gravità. Ma c’è una cosa in più: anche ai raggi di luce accade a stessa cosa: I raggi di luce infatti si propagano seguendo la griglia dello spaziotempo. Quando questa si deforma, però, si modifica anche il loro percorso. Perciò quando un raggio di luce passa vicino a un pianeta, a una stella o a una galassia, modifica la sua traiettoria, più o meno come in questa immagine.

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Questo fenomeno si chiama lente gravitazionale. Vi spiego l’immagine. La stella, quella in alto a destra, si trova nascosta dietro il Sole e sarebbe impossibile vederla dalla Terra. La sua luce però finisce nella conca gravitazionale del Sole, perciò il raggio luminoso curva la propria traiettoria e raggiunge comunque la Terra (linea gialla). Noi quindi riusciamo a vedere la stella, ma la vediamo come se fosse più a sinistra (linea rossa). Insomma, grazie a questo effetto possiamo vedere dei corpi celesti nascosti dietro qualche ostacolo.
Volete una prova? Questa foto è la famosa croce di Einstein, un corpo celeste nella costellazione di Pegaso. Quella al centro è una Galassia e le luci accanto sono quattro immagini apparenti di un unico Quasar che si trova dietro la Galassia. La luce emessa dal quasar passa in fianco alla Galassia, curva la sua traiettoria e ci raggiunge comunque. Einstein postulò l’esistenza di tali oggetti nel 1915, sessantacinque anni prima della loro scoperta.

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Pillole
Alcune notizie di questi giorni, brevi.

I funghi sulla ISS
Sulla Stazione Spaziale Internazionale sono stati coltivate per 18 mesi delle cellule di alcuni funghi particolari che solitamente crescono in Antartide e che sono considerati buoni candidati per “colonizzare” l’ambiente marziano. Li vedete nell’immagine sotto, dove c’è la freccia. Più del 60% delle cellule dei funghi sono sopravvissute, mantenendo stabile il proprio DNA dando prova che la vita può sopravvivere anche in situazioni estreme. Qui gli approfondimenti.

L’esperimento Expose-A (Credit: NASA ESA, ISS)

La navicella Orion
L’Orion MPCV è un veicolo spaziale con equipaggio attualmente in fase di sviluppo da parte della NASA che sarà impiegato nell’esplorazione umana degli asteroidi in vista di un futuro sbarco su Marte. Nonostante i tagli ai finanziamenti il progetto continua. In questi giorni Orion è stato trasportato al Kennedy Space Center a Cape Canaveral con il fighissimo aereo Super Guppy per l’assemblaggio finale. Il prossimo lancio test senza equipaggio è previsto nel 2018.

L’aereo Super Guppy, pronto a trasportare Orion (Credit: NASA)

Il Lussemburgo spara (molto) alto
Il governo del Lussemburgo ha annunciato un ambizioso progetto per diventare “il centro europeo nell’esplorazione e nell’utilizzo delle risorse spaziali”. L’obiettivo è quello di sviluppare le tecnologie e stabilire un quadro normativo per poter estrarre minerali dagli asteroidi. Chissà.

Una passeggiata spaziale
Ieri gli astronauti Russi Malenchenko e Volkov hanno fatto una passeggiata spaziale per attività di manutenzione della ISS. Durante la passeggiata hanno recuperato l’esperimento europeo Expose-R2, un laboratorio di campioni biologici simile a quello utilizzato per i funghi di cui abbiamo parlato. Ecco Volkov al lavoro.

L’astronauta Volkov durante la passeggiata spaziale (Credit: NASA, ISS)

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Per approfondire
– Il fenomeno della lente gravitazionale rivisto a Dicembre dello scorso anno
– La storia delle lenti gravitazionali (inglese)
– La Relatività Generale, in inglese, coi disegnini (video)
– Gli ultimi appunti di Einstein, scritti poco prima di morire
– Cosa sono le onde gravitazionali (fumetto e video in inglese)

Le Relatività Speciale, l’allineamento dei pianeti e Blue Origin

Oggi cominciamo ad affrontare un argomento complesso: la Teoria della Relatività di Einstein. Questa Teoria è divisa in due parti: la Relatività Speciale, che si occupa del moto dei corpi senza considerare la gravità, e la Relatività Generale, che generalizza – appunto – gli stessi concetti in presenza della gravità. In questa mail parliamo della Teoria della Relatività Speciale. nella prossima di quella Generale. Non sarò esaustivo, è impossibile. Una tale teoria richiede mesi di studio per comprenderne le basi e anni di pratica per saperla maneggiare con consapevolezza. È inoltre una teoria molto “matematica”, nel senso che si basa su una branca della matematica – la geometria differenziale – piuttosto tecnica.
Cercheremo di capirne i concetti base, senza strafare e lo faremo seguendo un ordine narrativo, più che logico. Anche perché Space break è questo: una chiacchierata al bar.
In futuro ci sarà tempo di approfondirne alcuni aspetti. Attendo le vostre richieste in merito.

Di cosa parliamo
– perché è nata Teoria della Relatività
– la Teoria della Relatività Speciale
– conseguenze della Teoria
– pillole della settimana

La Teoria della Relatività
La Teoria della Relatività è una delle teorie scientifiche più di successo. È il prototipo di quella che i fisici chiamano una “teoria elegante” perché, partendo da pochi assunti e utilizzando un linguaggio matematico chiaro e completo, riesce a predire moltissimi fenomeni fisici, altrimenti inspiegabili, con una precisione imbarazzante: le predizioni si scostano dai valori sperimentali di una parte su un miliardo. Inoltre tutti i risultati nascono in maniera diretta dai teoremi matematici della teoria. Insomma, spacca.
Ovviamente la Teoria vale nel suo ambito: più si studia la natura nel piccolo, più fallisce. Ma su larga scala – ossia per mandare satelliti in orbita, studiare corpi anche a grande velocità, comprendere i fenomeni cosmologici – non c’è partita.
I fenomeni non spiegati dalla Relatività sono generalmente spiegati da un’altra teoria – la Meccanica quantistica. Ne parleremo.

Perché è nata
Fino alla seconda metà dell’Ottocento la comunità fisica concordava che le leggi di Galileo – che spiegavano la cinematica dei corpi – e quelle di Newton – che spiegavano lameccanica dei corpi e la gravitazione – fossero compiute. D’altronde non c’era ragione di dubitare: avevano dato prova di grande precisione e le discrepanze riscontrate con gli esperimenti erano spesso attribuite a limiti tecnologici, a una superficiale comprensione dei fenomeni naturali o a una applicazione errata delle leggi conosciute. Ma le leggi stesse non erano in discussione.
Nel 1864 Maxwell, come abbiamo già accennato, unificò l’elettricità e il magnetismo sotto un’unica teoria, chiamata elettromagnetismo. I fenomeni elettromagnetici erano spiegati da quattro eleganti formule che concordavano perfettamente con gli esperimenti. Un unico, grosso problema: le leggi di Maxwell non erano covarianti rispetto alle leggi di Galileo. Cosa significa? I fisici ritengono che i fenomeni naturali funzionino tramite le stesse leggi anche se misurati da osservatori che si muovono con velocità diverse (purché costanti). È una richiesta di buon senso che Galileo formalizzò nel cosiddetto principio di relatività: se io viaggio su un treno mentre tu sei a terra, dobbiamo poter leggere il mondo con le stesse leggi fisiche. Conti alla mano, le leggi di Maxwell non rispettavano questo principio: cambiando sistema di riferimento, ossia cambiando lo stato di moto dell’osservatore, le leggi cambiavano forma. Non bene.
Un altro problema era legato alla velocità della luce, un fenomeno non a caso elettromagnetico. Semplificando molto (troppo. Per un breve approfondimento, clicca qui): i fisici si aspettavano che la velocità della luce cambiasse in base all’osservatore. Si aspettavano cioè che, accelerando abbastanza, si sarebbe potuto superare un raggio di luce così come si supera un treno. L’esperimento di Michelson e Morley del 1887 cominciò a smontare questa convinzione: il treno rispettava le leggi di Galileo, la luce no.
Le opzioni a quel punto erano due: riformulare le leggi di Maxwell oppure mettere in discussione la meccanica di Newton e la dinamica di Galileo, ossia tutta la fisica conosciuta fino ad allora. Einstein, con grande intuito, scelse la seconda strada.

L’idea alla base della Teoria della Relatività
Nella fisica Newtoniana/Galileiana esistono due concetti separati, lo spazio e il tempo: le distanze tra due punti vengono misurate con un righello, mentre il tempo si misura a parte con un cronometro. È quello che facciamo tutti. Inoltre per Newton – e per tutti noi nella nostra esperienza quotidiana – il tempo è un ritmo universale, come se da qualche parte ci fosse un Buddha con un immenso gong a scandire la vita di ciascuno.
Einstein pensò di ribaltare questo paradigma: perché dobbiamo dare al tempo un ruolo privilegiato e assoluto? L’idea di Einstein fu di considerare il tempo come una coordinata come le altre. Così, mentre per noi un punto è dato da tre coordinate (x,y,z), come nel disegno qui sotto,


per Einstein un punto è dato da quattro coordinate (t,x,y,z), ossia le tre di prima più “t”, il tempo. Quindi per Einstein dire “un punto” equivale a dire “un evento”, cioè quello che accade nelle coordinate spaziali x,y,z al tempo t. Quando si misura la distanza tra due eventi – due punti, – bisogna tenere conto di tutte e quattro le coordinate assieme. Non si può parlare di distanze spaziali e temporali come se fossero cose indipendenti. Il tempo e lo spazio si fondono perciò in un unico concetto: l’universo ha quattro dimensioni e si chiama spaziotempo.

Ok, ma in pratica cosa cambia?
Nello spaziotempo di Einstein le leggi di Galileo non funzionano più. In particolare non funzionano le trasformazioni di Galileo, quelle che facevano sballare le equazioni di Maxwell. Le stesse leggi che inizialmente avevano fatto credere ai fisici di poter “superare” la luce semplicemente andando abbastanza veloce. Al loro posto ci sono delle nuove leggi, dette trasformazioni di Lorentz, che mescolano il tempo con lo spazio e rendono il tempo relativo.

Cosa significa che il tempo non è più assoluto ma relativo?
Significa questo: niente più Buddha, niente più gong. Mentre con Galileo tutti misurano il tempo allo stesso modo, con Einstein due osservatori diversi possono scandire il tempo con ritmi diversi. È un’idea controintuitiva, lo so. Siamo abituati a pensare che “un secondo”, “un minuto” siano unità di misura uguali per tutti, ma non è così. Lo vediamo tra poco.
Fatto sta che le nuove trasformazioni di Lorentz sono esattamente quelle che servono pernon sballare le leggi di Maxwell. Inoltre dicono che – guarda un po’ – anche accelerando tantissimo non si può superare la velocità della luce. Insomma, tutto torna.
A questo quadro Einstein aggiunge un postulato: la velocità della luce nel vuoto è una costante indipendentemente dalla velocità di chi la misura.

Riassumendo quanto detto
1 – Le leggi fisiche sono le stesse per osservatori con diversi stati di moto (ossia con diverse velocità)
2 – La velocità della luce nel vuoto è una costante, ed è uguale per ogni osservatore
3 – Lo spazio e il tempo non sono più concetti distinti: esiste un unico concetto chiamato spaziotempo.
4 – Per cambiare osservatore bisogna modificare le leggi fisiche usando le trasformazioni di Lorentz, anziché quelle di Galileo. Con queste leggi tempo e spazio possono si “mescolano”. La misura del tempo (ma anche della distanza) diventa relativa.
.
Conseguenze della Relatività Speciale
Vediamo ora cosa significa di preciso che il tempo e lo spazio si “mescolano” quando cambia l’osservatore. Supponiamo che voi siate su un treno che si muove, mentre io sono fermo sul ciglio del binario. Entrambi proviamo a misurare due cose: la lunghezza del treno e il tempo che ci mette il treno a superarmi completamente, da quando la locomotiva mi passa davanti a quando l’ultimo vagone mi sorpassa.
Per Galileo funziona così:
– sia io che voi, provando a misurare la lunghezza del treno, troviamo che è lungo 100 metri.
– sia io che voi, provando a misurare il tempo che ci mette il treno a superarmi completamente, troviamo che ci mette 15 secondi.
Semplice no? Esattamente quello che viviamo noi nel quotidiano. Le lunghezze e le misure degli intervalli di tempo sono uguali per tutti. Eppure è sbagliato. Per Einstein – e anche nella realtà – non funziona così. A me infatti, che sono fermo sul ciglio del binario, sembrerà che il treno sia più corto rispetto a voi, che vi state muovendo insieme al treno. Questo fenomeno si chiama contrazione delle lunghezze.
Se poi si misurasse il tempo che ci mette il treno a superarmi completamente, io misurerò un tempo leggermente più lungo di quanto misurato da voi, come se da me il tempo scorresse più velocemente. Questo fenomeno si chiama dilatazione del tempo.
Come forse avete notato, ho chiamato questi effetti fenomeni e l’ho fatto per un motivo molto semplice: accadono. Certo sembrano assurdi e il motivo è che a velocità molto basse questi effetti sono praticamente impercettibili. Nell’esempio che abbiamo fatto il treno si stava muovendo a 24 Km orari, una velocità bassissima e le differenze sono queste:
– quando voi misurate un treno lungo 100 metri, io misuro un treno lungo 99,999999999999975 metri;
– quando voi misurate un intervallo di tempo di 15 secondi, io misuro un intervallo di 15,0000000000000037 secondi.
Come vedete, a 24 Km orari le differenze sono così piccole che sono impossibili da notare.
Cosa accade però con una velocità molto più alta, diciamo 200 mila Km al secondo? In tal caso
– quando voi misurate un treno lungo 100 metri, io misuro un treno lungo 74,49 metri;
– quando voi misurate un intervallo di tempo di 15 secondi, io misuro un intervallo di 20,14 secondi.
Più aumenta la velocità più le differenze si fanno significative.

Ma sta roba è vera?
Sì. Sono fenomeni ampiamente verificati che vengono utilizzati quotidianamente. I più scettici trovano nelle note la storia del famoso esperimento di Hafele e Keating i quali, nel 1971, confermarono la dilatazione del tempo circumnavigando per due volte la terra portando a bordo dell’aereo quattro orologi atomici al cesio. Gli orologi risultarono poi sfasati rispetto a quelli rimasti fermi al US Naval Observatory di Washington DC e la differenza si dimostrò coerente con quella predetta dalla teoria di Einstein.

Pillole
Alcune notizie di questi giorni, brevi.

L’allineamento dei pianeti
A partire da questi giorni fino a circa metà febbraio potremo vedere in cielo l’allineamento di Mercurio, Venere, Saturno, Marte e Giove a formare quasi una linea retta nel cielo. Per vederli tutti insieme a occhio nudo sarà sufficiente guardare verso sud poco prima dell’alba, meglio se da un posto con poco inquinamento luminoso. Per individuarli basterà cercare la Luna, che in quei giorni sarà più o meno sulla traiettoria tracciata dai pianeti. L’immagine qui sotto è una simulazione di cosa si vedrà in cielo il 2 febbraio, intorno alle 6 e mezza del mattino più o meno alle latitudini di Milano (l’immagine, tratta dal software Stellarium, si ingrandisce con un click).


Blue Origin raddoppia
Blue Origin – il razzo suborbitale di Jeff Bezos, fondatore di Amazon – è stato riutilizzato in un lancio test ed è atterrato ancora una volta in verticale. Va comunque ricordato che Blue Origin, nonostante i successi, è un lanciatore con finalità turistiche e tecnologicamente molto più semplice del Falcon 9 di SpaceX – che ogni tanto esplode.

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Per approfondire
– L’esperimento di Hafele e Keating, in breve
– L’articolo storico di Hafele e Keating per presentare i dati dell’esperimento alla comunità scientifica
– Una puntata di Quark, credo, dedicata alla Teoria della Relatività (dal minuto 8:40, dura 15 minuti)
– Un video di Rai Scuola sulle trasformazioni di Lorentz

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