Categoria: Space Break

L’elettromagnetismo

Scegliere di cosa parlare oggi non è stato facile. Ci siamo lasciati parlando di fusione e fissione nucleare e avrei voluto riprendere da lì. Poi però mi è arrivato un messaggio su whatsapp. Nel messaggio si diceva che il coronavirus si diffonde a causa del 5G, la nuova generazione di tecnologie per le reti di telefonia mobile a bassa latenza. Il messaggio sosteneva, insomma, che il coronavirus si diffonde maggiormente laddove c’è un maggiore inquinamento elettromagnetico dovuto alle nuove antenne 5G.
Non entro nella polemica. Il mondo scientifico non ha trovato alcuna correlazione tra il coronavirus e la diffusione di antenne 5G, ma ovviamente ognuno è libero di non fidarsi del mondo scientifico e di pensarla come vuole.
Tuttavia visto che se ne parla, tanto vale chiarire qualche premessa. Ad esempio: cosa sono i campi elettromagnetici?

Di cosa parliamo oggi
– L’elettricità e il magnetismo
– I campi elettromagnetici
– Le onde elettromagnetiche

L’elettricità e il magnetismo
Tutti nella nostra vita abbiamo giocato con una calamita e tutti siamo circondati da dispositivi elettrici. L’elettricità e il magnetismo sono due fenomeni che l’umanità utilizza da decenni con successo e che diamo praticamente per scontati. Apparentemente sono due fenomeni completamente diversi. Il magnetismo è una proprietà di alcuni materiali, come ad esempio la magnetite, che riescono ad attirare alcuni metalli. L’elettricità invece, che è dovuta alla presenza o al movimento di cariche elettriche, si manifesta in molti modi: il fenomeno elettrico più evidente è il fulmine, ma di sicuro sentiamo delle scariche elettriche anche quando indossiamo un maglione di lana e i nostri capelli, dopo qualche crepitio, assumono pettinature improbabili. Entrambi i fenomeni sono ampiamente sfruttati dall’uomo. I magneti sono componenti di largo impiego, dalla meccanica alle bande magnetiche delle carte di credito; l’elettricità, è entrata prepotentemente nelle nostre vite da quando Alessandro Volta inventò la prima batteria.

Nonostante sembrino così diversi, l’elettricità e il magnetismo non sono fenomeni distinti. A fine Ottocento si scoprì infatti che muovendo un magnete vicino a dei fili di metallo è possibile generare delle correnti. Per chi se ne intende di motori, questo è il principio di funzionamento degli alternatori.

Viceversa si scoprì che muovendo delle cariche elettriche è possibile creare delle forze magnetiche. Nel video che segue viene utilizzata una batteria per creare una corrente dentro a un filo. Al passaggio della corrente, la bussola, che solitamente indica il nord e il sud magnetico terrestre, viene attirata da una seconda misteriosa forza magnetica. Questo principio è alla base del funzionamento degli elettromagneti utilizzati per la raccolta del ferro.

L’elettricità e il magnetismo, quindi, non sono fenomeni distinti, ma manifestazioni differenti dello stesso fenomeno fisico: l’elettromagnetismo. Per chi volesse approfondire, le forze elettromagnetiche sono una delle quattro forze fondamentali che regolano il funzionamento del nostro universo.

I campi elettromagnetici
Come intuirete, per misurare un fenomeno elettrico o un fenomeno magnetico è necessario che ci sia una sorgente. Facciamo un esempio: perché la bussola si orienta sempre nella stessa direzione? Perché rileva la presenza di una sorgente magnetica molto intensa, il nucleo della Terra. Come avete visto nel video, però, se introduco un’altra sorgente sufficientemente potente (il filo percorso da corrente), la bussola si sposta, rilevando la presenza di entrambe le sorgenti e sovrapponendo le misurazioni. La bussola, però, non ci dà valori numerici, ma solo delle direzioni. Per sapere quanto è intenso un fenomeno magnetico serve uno strumento chiamato magnetometro: un sensore che rileva l’intensità delle sorgenti. Più una sorgente è vicina, maggiore è l’intensità. Se mi allontano, l’intensità diminuisce.
Lo stesso discorso vale per i fenomeni elettrici. Le sorgenti in questo caso sono solitamente dei materiali carichi. Per misurare l’intensità delle sorgenti si utilizzano dei sensori chiamati sensori EFM. Anche in questo caso, più una sorgente è vicina, maggiore è l’intensità. Se mi allontano, l’intensità diminuisce.

Ora, se portassimo con noi entrambi gli strumenti – un magnetometro e un sensore EFM – scopriremmo che siamo circondati di sorgenti elettromagnetiche: i magneti, le batterie, il nucleo della Terra, i cavi elettrici, i cellulari, i frigoriferi, le antenne trasmittenti, i forni, i frullatori. Generalmente ogni cosa – comprese le piante e il terreno – è una sorgente elettrica e magnetica. Anche il corpo umano è percorso da correnti elettriche, che regolano l’attività del nostro cervello, dei nostri muscoli e del nostro cuore: noi siamo deboli sorgenti elettromagnetiche. 
I nostri strumenti misurerebbero, nel punto in cui si trovano, gli effetti dovuti alla somma di tutte le sorgenti e, nel fare le misure, scopriremmo che i valori misurati dai nostri strumenti cambiano nel tempo: le sorgenti possono spegnersi, accendersi o spostarsi, influendo così sulle misure effettuate.

Cosa sono quindi i campi elettromagnetici? Immaginate di poter congelare il tempo e di eseguire contemporaneamente una misura in tutti i punti dello spazio attorno a voi: quella mappa di valori sarebbe il campo elettromagnetico che vi circonda, in quell’istante.
La situazione è simile a quella di un contadino che volesse sapere quante spighe ha ciascuna pianta nel suo campo di granoturco. Si dovrebbe spostare di pianta in pianta, misurare il numero di pannocchie e segnarlo su una mappa che rappresenta il campo di granoturco. Allo stesso modo, conoscere il campo elettromagnetico significa conoscere i valori misurati dal magnetometro e dal sensore EFM nello spazio attorno a noi. 

Le onde elettromagnetiche
Il campo elettromagnetico può essere solitamente captato con dei ricevitori, delle antenne, che sono ovviamente molto usate nell’ambito delle telecomunicazioni: da quando Morse inventò il primo telegrafo elettrico siamo in grado di creare delle sorgenti elettromagnetiche per trasmettere dei segnali in codice e grazie a Guglielmo Marconi, lo sappiamo fare anche senza fili. Questi segnali producono delle variazioni nel campo elettromagnetico, chiamate onde elettromagnetiche e queste variazioni possono essere captare da opportune antenne, che ricevono il segnale e ci permettono di decodificarlo. 
Le onde elettromagnetiche sono quindi tutti i segnali che modificano il campo elettromagnetico attorno a noi. Una buona parte sono di origine artificiale: i segnali radio, i segnali televisivi, i segnali wifi, i segnali bluetooth e i segnali telefonici che vengono trasmessi da un ripetitore all’altro sono onde elettromagnetiche. Ma esistono moltissime onde elettromagnetiche prodotte da sorgenti naturali. Un esempio? I raggi solari.

La fusione nucleare

La scorsa volta abbiamo parlato della fissione nucleare, mentre oggi parliamo di un altro tipo di reazione nucleare: la fusione. È la reazione che fa bruciare e quindi brillare le stelle.

Prima però ecco la puntata di Storie, il podcast in cui intervisto giovani ricercatori in fisica. In questa puntata ho parlato con Alessandro David, dell’Università di Costanza, che si occupa di informatica quantistica. L’audio purtroppo non è ottimale perché non ho potuto usare il nuovo microfono. Portate pazienza.

Ascolta “4. Informatica e computer quantistici” su Spreaker.

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Di cosa parliamo oggi
– la fusione nucleare
– la fusione delle stelle
– le centrali a fusione

La fusione nucleare
Se vi ricordate questa newsletter sugli orbitali atomici, avevamo detto che gli atomi che compongono la materia sono composti da un nucleo, in cui si trovano protoni e neutroni – attorno al quale “ruotano” degli elettroni – e che gli atomi sono classificati in base al numero di protoni che hanno: a un numero diverso di protoni corrisponde un elemento diverso della tavola periodica. I protoni all’interno del nucleo, poi, hanno una carica elettrica positiva e questo è il motivo per cui è molto difficile far avvicinare i nuclei di due atomi: avendo la stessa carica elettrica, si respingono.
Supponiamo però di riuscire a comprimere due nuclei atomici così tanto da superare questa repulsione: quando sono abbastanza vicini i nuclei degli atomi si fondono in un nucleo unico, con un numero diverso di protoni e neutroni. Da i due atomi iniziali si crea un terzo atomo, con una massa diversa: questo processo prende il nome di fusione nucleare.
Se notate, il processo di fusione è esattamente il contrario della fissione nucleare, in cui un atomo si spezza in frammenti più piccoli.

L’energia
Fortunatamente il processo di fusione non avviene in condizioni normali, perché i nuclei degli atomi tendono a stare a distanza a causa della repulsione elettromagnetica. In un certo senso è questo il motivo per cui esiste la materia e i nostri corpi non collassano su loro stessi.
Per innescare la fusione nucleare è necessaria energia: bisogna sconfiggere la repulsione tra i nuclei. Ma cosa accade una volta innescata?
Per capirlo dobbiamo tornare a immaginare come è fatto un nucleo atomico. I protoni e i neutroni nel nucleo sono tenuti insieme da una forza naturale chiamata interazione nucleare forte. Ne abbiamo parlato in una delle prime newsletter di Space Break. Nel momento della fusione tra due nuclei, i legami tra protoni e neutroni dovuti all’interazione nucleare forte si rompono, permettendo ai protoni e ai neutroni di ricombinarsi creando dei nuovi legami.
A questo punto si possono verificare due possibilità: o il prodotto della fusione ha una massa inferiore alle masse dei nuclei di partenza, oppure ha una massa maggiore.
Nel caso in cui il prodotto della fusione abbia una massa inferiore, significa che la massa mancante si è trasformata in energia, seguendo la famosa legge di Einstein E=mc^2. In questo caso, quindi, il processo di fusione è esotermico, ossia libera energia.
Nell’altro caso invece, ossia quando il prodotto della reazione ha una massa maggiore dei nuclei di partenza, significa che l’atomo ha assorbito energia, trasformandola in massa. Il processo di fusione è in questo caso endotermico: mangia energia.
Considerate che, a causa della legge di Einstein, una piccola variazione di massa corrisponde a una grande quantità di energia. Trasformando in energia un grammo di materia tramite la relazione E=mc^2 si ottengono circa 21480879541 Kcal, che è l’equivalente energetico di 36 milioni di pizze margherite.

In particolare, tutti i processi di fusione che coinvolgono i primi 26 elementi della tavola periodica – come ad esempio idrogeno, elio, carbonio, ossigeno, litio, sodio e ferro – sono esotermici e liberano una grande quantità di energia. I processi di fusione che coinvolgono altri elementi sono solitamente endotermici e consumano energia, creando nuovi elementi più “pesanti”.

La fusione delle stelle
In generale, più i nuclei di partenza sono “pesanti”, più è alta l’energia necessaria a innescare la reazione. Se ci pensate la cosa ha senso: gli atomi più pesanti hanno dei nuclei con un numero maggiore di protoni e quindi tendono a respingersi tra loro con più forza. Gli atomi più leggeri invece hanno meno protoni e quindi i loro nuclei sono più facili da avvicinare. Per questo motivo, sia in natura che nelle applicazioni tecnologiche della fusione, gli atomi coinvolti sono solitamente atomi di idrogeno, il cui nucleo ha un solo protone.
E l’idrogeno è l’ingrediente principale della reazione nucleare che avviene all’interno delle stelle. Le stelle infatti bruciano, emettendo una grande quantità di energia sotto forma di radiazioni elettromagnetiche, proprio grazie a un processo di fusione nucleare. Si ritiene che all’inizio della loro vita le stelle siano composte quasi esclusivamente di idrogeno e che questo si trasformi in altri elementi più pesanti, che possono a loro volta partecipare a nuovi processi di fusione.
L’intero processo, chiamato nucleosintesi, funziona più o meno così: nella parte esterna della stella, quella più superficiale e (quella più fredda), avviene la fusione dell’idrogeno. Questa reazione produce deuterio ed infine elio che, essendo più “pesante” – ha un nucleo con due protoni e due neutroni, mentre l’idrogeno ha solo un protone – scivola più internamente. Scivolando all’interno, però, l’elio si trova sottoposto a una pressione e a una temperatura maggiori e, se la pressione è sufficiente, si fonde producendo litio e berillio. A questo punto i prodotti della fusione nucleare, scivolano nuovamente verso l’interno e si innescano nuovi processi di fusione a più alte temperature: dal berillio si formano il carbonio, l’azoto, l’ossigeno e via via elementi sempre più pesanti. Si ritiene che nei nuclei delle stelle di medie dimensioni – come il nostro Sole – avvengano le reazioni esotermiche del ferro e del nichel e che – la cosa è abbastanza affascinante – tutti gli atomi di cui siamo composti siano stati prodotti in un lontano passato da dei processi di fusione nucleare come quelli che possiamo osservare oggi nelle stelle.
All’interno delle stelle avvengono anche dei particolari processi nucleari che, in certe circostanze, possono produrre elementi più pesanti del ferro e del nichel, ma non si tratta propriamente di fusione nucleare.

Le centrali a fusione
I processi di fusione nucleare liberano moltissima energia e da anni ci si interroga sulla possibilità di costruire delle centrali nucleari che utilizzino la fusione anziché la fissione nucleare:  la fusione nucleare emette poche radiazioni, non lascia scorie radioattive e avviene a temperature molto più alte, rilasciando grandi quantità di energia.
La grande quantità di energia rilasciata e le temperature coinvolte sono di fatto il motivo per cui continuiamo a utilizzare centrali a fissione anziché centrali a fusione: anche riuscendo a innescare una reazione di fusione, come la si confina? Come possiamo controllarla? E soprattutto, come possiamo convertire tutta quell’energia rilasciata in energia elettrica in maniera efficiente?
A partire dagli anni settanta si sono susseguiti vari esperimenti per riprodurre in laboratorio le reazioni di fusione nucleare, come ad esempio JETJT-60 o START.
Attualmente il progetto più avanzato per la costruzione di un reattore nucleare a fusione è ITER, un prototipo sperimentale in grado di produrre più energia di quanta ne serva per accenderlo. I processi di reazione che avverranno in ITER saranno confinati da forti campi elettromagnetici, tramite una macchina chiamata tokamak (qui trovate una foto del tokamak che si trova al MIT di Boston). Se si provasse a confinare la reazione nucleare con delle semplici pareti, brucerebbero.

Pillola
Oggi niente pillole, ma questa la dovete sapere. In settimana SpaceX ha annunciato che è intenzionata a inviare due turisti in orbita attorno alla Luna nel 2018. Sta nascendo il turismo spaziale sotto al nostro naso. Segnatevi la data.
A tal proposito l’INAF ha chiesto all’astronauta italiano Paolo Nespoli cosa ne pensa. Ecco l’intervista.

La fisica di Ale
La striscia di oggi. I fumetti di Alessandro sono su Vuoto Comico.

La fissione nucleare

Vi siete mai chiesti come funziona una centrale nucleare? Si usano sostanze radioattive, certo. Ma cosa sono davvero? E come vengono utilizzate? E perché una centrale nucleare riesce a produrre molta più energia di una centrale elettrica a carbone? Ne parliamo oggi.

Nel frattempo, per chi se l’è persa, qui c’è la scorsa puntata di Storie, il podcast in cui intervisto giovani ricercatori in fisica. Ho parlato con Zeno Tornasi, dell’Università di Glasgow. Si occupa di onde gravitazionali.
Per scaricare o ricevere il podcast sul telefono potete utilizzare l’app Spreaker Podcast Radio, oppure la vostra app preferita (come iTunes o altre) utilizzando gli RSS del podcast. Le altre puntate sono qui.

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Ah, in fondo c’è la vignetta di Ale.

Di cosa parliamo oggi
– le centrali nucleari
– la fissione nucleare
– fusione e fissione
– pillole

Le centrali nucleari
Partiamo dall’argomento più semplice. Come fa una centrale nucleare a produrre energia elettrica? La risposta può sorprendere: esattamente come le centrali elettriche a carbone. Viene scaldata dell’acqua, l’acqua si trasforma in vapore, il vapore fa girare una turbina che a sua volta mette in moto un alternatore. L’alternatore è una macchina che trasforma l’energia meccanica della turbina in energia elettrica. Avete presente le “dinamo” per bicicletta che si usano per accendere il fanalino? Ecco, quelli sono alternatori.
Mentre l’alternatore genera corrente elettrica, il vapore acqueo si raffredda, torna allo stato liquido e il ciclo può ricominciare.
La differenza con le centrali a carbone non è quindi il procedimento usato per generare l’energia elettrica, ma la fonte utilizzata per scaldare l’acqua. Anziché bruciare il carbone si utilizzano delle sostanze radioattive.

Le sostanze radioattive
Ma quando una sostanza è radioattiva? Le sostanze radioattive sono formate da elementi piuttosto instabili, i cui atomi tendono a rompersi facilmente, causando la formazione di nuovi elementi ed emettendo radiazioni elettromagnetiche ad alta energia o altre piccole particelle. Le radiazioni, appunto.

La fissione nucleare
L’elemento radioattivo utilizzato nelle centrali nucleari è tipicamente l’uranio. Se vi ricordate questa newsletter, avevamo detto che gli atomi si distinguono tra loro in base al numero di protoni che li compongono: l’idrogeno ha 1 protone, l’elio ne ha 2, con 8 si fa l’ossigeno, con 26 il ferro e così via. L’uranio ne ha 92. Avevamo anche detto però che gli atomi sono formato anche da neutroni. Cambiando il numero dei neutroni di un elemento si formano i cosiddetti isotopi, ossia atomi dello stesso elemento ma con caratteristiche fisiche un po’ diverse. L’isotopo di uranio più diffuso è l’uranio-238, che ha (238 – 92) = 146 neutroni. Più del 99% dell’uranio in natura è uranio-238. L’uranio-238 è una sostanza radioattiva: con il passare del tempo i suoi atomi decadono, ossia si rompono dando vita a atomi con un numero più basso di protoni. Questo processo di rottura si chiama appunto fissione nucleare.
Quando si rompono, gli atomi di uranio-238 decadono in torio-234, che ha solo 90 protoni. Questo significa che l’uranio-238, decadendo, perde 2 protoni e 2 neutroni, che sono un nucleo di elio. I nuclei di elio sono chiamati anche particelle alfa e sono un tipo di radiazione non particolarmente pericoloso: basta un foglio di carta per fermarle.

Ovviamente più questi decadimenti avvengono velocemente, più vengono emesse radiazioni e più queste diventano pericolose.
Per determinare quanto l’uranio è radioattivo si calcola quindi il cosiddetto tempo di dimezzamento, ossia il tempo che ci mettono metà degli atomi di uranio a trasformarsi in torio, emettendo radiazioni alfa.
Il tempo di dimezzamento dell’uranio-238 è di circa 4,5 miliardi di anni. Se avete un chilo di uranio-238, dovrete aspettare tutto quel tempo affinché mezzo chilo si trasformi in torio.
Tra le sostanze radioattive, quindi, l’uranio-238 non è tra i più radioattivi. Emette radiazioni da cui è abbastanza facile schermarsi e il suo tempo di dimezzamento è piuttosto lungo.
Giusto per fare un confronto, un altro isotopo dell’uranio, l’uranio-239, emette radiazioni molto più pericolose (elettroni e positroni ad alta energia, detti anche particelle beta) e ha un tempo di dimezzamento di soli 23 minuti. Come vedete, l’uranio-239 e l’uranio-238 hanno solo un neutrone di differenza, eppure hanno caratteristiche molto diverse tra loro.
Nelle centrali nucleari si usa solitamente una miscela di due isotopi di uranio, l’uranio-238 e l’uranio-235, chiamata “uranio arricchito”, oppure una miscela di uranio e plutonio chiamata MOX.

Cosa accade nel nocciolo della centrale
Una volta preparata la miscela di combustibile, la si inserisce nel nocciolo della centrale nucleare e si cerca di innescare una reazione a catena: l’uranio arricchito viene bombardato con dei neutroni, per facilitarne la rottura. Gli atomi di uranio colpiti dai neutroni si spezzano quindi in torio, particelle alfa ad alta energia e altri neutroni, che a loro volta colpiscono altri atomi di uranio, replicando il processo.
Per facilitare l’innesco della reazione a catena, però, i neutroni devono essere rallentati alla giusta velocità. Per questo il nocciolo è immerso in una sostanza chiamata moderatore. Solitamente il moderatore utilizzato è il deuterio, conosciuto anche come acqua pesante.
Una volta innescata la reazione, però, i frammenti del processo di fissione, rallentando nel combustibile, generano calore che viene asportato da un fluido refrigerante: è l’acqua di cui parlavamo all’inizio, che raffredda il nocciolo scaldandosi e si trasforma in vapore, mettendo in moto la turbina.
La reazione a catena riesce quindi a liberare una grande quantità di energia: se un chilogrammo di carbone produce circa 8 kWh di energia, un chilogrammo di uranio-235 può produrne più di 20 milioni.

Fissione nucleare e fusione nucleare
Il processo di fissione è lo stesso che fu usato nelle bombe atomiche che colpirono Hiroshima e Nagasaki. Tuttavia, mentre nelle bombe nucleari la fissione avviene in modo incontrollato, nelle centrali nucleari la reazione viene controllata. Per controllare la reazione è necessario utilizzare una sostanza in grado di assorbire la maggior parte dei neutroni prodotti, così da limitare l’effetto catena. Nella miscela di uranio arricchito di cui abbiamo parlato, mentre l’uranio-235 partecipa attivamente alla fissione, l’uranio-238 ha proprio la capacità di assorbire i neutroni in eccesso, trasformandosi in uranio-239,che decade poi in plutonio-239.

Nonostante si usino principalmente uranio e plutonio, esistono molti altri elementi radioattivi in natura, come ad esempio il radon, il francio, l’astato o il polonio. Quest’ultimo è piuttosto famoso, in quanto fu usato nel 1998 per avvelenare a morte il dissidente russo Aleksandr Val’terovič Litvinenko.

C’è un ultimo appunto da fare. Esiste un altro tipo di reazione nucleare, chiamato fusione. È la reazione nucleare che avviene nelle stelle, produce molta più energia della fissione e non lascia alcun tipo di scoria radioattiva. Perché non usiamo la fusione anziché la fissione? Ne parliamo la prossima settimana.

Pillole
Alcune notizie di questi giorni, in breve.

104 satelliti in orbita con un solo lancio
L’India ha messo in orbita con un solo lancio 104 satelliti. È stato utilizzato il razzo Polar Satellite Launch Vehicle, che ha trasportato principalmente piccoli satelliti per rilevazioni della superficie terrestre e la raccolta di dati meteorologici. Un video della messa in orbita è qua.

La NASA e Marte
La NASA sta valutando la possibilità di utilizzare degli astronauti durante il primo lancio dello SLS, un nuovo sistema di lancio in fase di progettazione che dovrebbe essere inaugurato nei prossimi anni. Maggiori informazioni qui.

Forse si possono migliorare i telescopi
Dei ricercatori dell’Università di Toronto sono riusciti a migliorare in laboratorio la risoluzione di microscopi e telescopi. Quando le lenti inquadrano degli oggetti piccoli e molto vicini tra loro, non riescono a distinguerli a causa della diffrazione della luce nella lente: anziché vedere due puntini luminosi, si vede un unico oggetto sfocato. I ricercatori sono riusciti ad aumentare la risoluzione delle lenti sfruttando una caratteristica fisica dei raggi luminosi, chiamata fase. Non è ancora chiaro se si riuscirà a implementare questa nuova tecnica al di fuori degli ambienti controllati del laboratorio.

 

[Credit: La fissione nucleare, di Alessandro Toffali (Vuoto Comico), CC-BY-NC-ND 4.0]

 

La fisica di Ale
La striscia di oggi. I fumetti di Alessandro sono su Vuoto Comico.

Per approfondire
– Che cos’è la massa critica?
Come funziona una centrale nucleare (articolo)
– La fissione nucleare, spiegata da Rai Educational (video)
– La fissione nucleare, spiegata da Alessandro Cecchi Paone (video)

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