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  (Credit: NASA)

Il paradosso dei gemelli

Nella Relatività Speciale esiste un paradosso, chiamato paradosso dei gemelli. Il paradosso è dovuto al fenomeno della dilatazione dei tempi di cui abbiamo già parlato. Per mettervi al pari e capire il paradosso potete leggere il riassuntino qua sotto, oppure dare una letta qui.
Ah, la prossima volta ci sarà in newsletter anche un breve spazio di domande e risposte. Potete inviarmi le domande a spacebreak [at] francescobussola.it, oppure su twitter o facebook.

Di cosa parliamo oggi
– il paradosso dei gemelli
– come si risolve?
– pillole della settimana

Il paradosso dei gemelli
Prima di parlare del paradosso dei gemelli, mi sembra il caso di fare tre righe di riassunto. Pronti? Via.

Riassuntino veloce veloce
La Teoria della Relatività Speciale di Einstein predice che se facciamo viaggiare degli orologi su un aereo, questi scandiranno il tempo più lentamente rispetto a quelli che sono sulla Terra. Insomma, il tempo scorre più lentamente quando ci si muove. Questo fenomeno, totalmente controintuitivo, è stato verificato sperimentalmente ed è oggi uno dei principi cardini della fisica.

I gemelli Scott e Mark
Immaginiamo che ci siano due gemelli, Scott e Mark, entrambi astronauti. Scott e Mark si trovano entrambi sulla Terra fino a quando la NASA non decide di mandare Scott in missione nello spazio. Scott dovrà viaggiare a velocità elevatissime con una navicella spaziale, effettuare alcuni test scientifici fermandosi al di fuori del Sistema Solare e infine tornare sulla Terra per comunicare i risultati. A Scott vengono date provviste per dieci anni: la missione è molto complessa, il viaggio lungo e gli esperimenti dovranno essere ripetuti più volte per verificare i risultati. Il 17 Marzo 2016, Scott parte, mentre suo fratello Mark rimane sulla Terra per addestrare dei giovani astronauti.

Il viaggio
La navicella con cui viaggia Scott si muove a velocità costante allontanandosi dalla Terra. Nello spazio non è difficile: una volta raggiunta la velocità desiderata, basta spegnere i motori e la navicella continua a viaggiare perché non c’è l’attrito dell’aria. Supponiamo che la navicella di Scott viaggi a circa 290 mila Km al secondo – una velocità prossima alla velocità della luce. Per gli effetti della Relatività Speciale l’orologio che si trova sulla navicella scandisce il tempo più lentamente di quelli che si trovano sulla Terra. Per dare dei numeri, a 290 mila Km al secondo gli orologi scorrono quasi 4 volte più lentamente, il che significa che un minuto sulla navicella corrisponde a quattro minuti sulla Terra. Insomma, quando sulla navicella passa un minuto, sulla Terra ne passano quattro,
Immaginiamo ora che Scott viaggi per quattro anni a queste velocità, si fermi per un paio d’anni al di fuori del Sistema Solare per effettuare gli esperimenti e poi decida di tornare sulla Terra per evitare di finire il cibo a disposizione. Una volta tornato sulla Terra avrà viaggiato complessivamente per otto anni – sui dieci della missione – a velocità prossime a quelle della luce.
Dalla partenza, il 17 Marzo 2016, Scott è dieci anni più vecchio ma, siccome sulla Terra il tempo è trascorso quattro volte più velocemente durante gli otto anni di viaggio di Scott, suo fratello Mark non sarà più vecchio di dieci anni, ma di trentaquattro (8[anni in viaggio]x4+2[anni di esperimenti]=34). All’arrivo di Scott, sulla Terra è il Marzo 2050, non il Marzo 2026.

Il paradosso
Fin qua è tutto molto assurdo ma, se la Relatività è vera (lo è) e se il fenomeno della dilatazione del tempo esiste (esiste), il ragionamento non fa una grinza: durante gli otto anni di viaggio a quelle velocità, il tempo sulla Terra è trascorso quattro volte più velocemente. Al loro incontro i due gemelli avranno età diverse: Scott sarà invecchiato di dieci anni, mentre Mark di trentaquattro. Dunque qual è il paradosso?
Il paradosso nasce dal principio cardine della Relatività Speciale, il principio di relatività. Il principio di relatività afferma che le leggi fisiche sono le stesse per tutti i sistemi di riferimento inerziali. Cosa significa? Significa, in questo caso, che sia Scott che Mark devono poter leggere il mondo con le stesse leggi fisiche.
Fin’ora infatti abbiamo osservato tutto il viaggio di Scott come se fossimo sulla Terra insieme a Mark: Scott è partito, ha viaggiato rispetto a noi a una velocità prossima a quella della luce per raggiungere lo spazio profondo, si è fermato e poi è tornato indietro sempre a una velocità elevatissima. Ma nulla ci impedisce di metterci dal punto di vista di Scott. Mentre viaggia, guardando fuori dall’oblò della navicella, Scott vedrebbe la Terra allontanarsi da lui a grande velocità. Se non sapesse di essere un astronauta su una navicella potrebbe credere di essere fermo in mezzo allo spazio, mentre la Terra fugge via. Potrebbe insomma avere la stessa sensazione che abbiamo quando vediamo il treno in fianco al nostro muoversi e non capiamo se è il nostro treno che parte o se siamo fermi. La velocità è infatti un concetto relativo e dipende da chi la misura: per Mark è Scott a muoversi con la sua navicella. Dal punto di vista di Scott è la Terra ad allontanarsi da lui.
Considerando Scott come se fosse fermo, allora sarebbe la Terra, insieme a Mark, a muoversi a 290 mila Km al secondo. Perciò il tempo dovrebbe dilatarsi sulla Terra, non sulla navicella. Dovrebbe insomma accadere il contrario di quanto abbiamo detto prima: quando sulla Terra passa un minuto, sulla navicella ne passano quattro. Seguendo questo ragionamento quindi sarebbe Scott a invecchiare quattro volte più velocemente di Mark, non viceversa.
Il paradosso dei gemelli è questo qua: dal punto di vista di Scott, Mark dovrebbe invecchiare. Dal punto di vista di Mark, dovrebbe invecchiare Scott. Cosa accade davvero?

Prima di dare la soluzione, ecco una bella foto di Mark e Scott Kelly, i due astronauti NASA che si sono prestati per davvero a un esperimento simile a quello che abbiamo raccontato, senza però viaggiare nello spazio profondo. Ne abbiamo parlato qui. Dopo l’esperimento, durato un anno, uno dei due è 10 millisecondi più vecchio dell’altro.

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Mark e Scott Kelly (Credit: NASA)

La soluzione
Per risolvere il paradosso bisogna prestare un po’ di attenzione a come si svolge l’esperimento. La situazione non è infatti completamente speculare, anche se sembrerebbe di sì. Il paradosso nasce appunto applicando il principio di relatività: i punti di vista di Mark e Scott ci sembrano equivalenti e saltando dall’uno all’altro non sappiamo più da che parte il tempo scorre più veloce o più lento.
I due punti di vista, però, non sono equivalenti. A differenza di Mark, che se ne sta comodo sulla Terra, Scott è soggetto a forti decelerazioni e accelerazioni: il razzo deve lanciare la navicella nello spazio, la navicella deve poi frenare bruscamente e fermarsi fuori dal Sistema Solare per poi riaccelerare e tornare indietro. Scott, quindi, quando i motori sono accesi, sente il suo corpo schiacciarsi contro il sedile o contro le cinture di sicurezza. Mark invece non sente alcuna accelerazione. La situazione non è dunque speculare: uno dei due astronauti percepisce, anche senza guardare fuori, anche senza sapere dove si trova, di essere soggetto a grandi accelerazioni. L’altro no.

Verso la Relatività Generale
Questo ragionamento convinse Einstein che alla Relatività mancasse un ingrediente e che l’accelerazione c’entrasse qualcosa in tutto questo. L’ingrediente mancante era la gravità, una forza che fa appunto accelerare i corpi: è impossibile distinguere un’accelerazione dovuta a una forza esterna da quella prodotta da un campo gravitazionale. Questo principio, chiamato principio di equivalenza, è il punto di partenza della Relatività Generale, la parte della Teoria di Einstein che considera anche la gravità. Per capire meglio cosa significa il principio di equivalenza, potete leggere questo esperimento immaginario, chiamato ascensore di Einstein.

Pillole della settimana
Alcune notizie di questi giorni, brevi.

ExoMars è partita
La missione ExoMars, un progetto dell’Agenzia Spaziale Europea per l’esplorazione robotica di Marte, è partita. È composta da una sonda – TGO – che rimarrà in orbita attorno a Marte e da un Lander – Schiaparelli – che atterrerà sul pianeta per studiarne l’atmosfera. Il contributo italiano alla missione, tramite l’Agenzia Spaziale Italiana e Finmeccanica, è consistente: la leadership della missione è affidata all’Italia, così come la responsabilità complessiva del sistema e lo sviluppo di Schiaparelli. Sono poi italiani i progetti di vari strumenti scientifici di Schiaparelli come DREAMS, AMELIA, MA_MISS e INRRI. Per maggiori informazioni sul ruolo dell’Italia potete guardare questo video Rai. Purtroppo il video ufficiale del lancio (questo) è piuttosto sgranato. C’è però un bel video fatto con il cellulare da Roberto Battiston, presidente dell’ASI.
Curiosità: come vengono trasportati i lanciatori di queste missioni? Così.

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Per il capitolo «A cosa servono le missioni spaziali?», il satellite Landsat 8 sta scandagliando gli oceani per trovare relitti di navi affondate. Sapere dove sono i relitti è importante per varie ragioni. Quelli più recenti possono essere fonte di inquinamento, quelli vicini alla costa sono un potenziale pericolo per la navigazione, quelli più vecchi possono addirittura favorire la nascita di una barriera corallina. Lo sviluppo di tecnologie anche per missioni apparentemente inutili, permette poi di riutilizzarle in moltissimi ambiti che impattano direttamente sulla nostra vita.

Landsat

(Credit: NASA/USGS Landsat/Jesse Allen/NASA Earth Observatory/Matthias Baeye et al)

KosmoKurs sfiderà Blue Origin
L’agenzia spaziale russa Roscosmos ha approvato il progetto dell’azienda privata KosmoKurs di Pavel Pushkin per progettare e sviluppare un sistema riutilizzabile per il turismo spaziale. I primi viaggi sono programmati attorno al 2020. Se avrete voglia di fare un viaggetto di qualche minuto nello spazio potete cominciare a mettere via un po’ di soldi. Il biglietto dovrebbe costare attorno ai 250 mila euro. KosmoKurs non è la prima azienda che punta a questo obiettivo. L’azienda americana Blue Origin di Jeff Bezos ha già effettuato i primi lanci test.

Feedback
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Per approfondire
– Il paradosso dei gemelli
– L’esperimento che ha coinvolto i veri Scott e Mark Kelly (inglese)

Juno, DUNE, ExoMars e Scott Kelly

Buongiorno a tutti,
parto correggendo un paio di sviste della scorsa newsletter. A un certo punto ho detto che il segnale rilevato da LIGO è stato generato da due masse in collisione e in rotazione a circa 150 mila Km orari. Ovviamente sono 150 mila Km al secondo, circa la metà della velocità della luce. In chiusura poi ho scritto che la potenza emessa dalla collisione è stata pari a quella di tutte le stelle dell’universo. In realtà è almeno dieci volte superiore.
Sviste a parte, mi scuso anche per la lunghezza record della mail, ma l’argomento era troppo importante per non essere approfondito. Non ho nemmeno detto tutto, a dire il vero.
Proprio per riposarci un po’ dopo la maratona della settimana scorsa (per chi si è perso e per chi non c’era, ho fatto anche un livetweet della conferenza stampa sulla scoperta delle onde gravitazionali), ho pensato di non mettere in questa mail un argomento di fisica: parliamo invece di varie notizie di questi giorni.
Dalla prossima settimana ripartono però le lezioni. Salvo altre richieste, pensavo di riprendere da un argomento interessante: la dualità onda-particella.

Di cosa parliamo oggi
– la missione Juno
– DUNE, un esperimento per rilevare i neutrini
– il rientro sulla Terra di Scott Kelly
– ExoMars comincia il suo viaggio verso Marte
– un retroscena sulle onde gravitazionali

Giunone e Giove, presto insieme
Juno è una missione della NASA per studiare più da vicino il pianeta Giove. Il nome è evocativo: Giunone (Juno, in inglese) era la dea moglie di Giove nella mitologia romana.
Si tratta essenzialmente di una sonda che orbiterà intorno al pianeta per capire le sue proprietà attraverso la misurazione della massa, delle dimensioni del nucleo, del campo gravitazionale e di quello magnetico. Verrà anche studiata la composizione dell’atmosfera e il suo clima.
Ad oggi la sonda Juno ha viaggiato per più di 2,7 miliardi di Km. Il percorso di una sonda nel Sistema Solare, infatti, è solitamente molto tortuoso e sfrutta la gravità degli altri pianeti come effetto fionda: quando la sonda passa vicino a un pianeta, viene attratta dalla forza di gravità, cambiando la sua direzione e la sua velocità. È un modo pratico per accelerare o decelerare senza consumare carburante, minimizzando quindi il consumo di energia.

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Effetto fionda gravitazionale (Credit: Y tambe, CC BY SA 3.0)

Nella figura qui sotto vedete quanto è stato complicato il viaggio di Juno. L’ellisse blu è l’orbita della Terra, quella rossa è Marte, quella gialla è Giove. Il percorso di Juno è quello bianco. Occhio che le date sono storte: mm/gg/aaaa.

Il percorso di Juno nel Sistema Solare

(Credit: NASA/JPL)

La sonda Juno si trova oggi a circa 700 milioni di Km da noi e per inviarle comunicazioni ci vuole più di mezz’ora: i segnali che inviamo, viaggiando alla velocità della luce, ci mettono 37 minuti a raggiungerla. Dovrebbe arrivare presso Giove il 4 Luglio di quest’anno.

See the world spin round in DUNE Buggy
Continua la progettazione di DUNE (Deep Underground Neutrino Experiment), un esperimento all’avanguardia per studiare la fisica dei neutrini e il decadimento del protone.
I neutrini sono particelle molto sfuggenti. Sappiamo oggi, grazie alla scoperta delle oscillazioni del neutrino – per chi sa cosa sono – che i neutrini hanno una massa, anche se molto piccola. Tuttavia interagiscono molto raramente con le altre particelle e lo fanno solo tramite due delle quattro forze fondamentali: la forza debole e la forza gravitazionale. È quindi molto difficile studiarli. Per avere un’idea di quanto sono difficili da rilevare, basta immaginare che ogni secondo passa attraverso il nostro corpo qualcosa come un miliardo di neutrini. Di questi, però, pochissimi interagiscono con le particelle che ci compongono: solamente qualche migliaio durante tutta la nostra vita. Gli esperimenti per rilevarli sono quindi molto complessi e delicati.
Per rilevare i neutrini, DUNE sarà dotato di una camera contenente 70 mila tonnellate di Argon liquido. I neutrini, interagendo con le molecole di Argon, innescano delle reazioni subnucleari che vengono tracciate da dei rilevatori. Più o meno come in questa animazione.

 

La rilevazione dei neutrini
Data la grandezza dell’esperimento, è stato necessario sviluppare nuove e più sofisticate tecnologie rispetto a quelle utilizzate dai rilevatori più piccoli. Proprio per questo, prima di procedere alla costruzione di DUNE, gli scienziati vogliono essere sicuri che il gioco valga la candela. In questi giorni sta cominciando l’acquisizione di dati scientifici utilizzando un prototipo di DUNE, chiamato DUNE Buggy (Il nome, a noi italiani, dovrebbe ricordare qualcosa o quantomeno suonare familiare).
DUNE Buggy ha una camera contenente solo 35 tonnellate di Argon (non 35 mila), ma è comunque uno dei più grandi rilevatori di neutrini all’Argon liquido mai costruiti.
I neutrini per l’esperimento DUNE sono prodotti accelerando dei protoni e facendoli scontrare contro dei pezzi di grafite o di altri materiali. Dallo scontro nascono particelle secondarie che, decadendo, producono neutrini. I neutrini poi viaggiano sottoterra fino a raggiungere il rilevatore. Dato che i neutrini praticamente non interagiscono con le altre particelle, non serve un tunnel. Questo breve cartone animato spiega il processo di produzione dei neutrini. È in inglese, ma è carino.

Un anno nello spazio
Il primo Marzo torneranno sulla Terra gli astronauti Scott Kelly e Mikhail Kornienko. Kelly e Kornienko hanno passato un intero anno a bordo della Stazione Spaziale Internazionale per permettere agli scienziati di studiare i cambiamenti del corpo umano durante una prolungata permanenza nello spazio.

Scott Kelly (NASA) e Mikhail Kornienko (Roscosmos) (Credit: NASA)

Scott Kelly (NASA) e Mikhail Kornienko (Roscosmos) (Credit: NASA)

La missione, chiamata One-Year Mission, è uno dei tanti tasselli necessari per riuscire in un prossimo futuro a mandare degli uomini su Marte. Una missione su Marte durerebbe circa tre anni: nove mesi per andare, nove mesi per tornare e il tempo restante per visitare il pianeta. È importante quindi capire come reagisce il corpo durante un viaggio così lungo in condizioni di microgravità e quali contromisure possono essere prese per ridurre i rischi dell’equipaggio. Non è la prima volta che degli esseri umani passano un intero anno nello spazio. Negli anni ’80 e ’90 ben quattro astronauti hanno vissuto per più di dodici mesi sulla Stazione Spaziale russa Mir, che oggi non esiste più. Tuttavia, a differenza di allora, esistono metodi di indagine molto più approfonditi per studiare il comportamento del corpo umano, come ad esempio la genetica.
Un altro aspetto unico di questa missione è che Scott Kelly ha un gemello monozigote, Mark. Mark è un ex astronauta e, dato che ha lo stesso DNA di Scott, verrà utilizzato come campione di controllo per capire meglio cosa è cambiato nel corpo di Scott.

 

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Mark Kelly e Scott Kelly (Credit: NASA)

Missione ExoMars, si parte
ExoMars è un progetto dell’Agenzia Spaziale Europea e dell’ente spaziale russo Roscosmos per esplorare Marte ed è composto da due missioni. Il 14 Marzo verrà lanciata la prima missione, formata da un satellite, il Trace Gas Orbiter (TGO), dotato di strumenti per l’analisi dei gas atmosferici e dal lander Schiaparelli, che servirà per testare la tecnologia necessaria per l’ingresso nell’atmosfera e l’atterraggio sul suolo marziano. TGO e Schiaparelli viaggeranno uniti fino al 16 Ottobre, poi il lander si staccherà e comincerà la sua discesa verso la superficie del pianeta. Nel tweet qui sotto vedete degli operatori che riforniscono i serbatoi di TGO.

 

 

Un retroscena sulle onde gravitazionali
L’articolo principale sulla scoperta delle onde gravitazionali – lo trovate qui – è stato preparato in assoluta riservatezza e in maniera impeccabile: è un articolo estremamente chiaro, quasi a livello divulgativo, pensato non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per tutti i giornalisti scientifici e i divulgatori che avrebbero dovuto spiegare la notizia al grande pubblico. Penso che la stragrande maggioranza dei fisici, anche quelli che non sono specializzati nel settore, possa capirne l’intero contenuto. Non è una cosa scontata. Solitamente gli articoli scientifici sono molto tecnici e di difficile lettura.
Per dare un’idea di quanto è stato grande l’impatto di questo articolo sulla comunità scientifica – e non solo – basta questo aneddoto. Physical Review Letters, la rivista che ha pubblicato l’articolo, utilizza solitamente quattro server per gestire il traffico sul suo sito. Immaginando che ci sarebbe stato molto traffico, la sera prima della pubblicazione venne deciso di aggiungere altri due server di supporto. Appena l’articolo fu pubblicato, verso le 16:30 ora italiana, gli accessi erano 10 mila al minuto e il sito andò giù. Vennero quindi aggiunti altri quattro server ad alta capacità, ma il traffico era comunque così alto che alle 18:30 furono aggiunti altri dieci server, per un totale di venti. Impressionante.

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Per approfondire
– Un articolo molto bello di Gravità Zero sulle onde gravitazionali
– Le dieci cose da sapere sulla One-Year Mission (inglese)
– Il sito dell’Human Research Program, di cui fa parte il Twins study dei gemelli Kelly (inglese)
– Cosa sono le oscillazioni del neutrino