Autore: Francesco Bussola

Juno, DUNE, ExoMars e Scott Kelly

Buongiorno a tutti,
parto correggendo un paio di sviste della scorsa newsletter. A un certo punto ho detto che il segnale rilevato da LIGO è stato generato da due masse in collisione e in rotazione a circa 150 mila Km orari. Ovviamente sono 150 mila Km al secondo, circa la metà della velocità della luce. In chiusura poi ho scritto che la potenza emessa dalla collisione è stata pari a quella di tutte le stelle dell’universo. In realtà è almeno dieci volte superiore.
Sviste a parte, mi scuso anche per la lunghezza record della mail, ma l’argomento era troppo importante per non essere approfondito. Non ho nemmeno detto tutto, a dire il vero.
Proprio per riposarci un po’ dopo la maratona della settimana scorsa (per chi si è perso e per chi non c’era, ho fatto anche un livetweet della conferenza stampa sulla scoperta delle onde gravitazionali), ho pensato di non mettere in questa mail un argomento di fisica: parliamo invece di varie notizie di questi giorni.
Dalla prossima settimana ripartono però le lezioni. Salvo altre richieste, pensavo di riprendere da un argomento interessante: la dualità onda-particella.

Di cosa parliamo oggi
– la missione Juno
– DUNE, un esperimento per rilevare i neutrini
– il rientro sulla Terra di Scott Kelly
– ExoMars comincia il suo viaggio verso Marte
– un retroscena sulle onde gravitazionali

Giunone e Giove, presto insieme
Juno è una missione della NASA per studiare più da vicino il pianeta Giove. Il nome è evocativo: Giunone (Juno, in inglese) era la dea moglie di Giove nella mitologia romana.
Si tratta essenzialmente di una sonda che orbiterà intorno al pianeta per capire le sue proprietà attraverso la misurazione della massa, delle dimensioni del nucleo, del campo gravitazionale e di quello magnetico. Verrà anche studiata la composizione dell’atmosfera e il suo clima.
Ad oggi la sonda Juno ha viaggiato per più di 2,7 miliardi di Km. Il percorso di una sonda nel Sistema Solare, infatti, è solitamente molto tortuoso e sfrutta la gravità degli altri pianeti come effetto fionda: quando la sonda passa vicino a un pianeta, viene attratta dalla forza di gravità, cambiando la sua direzione e la sua velocità. È un modo pratico per accelerare o decelerare senza consumare carburante, minimizzando quindi il consumo di energia.

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Effetto fionda gravitazionale (Credit: Y tambe, CC BY SA 3.0)

Nella figura qui sotto vedete quanto è stato complicato il viaggio di Juno. L’ellisse blu è l’orbita della Terra, quella rossa è Marte, quella gialla è Giove. Il percorso di Juno è quello bianco. Occhio che le date sono storte: mm/gg/aaaa.

Il percorso di Juno nel Sistema Solare

(Credit: NASA/JPL)

La sonda Juno si trova oggi a circa 700 milioni di Km da noi e per inviarle comunicazioni ci vuole più di mezz’ora: i segnali che inviamo, viaggiando alla velocità della luce, ci mettono 37 minuti a raggiungerla. Dovrebbe arrivare presso Giove il 4 Luglio di quest’anno.

See the world spin round in DUNE Buggy
Continua la progettazione di DUNE (Deep Underground Neutrino Experiment), un esperimento all’avanguardia per studiare la fisica dei neutrini e il decadimento del protone.
I neutrini sono particelle molto sfuggenti. Sappiamo oggi, grazie alla scoperta delle oscillazioni del neutrino – per chi sa cosa sono – che i neutrini hanno una massa, anche se molto piccola. Tuttavia interagiscono molto raramente con le altre particelle e lo fanno solo tramite due delle quattro forze fondamentali: la forza debole e la forza gravitazionale. È quindi molto difficile studiarli. Per avere un’idea di quanto sono difficili da rilevare, basta immaginare che ogni secondo passa attraverso il nostro corpo qualcosa come un miliardo di neutrini. Di questi, però, pochissimi interagiscono con le particelle che ci compongono: solamente qualche migliaio durante tutta la nostra vita. Gli esperimenti per rilevarli sono quindi molto complessi e delicati.
Per rilevare i neutrini, DUNE sarà dotato di una camera contenente 70 mila tonnellate di Argon liquido. I neutrini, interagendo con le molecole di Argon, innescano delle reazioni subnucleari che vengono tracciate da dei rilevatori. Più o meno come in questa animazione.

 

La rilevazione dei neutrini
Data la grandezza dell’esperimento, è stato necessario sviluppare nuove e più sofisticate tecnologie rispetto a quelle utilizzate dai rilevatori più piccoli. Proprio per questo, prima di procedere alla costruzione di DUNE, gli scienziati vogliono essere sicuri che il gioco valga la candela. In questi giorni sta cominciando l’acquisizione di dati scientifici utilizzando un prototipo di DUNE, chiamato DUNE Buggy (Il nome, a noi italiani, dovrebbe ricordare qualcosa o quantomeno suonare familiare).
DUNE Buggy ha una camera contenente solo 35 tonnellate di Argon (non 35 mila), ma è comunque uno dei più grandi rilevatori di neutrini all’Argon liquido mai costruiti.
I neutrini per l’esperimento DUNE sono prodotti accelerando dei protoni e facendoli scontrare contro dei pezzi di grafite o di altri materiali. Dallo scontro nascono particelle secondarie che, decadendo, producono neutrini. I neutrini poi viaggiano sottoterra fino a raggiungere il rilevatore. Dato che i neutrini praticamente non interagiscono con le altre particelle, non serve un tunnel. Questo breve cartone animato spiega il processo di produzione dei neutrini. È in inglese, ma è carino.

Un anno nello spazio
Il primo Marzo torneranno sulla Terra gli astronauti Scott Kelly e Mikhail Kornienko. Kelly e Kornienko hanno passato un intero anno a bordo della Stazione Spaziale Internazionale per permettere agli scienziati di studiare i cambiamenti del corpo umano durante una prolungata permanenza nello spazio.

Scott Kelly (NASA) e Mikhail Kornienko (Roscosmos) (Credit: NASA)

Scott Kelly (NASA) e Mikhail Kornienko (Roscosmos) (Credit: NASA)

La missione, chiamata One-Year Mission, è uno dei tanti tasselli necessari per riuscire in un prossimo futuro a mandare degli uomini su Marte. Una missione su Marte durerebbe circa tre anni: nove mesi per andare, nove mesi per tornare e il tempo restante per visitare il pianeta. È importante quindi capire come reagisce il corpo durante un viaggio così lungo in condizioni di microgravità e quali contromisure possono essere prese per ridurre i rischi dell’equipaggio. Non è la prima volta che degli esseri umani passano un intero anno nello spazio. Negli anni ’80 e ’90 ben quattro astronauti hanno vissuto per più di dodici mesi sulla Stazione Spaziale russa Mir, che oggi non esiste più. Tuttavia, a differenza di allora, esistono metodi di indagine molto più approfonditi per studiare il comportamento del corpo umano, come ad esempio la genetica.
Un altro aspetto unico di questa missione è che Scott Kelly ha un gemello monozigote, Mark. Mark è un ex astronauta e, dato che ha lo stesso DNA di Scott, verrà utilizzato come campione di controllo per capire meglio cosa è cambiato nel corpo di Scott.

 

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Mark Kelly e Scott Kelly (Credit: NASA)

Missione ExoMars, si parte
ExoMars è un progetto dell’Agenzia Spaziale Europea e dell’ente spaziale russo Roscosmos per esplorare Marte ed è composto da due missioni. Il 14 Marzo verrà lanciata la prima missione, formata da un satellite, il Trace Gas Orbiter (TGO), dotato di strumenti per l’analisi dei gas atmosferici e dal lander Schiaparelli, che servirà per testare la tecnologia necessaria per l’ingresso nell’atmosfera e l’atterraggio sul suolo marziano. TGO e Schiaparelli viaggeranno uniti fino al 16 Ottobre, poi il lander si staccherà e comincerà la sua discesa verso la superficie del pianeta. Nel tweet qui sotto vedete degli operatori che riforniscono i serbatoi di TGO.

 

 

Un retroscena sulle onde gravitazionali
L’articolo principale sulla scoperta delle onde gravitazionali – lo trovate qui – è stato preparato in assoluta riservatezza e in maniera impeccabile: è un articolo estremamente chiaro, quasi a livello divulgativo, pensato non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per tutti i giornalisti scientifici e i divulgatori che avrebbero dovuto spiegare la notizia al grande pubblico. Penso che la stragrande maggioranza dei fisici, anche quelli che non sono specializzati nel settore, possa capirne l’intero contenuto. Non è una cosa scontata. Solitamente gli articoli scientifici sono molto tecnici e di difficile lettura.
Per dare un’idea di quanto è stato grande l’impatto di questo articolo sulla comunità scientifica – e non solo – basta questo aneddoto. Physical Review Letters, la rivista che ha pubblicato l’articolo, utilizza solitamente quattro server per gestire il traffico sul suo sito. Immaginando che ci sarebbe stato molto traffico, la sera prima della pubblicazione venne deciso di aggiungere altri due server di supporto. Appena l’articolo fu pubblicato, verso le 16:30 ora italiana, gli accessi erano 10 mila al minuto e il sito andò giù. Vennero quindi aggiunti altri quattro server ad alta capacità, ma il traffico era comunque così alto che alle 18:30 furono aggiunti altri dieci server, per un totale di venti. Impressionante.

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Per approfondire
– Un articolo molto bello di Gravità Zero sulle onde gravitazionali
– Le dieci cose da sapere sulla One-Year Mission (inglese)
– Il sito dell’Human Research Program, di cui fa parte il Twins study dei gemelli Kelly (inglese)
– Cosa sono le oscillazioni del neutrino

La scoperta delle onde gravitazionali

Settimana pazzesca per la fisica. Con una conferenza stampa è stato annunciato che l’esperimento LIGO ha rilevato per la prima volta le onde gravitazionali. Ne parliamo oggi. La newsletter è lunga, ma ne vale la pena. Può essere utile dare una letta alla scorsa newsletter sui buchi neri, per chi non l’avesse fatto.
Durante la conferenza stampa ho fatto un livetweet. Lo trovate qui.
Ricordo che le newsletter sono pubblicate online con qualche giorno di ritardo.
Space break è anche sui social: qui la pagina facebook e qui l’account twitter.
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Di cosa parliamo oggi
– cosa sono le onde gravitazionali
– come rilevare le onde gravitazionali
– la dimensione di quello che è accaduto
– pillole della settimana

Riassunto delle puntate precedenti
L’universo in cui viviamo, secondo la Teoria della Relatività, “poggia” su una struttura geometrica intangibile chiamata spaziotempo. Possiamo immaginare questa struttura come un lenzuolo steso. La presenza di stelle, pianeti o di altri oggetti dotati di massa sopra il lenzuolo ne modifica la forma, creando delle conche. Questo effetto di deformazione, chiamato curvatura, è il modo in cui la Relatività descrive la gravità: se si finisce nella conca di un altro corpo, ci si cade addosso. La presenza di masse, quindi, modifica lo spaziotempo, ossia deforma sia il tempo che lo spazio. Nella nostra vita non ci accorgiamo di queste deformazioni perché anche noi veniamo deformati insieme allo spaziotempo e tutto ci sembra normale.

Cosa sono le onde gravitazionali
Oltre a questo, la Relatività predice che delle masse in accelerazione, ad esempio due masse che ruotano l’una attorno all’altra, producano, oltre alle loro conche, delle increspature dello spaziotempo che si propagano nel lenzuolo. L’idea è simile a quella di una barca che muovendosi sull’acqua produce delle onde. L’unica importante differenza è che non è sufficiente che le masse si muovano come la barca, ma devono proprio accelerare (modificando il loro momento di quadrupolo, per chi sa cos’è).
Le onde gravitazionali si propagano deformando lo spaziotempo in senso radiale, come in questa animazione.

SoylentGreen – Opera propria, CC BY-SA 3.0 [link]

Dato che le onde deformano lo spaziotempo, significa che al loro passaggio deformano il tempo e lo spazio. Ed è proprio questa deformazione che può essere misurata per individuarle.

Come rilevare le onde gravitazionali
Per rilevare le onde gravitazionali è sufficiente misurare la deformazione dello spazio, ossia la deformazione delle distanze al passaggio dell’onda e confrontare questa deformazione con quello che ci si aspetta. Semplice, no? No.
Le onde gravitazionali sono segnali così deboli che deformano le distanze per meno di 1 miliardesimo di miliardesimo di metro. Bisogna quindi essere in grado di costruire un apparato estremamente sensibile e, soprattutto, isolato da altri disturbi elettromagnetici, termici, acustici o sismici, che sono ben più intensi. Serve poi uno strumento di misura che non si deformi insieme allo spazio quando passa l’onda, altrimenti sarebbe impossibile misurare la deformazione. Fortunatamente ne abbiamo uno: la velocità della luce è una costante universale e possiamo quindi usarla come “righello” per vedere se lo spazio si deforma oppure no. Ora vediamo come.

Advanced LIGO in Washington (Credit: MIT/CalTech LIGO)

LIGO è un’enorme antenna
Advanced LIGO è un apparato costruito per misurare le deformazioni dello spazio e captare quindi le onde gravitazionali. Si può dire che, essenzialmente, è un’enorme antenna: utilizzando dei principi fisici, riceve dei segnali. Ci sono due Advanced LIGO, uno in Louisiana e uno nello stato di Washington, a tremila chilometri di distanza.
Nella pratica LIGO è un interferometro di Michelson, simile a quello usato da Michelson e Morley nel 1887, ma molto più grande e ovviamente più complesso.
Funziona così: un raggio laser viene sparato contro uno splitter, quello rosso nell’immagine qui sotto. Uno splitter è un dispositivo ottico in grado di dividere il raggio in due fasci perpendicolari. Dallo splitter i due fasci percorrono due bracci lunghi quattro chilometri. Al termine di ogni braccio si trovano degli specchi – quelli verdi – che riflettono i fasci all’indietro. Ad un certo punto i due fasci laser si reincrociano nello splitter, si riuniscono in un unico fascio e vengono indirizzati verso un rilevatore – quello nero.

Credit: B. P. Abbott et al. Phys. Rev. Lett. 116, 061102 – Published 11 February 2016 DOI CC BY 3.0

Inizialmente il raggio laser è unico. Dallo splitter in poi, però, i due fasci viaggiano lungo percorsi diversi, perpendicolari tra loro. I percorsi sono tuttavia lunghi uguali e quando i due fasci si riuniscono, ricreano il raggio originale. Quando però uno dei due bracci è un po’ più lungo dell’altro, i fasci non ricreano il raggio originale, ma formano una figura di interferenza, che si nota quando due segnali sono sfasati tra loro o sono diversi e quindi si disturbano a vicenda. L’interferenza è un fenomeno che conosciamo tutti: è il cellulare che gratta le casse audio quando riceviamo un sms, un fulmine che altera il segnale tv, due onde nel mare che si incrociano.

interfrenza

La cosa interessante è che studiando le figure di interferenza possiamo ricostruire il segnale che le ha generate.

Cosa succede quando arriva un’onda gravitazionale
All’arrivo di un’onda gravitazionale lo spaziotempo si deforma e le distanze tra gli specchi – quelli verdi – cambiano. I due bracci quindi si accorciano o si allungano in base a come è fatta l’onda. Noi non ci accorgiamo di questa deformazione dello spazio perché anche noi siamo “immersi” nello spaziotempo: è la nostra realtà a deformarsi. Tuttavia il raggio laser viaggia alla velocità della luce, che è una costante universale. Se al passaggio di un’onda gravitazionale uno dei due bracci si allunga, allora il fascio che sta viaggiando in quel braccio deve fare più strada dell’altro. Quando i due fasci si ricongiungono hanno quindi percorso distanze diverse e creano una figura di interferenza.

Cosa ha visto LIGO 
LIGO ad un certo punto ha visto una figura di interferenza. Studiandola, gli scienziati hanno ricreato la forma dell’onda che l’ha generata. Eccola.

Credit: P. Abbott et al. Phys. Rev. Lett. 116, 061102 – Published 11 February 2016 DOI CC BY 3.0

Questa è l’onda gravitazionale che è stata misurata. È durata circa due decimi di secondo e ha deformato i bracci di LIGO – che sono lunghi 4 Km – solo di un millesimo di miliardesimo di miliardesimo di metro.

Cosa ci dice questo segnale (tanto)
Il segnale, come si vede anche a occhio, aumenta nel tempo sia l’ampiezza che la frequenza di oscillazione, per poi decadere bruscamente alla fine. La spiegazione più probabile per un segnale di questo tipo è che sia stato generato da due masse in collisione e in rotazione a circa 150 mila Km orari al secondo. Attraverso dei calcoli è stato stimato che la collisione sia avvenuta 1,3 miliardi di anni fa a più di 12 mila miliardi di miliardi di chilometri da noi, che la somma delle due masse coinvolte sia circa 70 masse solari (70 volte la massa del Sole) e che le due masse dovessero essere molto compatte e vicine, a circa 350 Km l’una dall’altra. Gli unici oggetti celesti previsti dalle nostre teorie che possono avere così tanta massa, ma ruotare così vicini sono due buchi neri. Inoltre, il decadimento così brusco dell’onda verso la fine del segnale è compatibile con la rapida formazione di un unico buco nero una volta che i due si sono scontrati. Ulteriori analisi hanno stabilito che le masse dei due buchi neri fossero rispettivamente 36 e 29 masse solari. La massa del buco nero in cui si sono fusi è 62 masse solari.
Notate: 36+29= 65, non 62. Dove sono finite le 3 masse solari mancanti? La massa che manca si è trasformata in energia, sotto forma di onde gravitazionali. Il processo però è stato così rapido (meno di due decimi di secondo) che la potenza emessa è pari alla maggiore della potenza di tutte le stelle visibili nell’universo.
Come se tutto ciò non bastasse, questa rilevazione è anche la prima prova diretta dell’esistenza di sistemi binari di buchi neri.

È valido il risultato?
Rilevare un segnale così debole è tecnicamente molto difficile. È stato fatto un enorme lavoro per amplificare il segnale e sopprimere i disturbi. Il raggio laser viene potenziato con alcuni stratagemmi da una potenza di 20 Watt a 100 mila Watt, gli specchi sono isolati dal rumore sismico e sono costruiti con materiali particolari per diminuire le oscillazioni termiche e tutti i componenti sono montati su impalcature in ultravuoto per isolarli dalle vibrazioni. Ma nonostante tutti gli accorgimenti, potremmo chiederci: è valido il risultato?
Siamo piuttosto certi che lo sia. Innanzitutto il segnale è stato rilevato da entrambi i LIGO, a pochi millisecondi di distanza, come se l’onda fosse arrivata prima in Washington e poi in Louisiana e il ritardo di misura è compatibile con la propagazione di un’onda gravitazionale. Il segnale, poi, è così forte che è stato rilevato già sui dati in tempo reale, ossia attraverso le analisi preliminari, che sono meno approfondite di quelle fatte a posteriori ed ha una confidenza maggiore di 5 sigma, che è un modo statistico per dire che, per carità, potrebbe essere un falso allarme, ma un falso allarme come questo accade una volta ogni 203 mila anni.
Inoltre il segnale è arrivato il 14 Settembre scorso. Da allora fino ad oggi gli scienziati che collaborano al progetto hanno controllato i dati e testato la risposta dell’antenna ai disturbi esterni. La procedura è così serrata che nella collaborazione esistono alcune persone che possono inserire all’insaputa di tutti gli altri dei falsi segnali. È accaduto in passato: erano tutti pronti alla conferenza stampa, ma si trattava di un’esercitazione. Per questo i membri del progetto devono rispettare un vincolo di segretezza. Inoltre è bene sapere che alla collaborazione LIGO partecipano più di mille ricercatori divisi in quattro continenti. Questo significa che il risultato è già stato abbondantemente sottoposto al processo di revisione scientifica – chiamato peer review – ancor prima della pubblicazione.

Gli amici di LIGO 
I due Advanced LIGO non sono gli unici rilevatori di onde gravitazionali. Ne esistono altri: GEO600 e VIRGO ad esempio. VIRGO si trova Pisa, ha caratteristiche simili a LIGO e dovrebbe essere presto attivato dopo alcuni miglioramenti, mentre GEO600 non è ancora abbastanza sensibile per rilevare eventi di questo tipo.
eLISA è invece un rilevatore spaziale che verrà lanciato in orbita nel 2034. Oggi in orbita c’è Lisa Pathfinder, una missione test per collaudare le tecnologie necessarie a eLISA.
Tutti questi rilevatori stanno creando poco a poco una rete online, in modo da poter analizzare insieme i dati rilevati.

La dimensione di quello che è accaduto
Si tratta di una scoperta epocale. Le onde gravitazionali sono state teorizzate da Einstein 100 anni fa. Per trovarle sono serviti anni di ricerca, mille scienziati, 103 istituti coinvolti e milioni di finanziamenti. Uno sforzo scientifico e tecnologico impressionante. Chicca: la prima validazione del segnale come probabile onda gravitazionale è stata fatta dall’Università di Trento in collaborazione con l’Albert Einstein Institute di Hannover. Trovate qualche dettaglio negli approfondimenti.

Pillole della settimana
Alcune notizie di questi giorni, brevi.

Lisa Pathfinder ha liberato le masse di prova
Lisa Pathfinder è una missione spaziale per testare le tecnologie necessarie per l’esperimento eLISA, un rilevatore di onde gravitazionali simile a LIGO e VIRGO, ma con caratteristiche diverse e che verrà posizionato nello spazio e non sulla Terra. Lisa Pathfinder ha raggiunto la sua destinazione, un punto del sistema solare chiamato L1, e questa settimana ha rilasciato le masse di prova, che durante il lancio erano state fissate con dei fermi. Le masse di prova sono dei cubi di oro platino di 4.5 cm e hanno lo stesso ruolo degli specchi nell’esperimento LIGO. Tra una ventina di giorni potranno cominciare i test scientifici.

Ciao ciao, Philae
Philae, il lander che si trova sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko e che era finito in una zona d’ombra, ricoperto di polveri, non si sveglierà più. I tentativi di rianimarlo sono falliti, ha le pile scariche e non c’è più niente da fare. Ci lascia comunque un po’ di dati da analizzare.

Astrosamantha, al cinema
L’1 e il 2 marzo (e solo in quei giorni) sarà al cinema il film sugli scorsi tre anni di vita dell’astronauta Samantha Cristoforetti, la prima donna italiana nello spazio. Potete prenotare il biglietto online. Qui il sito del docufilm, qui il trailer. Consiglio: andateci.

Per approfondire
– Il ruolo dei ricercatori italiani nella scoperta
– La storia dei rilevatori di onde gravitazionali, di Licia Troisi
– La conversione in onde sonore del segnale rilevato da LIGO
– La conferenza stampa di Giovedì scorso, su youtube (inglese)
– Un video di Scientific American su come funziona LIGO (inglese)
– Un video dell’Istituto italiano di Astrofisica (INAF)
– Marco Drago, l’italiano che per primo ha visto il segnale, qui in italiano, qui in inglese
– L’articolo scientifico sulla scoperta, pubblicato su Physical Review Letters
– La scoperta, raccontata come una storia di Paolo Calisse

I buchi neri, LIGO e le onde gravitazionali

La settimana scorsa abbiamo parlato della Relatività e siamo pronti a capire cosa sono i buchi neri. Qui trovate le scorse newsletter, qui la pagina facebook e qui l’account twitter di Space break.
Oggi però è anche un giorno importante per la fisica. Forse sono state rilevate per la prima volta le onde gravitazionali e c’è un’attesa conferenza stampa oggi pomeriggio.
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Di cosa parliamo oggi
– cosa sono i buchi neri
– vedere i buchi neri (ma esistono davvero?)
– forse LIGO ha rilevato le onde gravitazionali

Cosa sono i buchi neri
Come abbiamo detto l’altra volta, secondo la Relatività l’universo “poggia” – per così dire – su una struttura intangibile chiamata spaziotempo che possiamo immaginare come un lenzuolo steso. La presenza di un corpo, come ad esempio un pianeta, una stella, una galassia o un comodino deforma il lenzuolo creando delle conche. Quando gli oggetti finiscono vicino a queste conche, ci cadono dentro come in questa animazione (si ingrandisce cliccando).

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La gravità quindi non è considerata una forza vera e propria, ma l’effetto di una deformazione geometrica dell’universo. È una descrizione strana, ma incredibilmente efficace e in accordo con gli esperimenti.
Abbiamo anche detto che pure i raggi di luce, che si spostano seguendo la griglia dello spaziotempo, cadono in queste conche e il loro percorso viene deviato dalla curvatura.
Più un corpo ha massa, più la sua conca è profonda, più facilmente devia le traiettorie degli altri corpi e della luce. Quindi la conca fatta dal Sole è più profonda di quella fatta dalla Terra, che è più profonda di quella fatta da una mongolfiera, che è più profonda di quella fatta da una pulce.
Per chi si è perso e per chi non c’era, rimando alla scorsa newsletter.

La velocità di fuga e il raggio di Schwarzschild
Per non cadere in una conca, un oggetto deve superare la cosiddetta velocità di fuga. La velocità di fuga è insomma la velocità necessaria per sfuggire alla gravità di un pianeta o di una stella, senza caderci addosso. Ad esempio sulla superficie della Terra la velocità di fuga è pari a 40’320 Km orari. Più ci si allontana dalla Terra però, meno si sente la gravità e la velocità di fuga diminuisce: a 9 mila chilometri dalla superficie, la velocità di fuga è 25’560 km orari. Quando mandiamo un oggetto nello spazio utilizziamo dei razzi che accelerano fino alla velocità di fuga e che possono poi viaggiare senza propulsione.
Anche la luce, per riuscire a sfuggire a una conca gravitazionale, deve superare la velocità di fuga. Tuttavia di solito non è un problema: la velocità della luce nel vuoto è enorme: circa 300’000 Km al secondo. E infatti riusciamo a mandare segnali luminosi nello spazio senza preoccupazioni.
Esiste però una distanza dai pianeti o dalle stelle, chiamata raggio di Schwarzschild, entro la quale anche la luce rimane intrappolata (la parola “raggio” va intesa in senso geometrico, come il raggio di un cerchio o di una bicicletta). Quale sarebbe questa distanza nel caso della Terra? Per la Terra – la cui massa è quasi 6 milioni di miliardi di miliardi di Kg – il raggio di Schwarzschild è poco più di 8 millimetri, per la precisione 8,869 millimetri. Cosa significa? Significa che se tutta la massa della Terra fosse compressa in una pallina con un raggio, supponiamo, di 8 millimetri, una volta arrivata a una distanza inferiore o uguale a 0,869 millimetri dalla superficie della Terra, anche la luce non potrebbe più sfuggire. E poiché nessun corpo può andare più veloce della luce, nulla può uscire dal raggio di Schwarzschild.
Fortunatamente non è così: la Terra non è condensata in una pallina piccolissima e il raggio di Schwarzschild, nel nostro caso, non c’è. Questo ci permette di mandare segnali elettromagnetici nello spazio senza problemi.
Cosa accade però quando una grande quantità di massa, per qualche motivo, si compatta in una pallina piccolissima?

I buchi neri non sono buchi
Quando una grande massa si compatta in un volume piccolo lo spaziotempo si deforma molto, ossia la conca si fa sempre più profonda, come in questa immagine.

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Perciò, a parità di distanza dalla pallina, la curvatura dello spaziotempo, ossia la gravità, diventa sempre più forte e la velocità di fuga necessaria per sfuggire dalla buca è sempre più alta.
Se la pallina in cui è compattata la materia è estremamente piccola allora ha senso parlare del raggio di Schwarzschild – la distanza entro la quale nemmeno la luce può sfuggire. Alla distanza prevista dal raggio di Schwarzschild si crea una superficie sferica chiamata orizzonte degli eventi, qui rappresentata da quel semicerchio nero.

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Tutti gli eventi che accadono dentro l’orizzonte degli eventi, ossia entro il raggio di Schwarzschild, non possono essere osservati da fuori. Questo accade perché nemmeno la luce può uscire: da quel punto in poi un osservatore esterno vede solo una sfera nera e nulla più. Questo è il buco nero.
Come avete capito, però, non è propriamente un buco, ma una parte di universo da cui nulla può uscire e che non possiamo osservare.

Come vedere i buchi neri, se esistono
I buchi neri quindi non si possono vedere per un motivo molto semplice: sono neri. Quando osserviamo il cielo riusciamo a vedere tutti gli oggetti che emettono onde elettromagnetiche: luce visibile, ad esempio, ma anche raggi infrarossi, ultravioletti, segnali radio e così via. Tutti questi segnali viaggiano alla velocità della luce, raggiungono la Terra e possono essere captati dall’occhio umano o da delle antenne. I buchi neri, però, “mangiano” tutto, anche questi segnali, e non ne emettono. Come facciamo allora a sapere che esistono? E come possiamo vederli? (Bonus: in realtà crediamo che i buchi neri possano emettere qualcosa – la radiazione di Hawking – ma ne parleremo un’altra volta)

Cercare cosa manca
Dato che non possiamo vederli direttamente, un metodo per cercare i buchi neri è puntare un telescopio dove si crede che ci possa essere un buco nero e vedere se manca qualcosa. Secondo le teorie moderne, al centro di ogni galassia si trova un buco nero supermassiccio. Negli anni novanta è stato quindi puntato un telescopio al centro della nostra Galassia, la Via Lattea. Dopo anni di osservazione, ecco cosa è stato visto (si ingrandisce cliccando).

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La stella segnata dal tracciato giallo si chiama S2 e sta girando intorno a qualcosa che non si vede. Per dare un’idea di quanto veloce stia andando, il righello in alto a destra (10 giorni luce) equivale a 259 miliardi di chilometri. Cosa c’è lì al centro? Dai calcoli dell’orbita si è stimato che l’oggetto misterioso attorno al quale S2 sta girando ha una massa pari a 3,7 milioni di Soli. Secondo le teorie moderne un oggetto così grande che non emette radiazione può essere solo un buco nero.
Gli astronomi hanno trovato evidenze simili anche al centro di altre galassie, sempre studiando il moto del materiale che orbita attorno al loro centro.

Cercare cosa scompare
Certo i buchi neri non si trovano solo al centro delle galassie: nulla vieta che ce ne siano altri da altre parti. Per trovarne bisogna essere molto fortunati – osservando per caso fenomeni spiegabili soltanto dalla presenza di un buco nero – oppure usare un po’ di astuzia e osservare le supergiganti rosse.
Una supergigante rossa è una stella che ha quasi completato il suo processo di fusione ed è “in fine vita”. Una volta terminati i processi di fusione può esplodere e diventare una supernova oppure può formare un buco nero. Gli astronomi da tempo osservano con attenzione decine di supergiganti rosse. L’idea è semplice: se improvvisamente scompaiono, potrebbe essersi formato un buco nero.
È quello che è accaduto a un paio di stelle l’anno scorso. Un attimo prima c’erano, un attimo dopo non c’erano più. Non è detto che siano diventate dei buchi neri, però. Le stelle potrebbero avere una luminosità molto variabile o potrebbero essere finite dietro un ammasso di polveri e detriti. Non possiamo fare altro che continuare ad osservarle e pazientare.

LIGO ha rilevato le onde gravitazionali, si dice
LIGO è un importante esperimento pensato per rilevare le onde gravitazionali. È formato da due rilevatori – uno in Lousiana e uno nello stato di Washington – che funzionano come delle antenne.

LIGO

Advanced LIGO, in Washington (Credit: MIT/CalTech LIGO)

Nella prossima newsletter parleremo delle onde gravitazionali. Per ora ci accontentiamo di sapere che sono delle increspature nello spaziotempo predette da Einstein ormai cento anni fa, che quasi tutta la comunità scientifica crede nella loro esistenza e che sono molto sfuggenti. Chi vuole saperne un po’ di più può guardare questo video su youtube, attivando i sottotitoli in italiano.
Da tempo si mormora che LIGO abbia captato qualcosa di interessante, ma le voci si sono fatte più forti da quando lo staff di LIGO (composto da circa mille collaboratori sparsi in tutto il mondo) ha invitato tutta la comunità scientifica a una conferenza stampa per “fornire aggiornamenti sulla ricerca delle onde gravitazionali”.
Se LIGO avesse trovato le onde gravitazionali sarebbe una notizia epocale anche se, ricordo, i dati dovranno passare il vaglio della comunità scientifica per una conferma definitiva. Ciò che renderebbe comunque molto promettente la possibile scoperta è che i dati di LIGO sono analizzati da molti gruppi di ricerca che partecipano alla collaborazione scientifica. L’appuntamento per la conferenza stampa è oggi 11 Febbraio alle 16:30. Uno streaming sarà disponibile su youtube. Seguite la pagina facebook per aggiornamenti. Se riesco faccio un livetweet su twitter.

Per approfondire
– La prima evidenza scientifica della relatività generale
– Cosa sono i micro buchi neri
– E interstellar? Un bel video di Rai Scuola

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