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L’entanglement
22 Gennaio 2017
Se ve lo siete chiesti, no, la newsletter non è sparita. Ho dovuto metterla in pausa inaspettatamente e riesco a riprenderla solo oggi. Detto questo, ringrazio chi in queste settimane si è iscritto sulla fiducia, magari dimenticandosi di averlo fatto. Impavidi.
Prima, però, ecco la seconda puntata del podcast Storie, in cui intervisto giovani ricercatori in fisica. È la volta di Fabrizio Larcher, che si occupa di fisica dei fluidi ultrafreddi all’università di Trento. Lo trovate qui.
Ascolta 2. I fluidi ultrafreddi” su Spreaker.
Oggi parliamo dell’entanglement, che è forse uno dei fenomeni più esotici e controintuitivi della fisica moderna, tanto che anche i fisici rischiano di fare confusione quando ne parlano. Cercherò di fare del mio meglio.
In fondo alla newsletter trovate la vignetta di Ale.
Se avete domande scrivetemi a spacebreak [at] francescobussola.it.
Potete seguirmi su facebook e twitter.
Di cosa parliamo oggi
– i sistemi quantistici
– il problema della misura
– l’entanglement
– pillole
L’entanglement
Nella scorsa newsletter, così come in altre occasioni, abbiamo avuto modo di ricordare che le particelle in natura non si comportano sempre come delle “palline”, ma spesso hanno un comportamento simile alle onde: riescono a superare parzialmente gli ostacoli (effetto tunnel), attraversano due fessure contemporaneamente e non possiamo determinare contemporaneamente la loro posizione e la loro velocità, così come faremmo con una biglia. Della loro natura i fisici riescono a dare solo una descrizione probabilistica. Ad esempio: qual è la probabilità che, provando a misurare una particella in una certa posizione, la trovi esattamente lì?
Questo accade non tanto per l’incapacità dei fisici di essere più precisi con i loro esperimenti, ma apparentemente per un limite intrinseco della natura, che a scale microscopiche comincia a comportarsi in maniera strana.
In termini fisici questo concetto si traduce così: le particelle non si trovano quasi mai in un preciso stato fisico, ben definito. Molto spesso sono in una sovrapposizione di stati.
In altre parole, non è colpa nostra se non riusciamo a dire a priori dove si trova una particella, perché, quando si comporta come un’onda, si trova un po’ qui e un po’ là con una certa probabilità. Fortunatamente riusciamo a codificare questa e altre informazioni probabilistiche in un oggetto matematico chiamato funzione d’onda.
Se vi ricordate questa newsletter, è proprio questo comportamento ondulatorio che permette a una particella di passare attraverso due fessure contemporaneamente. Non mi dilungo: ne abbiamo già parlato qui, qui, qui, qui e qui.
I sistemi quantistici e la misura
Un sistema quantistico è un insieme di particelle, descritte appunto da una funzione d’onda. Come già detto, di loro non possiamo sapere tutto a priori: possiamo preparare queste particelle affinché abbiano una certa energia o siano confinate in una scatola, ma per conoscere alcune loro caratteristiche, le dobbiamo misurare.
Misurare una quantità fisica sembra un’operazione piuttosto semplice, se si trascurano gli errori di misurazione. Pensateci, se state guardando la Formula 1 potete conoscere la posizione e la velocità di ogni macchina quando volete. È facile misurarle.
Le cose si fanno più complicate però quando stiamo studiando delle particelle, che seguono le leggi della Meccanica quantistica. Supponiamo di voler misurare la posizione di una particella confinata in una scatola. Prima di misurarla sappiamo solo che la particella, che si sta comportando come un’onda, non si trova in un luogo preciso della scatola: si trova in una sovrapposizione di stati. È un po’ qui e un po’ là, con una certa probabilità. Si dice in questo caso che la sua funzione d’onda è delocalizzata, perché la particella non è precisamente in alcun luogo. Effettuando la misura, ossia misurando la posizione della particella, la sua funzione d’onda cambia, collassando in un punto preciso della scatola e la particella non si trova più in una sovrapposizione di stati, ma nello stato fisico che localizzato esattamente quel punto.
Sembra un meccanismo complicato e in fondo lo è, perché è molto controintuitivo, ma è fatto di tre semplici passaggi:
1. Prima di misurare la posizione della particella, sappiamo che è delocalizzata, perché si sta comportando come un’onda;
2. Al momento della misura, la funzione d’onda che descriveva la sovrapposizione dei luoghi in cui si trovava, collassa nel punto dove è stata misurata la particella;
3. Effettuata la misura, la particella non si comporta più come un’onda delocalizzata e la sua funzione d’onda non è più una sovrapposizione di stati.
La stessa cosa accade quando volete misurare una qualsiasi altra caratteristica delle particelle, come ad esempio la velocità o lo spin
Cos’è l’entanglement
L’entanglement è forse il fenomeno fisico più controintuitivo della fisica moderna. Ve lo spiego brevemente.
Immaginate di prendere un sistema quantistico formato da due particelle, ad esempio due elettroni, e cerchiamo di preparare questi elettroni affinché si trovino nello stesso stato fisico o, detto più grezzamente, affinché abbiano la stessa energia e la stessa funzione d’onda che ne descriva posizione e velocità. Sappiamo poi che gli elettroni hanno anche un’altra caratteristica fisica, chiamata spin. Ne abbiamo parlato in questa newsletter, ma non è fondamentale ora sapere cosa sia lo spin. Basta sapere che il valore dello spin degli elettroni è 1/2 e che può essere orientato in due direzioni: “su” o “giù”. Quindi un elettrone può avere spin 1/2 su oppure spin 1/2 giù. Altra cosa importante da ricordare è che, come dice il principio di esclusione di Pauli, se due elettroni si trovano nello stesso stato fisico, ossia se sono descritti dalla stessa funzione d’onda, non possono avere entrambi spin su o spin giù, ma devono alternarsi. È una regola della natura.
Ecco, nel nostro esperimento abbiamo preparato due elettroni nello stesso stato fisico e quindi, se uno di questi ha spin su, l’altro avrà spin giù e viceversa. Tuttavia non possiamo sapere quale dei due è su e quale è giù, perché, secondo la Meccanica quantistica questi elettroni si stanno comportando come onde e il loro spin è ora in una sovrapposizione di stati “su” e “giù” (un po’ come il gatto di Schroedinger nella scatola è sia vivo che morto contemporaneamente).
Ora per concludere l’esperimento, immaginate di separare questi due elettroni, trasportandoli in due luoghi molto distanti tra loro.
Ad esempio portiamone uno a Roma e uno a Tokyo. Gli elettroni, pur essendo separati, si trovano ancora nello stesso stato fisico di partenza: hanno una certa energia, una certa funzione d’onda che ne descrive la posizione e la velocità e il loro spin è ancora un miscuglio indefinito di “su” e “giù”.
Immaginate ora che i fisici di Roma provino a misurare lo spin dell’elettrone che hanno a disposizione e che trovino che il suo spin è 1/2 su.
Ecco,siccome l’altro elettrone ha la stessa funzione d’onda, a causa del principio di esclusione di Pauli, istantaneamente si modificherà in modo da avere spin 1/2 giù. Il comportamento dell’elettrone a Tokyo è dunque correlato a quello di Roma: se misuriamo qualche caratteristica fisica dell’elettrone di Roma, modificandone il suo stato e quindi la sua funzione d’onda, influenziamo anche le caratteristiche fisiche dell’elettrone di Tokyo e viceversa. Questa particolare correlazione si chiama appunto entanglement.
I problemi dell’entanglement
Questo strano fenomeno naturale sarebbe già affascinante così, se non creasse anche degli enormi problemi.
Il primo e più importante problema è questo: come fa l’elettrone di Tokyo a sapere istantaneamente che i fisici di Roma hanno misurato lo spin e che hanno trovato spin su?
Questa domanda è molto profonda. Da una parte indaga l’essenza stessa dell’entanglement: al momento della misura viene trasferita informazione da un elettrone all’altro? E se è così, possiamo usare l’entanglement per creare un moderno ed efficientissimo telegrafo senza fili, trasmettendo istantaneamente dei segnali da una parte all’altra del globo?
D’altra parte sorge un grosso problema concettuale: un’altra grande teoria fisica, la teoria della relatività, dice che nulla, compresi i segnali, può viaggiare più velocemente della luce. Significa quindi che abbiamo trovato un controesempio? Non sarà forse che il limite della velocità della luce è sbagliato?
Ne parliamo nella prossima newsletter.
Pillole
Alcune notizie di questi giorni, brevi.
La materia oscura non si vede
Gli scienziati ritengono che l’84% della materia presente nell’universo sia materia oscura. Uno dei modelli più gettonati sostiene che la materia oscura sia fatta da particelle dotate di massa, ma debolmente interagenti, chiamate WIMP. La collaborazione internazionale LUX (Large Underground Xenon) ha cercato di rivelare questo ipotetico tipo di particella, ma l’esperimento non ha dato i risultati sperati.
SpaceX
Avete presente il razzo Falcon9 di SpaceX, quello che atterra in verticale su una chiatta? Questa foto rende bene l’idea di quanto sia grande.
Kepler trova pianeti
Grazie ai dati raccolti dalla missione Kepler, lanciata dalla NASA nel 2009, un gruppo di ricerca della Harvard university ha classificato gli esopianeti individuati dal telescopio suddividendoli in quattro gruppi in base alla loro grandezza e al loro grado di abitabilità. La ricerca di pianeti potenzialmente simili alla Terra al di fuori del Sistema solare continua.
La fisica di Ale
La striscia di oggi. I fumetti di Alessandro sono su Vuoto Comico.
Per approfondire
– Un articolo su Wired, in italiano
– Un articolo su Vice, in italiano
– Un video con le vignette di PhD comics, in inglese
– Un video di TED, con i sottotitoli in italiano
I condensati di Bose-Einstein
12 Ottobre 2016
Eccoci qui con una nuova newsletter. Questa settimana parliamo dei condensati di Bose-Einstein (BEC), che c’entrano con la Meccanica quantistica. Oggi però niente pillole, perché qualche giorno fa è accaduto un mega evento: Space X, l’azienda aerospaziale guidata da Elon Musk che si occupa di costruire razzi riutilizzabili per la NASA e altre agenzie, ha fatto una grande presentazione in stile Apple, in cui ha rivelato i dettagli di un ambizioso progetto per portare l’uomo su Marte. Quindi parliamo di questo.
Sempre per restare in tema, poi, questa settimana è uscito su Il Tascabile – una rivista online curata da Treccani eAlkemy – un mio articolo sull’esplorazione di Marte: quanto ci metteremo a raggiungere il pianeta rosso? Che tecnologie abbiamo a disposizione? Come ci stiamo preparando? Qui le risposte.
Se avete domande scrivete a spacebreak [at] francescobussola.it e se la newsletter vi piace potete inoltrarla a degli amici o invitarli a iscriversi.
Ricordo anche che sta per finire la settimana della scienza, con eventi e laboratori in molte città italiane. Per chi fosse nei paraggi, domani pomeriggio (Venerdì 30 Settembre) sarò alla cupola Arnaboldi di Pavia per uno stand sulle onde gravitazionali.
Ah, in fondo alla newsletter c’è la vignetta di Ale. Ricordo poi che nella prossima newsletter ci sarà una nuova puntata di Storie, il podcast in cui intervisto giovani ricercatori in fisica (a proposito, come vi è sembrata la prima puntata?)
Di cosa parliamo oggi
– cosa sono i condensati di Bose-Einstein
– Space X vuole colonizzare Marte
I condensati di Bose-Einstein
La Meccanica quantistica è una teoria fisica che prova a spiegare il comportamento delle particelle. Le particelle infattinon si comportano sempre come “palline” e seguono leggi diverse dalla fisica classica, dando origine a fenomeni strani e controintuitivi. Nelle scorse newsletter abbiamo già fatto vari esempi: le particelle infatti si comportano spesso come onde e fanno interferenza e proprio per questo motivo non è possibile determinare contemporaneamente la loro velocità e la loro posizione. Di queste e di altre quantità possiamo avere solo un valore di probabilità, determinato da una funzione detta, non a caso, funzione d’onda.
La funzione d’onda altro non è che un oggetto matematico che descrive, ad esempio, la probabilità di trovare la particella in un determinato punto.
Gli stati fisici
Nel momento in cui conosciamo i valori di probabilità di tutte le caratteristiche fisiche della particella in questione (come ad esempio la posizione, la velocità, lo spin, …) si dice che conosciamo il suo stato fisico. Certo, non abbiamo dei valori precisi e ci dobbiamo accontentare di una stima probabilistica, ma ma natura ci impedisce di essere più precisi di così: possiamo sapere qual è la probabilità di trovare una particella in un posto o di trovarla a una certa velocità, ma non possiamo predire il suo comportamento con esattezza.
Le transizioni di fase
La materia, come sappiamo, è composta di atomi, che a loro volta sono composti di particelle più piccole (neutroni, protoni, elettroni, quark, …) e questi atomi sono connessi da legami chimici più o meno forti. Nei materiali solidi, i legami tendono a essere piuttosto forti e per questo motivo i solidi hanno una forma e una certa rigidità. Sappiamo però che riscaldando un solido fino a una certa temperatura, questo può diventare liquido. Nei liquidi i legami diventano più deboli e il materiale perde la sua forma definita, adattandosi a quella del contenitore. Riscaldando ancora la temperatura, le particelle che compongono il materiale acquistano molta energia e aumentano la loro velocità: in questo modo riescono a muoversi più liberamente, sfuggendo all’attrazione delle particelle circostanti. È così che si ottiene un gas. Tutte queste trasformazioni corrispondono a delle transizioni di fase: dalla fase solida si passa a quella liquida e a quella gassosa, o viceversa.
In fisica esistono tanti tipi di transizioni di fase. Alcune di queste, come quelle che ho appena citato, sono molto evidenti e le conosciamo tutti perché fanno parte della nostra esperienza quotidiana (pensate all’acqua, che diventa ghiaccio o vapore), altre invece sono poco conosciute al grande pubblico.
I condensati di Bose-Einstein
Sappiamo che le particelle che compongono la materia si dividono in due grandi categorie: i fermioni e i bosoni. I fermioni prendono il nome dal fisico italiano Enrico Fermi, mentre i bosoni, che seguono delle leggi quantistiche completamente diverse, prendono il nome dal fisico bengalese Satyendra Nath Bose.
I condensati di Bose-Einstein sono un fenomeno fisico che riguarda esclusivamente i bosoni e che si manifesta a temperature prossime allo zero assoluto, la temperatura più bassa raggiungibile in natura (-273,15°C).
Immaginiamo di prendere un gas di bosoni che non interagiscono tra loro e di metterli in un ambiente controllato. Ognuno di questi bosoni avrà una sua velocità, una sua posizione, un suo spin e così via. Come abbiamo detto queste caratteristiche fisiche non sono determinate, ma sono descritte da una funzione di probabilità detta funzione d’onda. Comunque sia, ogni bosone sarà in uno stato fisico diverso e sarà quindi descritto da una funzione d’onda diversa.
Man mano che abbassiamo la temperatura, ognuno dei bosoni nel gas diminuisce la sua velocità e quindi la sua energia. I fisici esprimono questo concetto dicendo che ogni bosone va in uno stato quantistico con minore energia.
Arrivati a temperature prossime allo zero assoluto, si manifesta però un fenomeno inaspettato: improvvisamente una frazione di questi bosoni si porta nello stato quantistico di più bassa energia e, in un certo senso, comincia a comportarsi come se fosse un unico bosone descritto da un’unica funzione d’onda. I bosoni sono quindi condensati nello stesso stato fisico, da cui il nome condensato di Bose-Einstein.
Per avere un’idea di quello che accade guardate questa animazione: i vari bosoni si trovano in stati fisici diversi e a diverse energie. Poi, ad un tratto, cadono nello stato con energia minore e si comportano come un’unica particella, descritta da un’unica funzione d’onda.
“Vedere” la meccanica quantistica
Quello che avviene è essenzialmente una transizione di fase: la formazione di un stato della materia molto particolare in cui le particelle si comportano come un corpo unico. Il condensato è, semplificando molto, una specie di “superparticella” i cui effetti quantistici, che solitamente si manifestano nell’infinitamente piccolo, possono essere studiati a livello macroscopico.
Nell’immagine qui sotto vedete la “foto” di un condensato, presa durante un esperimento del 1995: la formazione del picco evidenzia la transizione di fase allo stato di condensato, ossia il momento in cui si forma il condensato di Bose-Einstein e una frazione degli atomi entra nello stesso stato fisico.
Per avere un’idea delle dimensioni, considerate che ognuna delle tre foto è larga circa 0,2 mm. Questo significa che i condensati permettono di “vedere” la funzione d’onda delle particelle. Certo, non possiamo vederle con gli occhi, ma gli effetti quantistici misurati dagli strumenti si manifestano su scale molto più grandi del normale e possono essere studiati in modo completamente nuovo.
Il folle progetto di Space X
Durante il Congresso Internazionale di Aeronautica il fondatore di Space X, Elon Musk ha presentato un progetto per colonizzare Marte nei prossimi cento anni. Il progetto, prima conosciuto come Mars Colonial Transporter, si chiama Interplanetary Transport System. Elon Musk è un imprenditore sudafricano, fondatore di PayPal, Tesla Motors e Solar City. La sua compagnia SpaceX collabora da tempo con la NASA, per la quale ha sviluppato il Falcon 9, un lanciatore – ossia un razzo – riutilizzabile e in grado di atterrare verticalmente su una chiatta nell’oceano.
Il progetto prevede quindi non solo di mandare un uomo su Marte, ma di sviluppare un’intera colonia, permettendo a chiunque di poter comprare un biglietto per trasferirsi sul pianeta rosso.
Perché Marte
Come ho spiegato in questo articolo su Il Tascabile, Marte ha alcune caratteristiche che lo rendono potenzialmente adatto a ospitare una colonia: è un pianeta roccioso, con un giorno di quasi 24 ore, un’inclinazione dell’asse rispetto all’eclittica quasi uguale a quella terrestre e presenta 4 stagioni. Certo, non c’è acqua liquida e l’atmosfera è fatta prevalentemente di anidride carbonica, ma ha una gravità minore di quella terrestre e questo è quasi un vantaggio. Inoltre è abbastanza vicino alla Terra da essere raggiungibile e abbastanza lontano dal Sole per non essere troppo caldo: la temperatura della superficie varia da -140°C a 30°C.
Con quali tecnologie viaggiare
Un viaggio verso Marte durerebbe dai quattro ai sei mesi. La Terra e Marte distano, a seconda della posizione reciproca, dai 56 milioni a 400 milioni di chilometri e la navicella più veloce a nostra disposizione può viaggiare a 60 mila chilometri orari. Space X ha presentato però il progetto di un nuovo lanciatore, chiamato Mars Vehicle: un razzo con una struttura in fibra di fibra di carbonio, lungo 122 metri in grado di trasportare una navicella spaziale per carico totale di 550 tonnellate a circa 100 mila chilometri orari.
Per fare dei confronti tenete presente che più grande razzo mai costruito – il Saturn V, che fu utilizzato dalla NASA per le missioni sulla Luna – è alto 111 metri e può trasportare un carico di 135 tonnellate.
Ecco il video rilasciato da Musk: considerate che non è un design concept, ma l’animazione dei progetti CAD realmente in fase di sviluppo da parte degli ingegneri.
La filosofia low cost
Space X intende applicare all’astronautica la stessa filosofia delle compagnie aeree low cost: un biglietto per Marte, dati i costi di progettazione e realizzazione, costerebbe 10 miliardi di dollari. Il prezzo però si abbasserebbe fino a 500 mila dollari se si fosse in grado di riutilizzare le navicelle, i serbatoi e i lanciatori necessari al viaggio. Space X stima che, per riuscire a mantenere bassi i costi, la navicella dovrà resistere ad almeno dodici viaggi, i serbatoi a cento e il lanciatore a mille.
Come propellente è stato scelto un composto a base di metano, che a differenza dell’idrogeno o del kerosene è più facile da immagazzinare, da pressurizzare, può essere facilmente trasportato e può essere prodotto anche su Marte.
Il progetto di Space X si basa quindi su quattro grandi pilastri: la scelta del giusto propellente, la produzione del propellente su Marte, il completo riutilizzo delle tecnologie sviluppate e, cosa importante, il rifornimento della navicella in orbita.
Come avete visto nell’animazione precedente, una volta lanciata la navicella in orbita, il primo stadio del lanciatore ritorna a Terra, viene caricato con un serbatoio e lanciato nuovamente per andare a rifornire la navicella. Sarebbe infatti quasi impossibile lanciare la navicella con tutto il propellente necessario al viaggio: più propellente carichiamo, più la navicella pesa e più pesa, più serve propellente per lanciarla in orbita.
Quanto è credibile tutto ciò
Tutto quello che vi ho raccontato potrebbe benissimo essere la fantasia di un matto visionario, se non fosse che in questi anni Elon Musk sta effettivamente sviluppando le tecnologie necessarie per questo tipo di impresa. I lanciatori riutilizzabili sono oggi una realtà e nel frattempo Space X ha realizzato i primi prototipi del motore e del serbatoio in fibra di carbonio.
Certo, molto è ancora da fare, ma Musk non è nuovo a imprese impossibili. Per dire, ecco cos’era Space X – che oggi ha 4 mila dipendenti – solo quattordici anni fa.
Solo il tempo quindi ci dirà se la visione di Musk potrà effettivamente trasformarsi in realtà o se il tutto si dissolverà in una fantasia del ventunesimo secolo.
Per ulteriori dettagli su questo progetto guardate gli approfondimenti.
La fisica di Ale
La striscia di oggi. I fumetti di Alessandro sono su Vuoto Comico.
Per approfondire
– La storia dei condensati di Bose-Einstein (video in italiano)
– Un riassuntino efficace sui condensati di Bose-Einstein
– La presentazione di Elon Musk, in stile Apple (video)
– Le slide di Space X usate durante la presentazione
– Un riassuntone in italiano del progetto di Space X, di Emanuele Menietti
Quello che Marte dice di noi
28 Settembre 2016
Ho scritto un articolo su Il Tascabile sull’esplorazione di Marte: tra quanto l’uomo ci metterà piede? E con quali tecnologie?
È l’8 aprile 2016 e una buona fetta di appassionati di esplorazioni spaziali è incollata agli schermi, come fosse la finale dei mondiali di calcio. In diretta da Cape Canaveral, l’azienda SpaceX di Elon Musk – quel tipo che ha fondato PayPal e oggi prova a sfondare nel mercato delle auto elettriche con la compagnia Tesla Motors – sta tentando una cosa mai riuscita: mandare in orbita un cargo diretto alla Stazione Spaziale Internazionale utilizzando un razzo che dovrebbe poi rientrare sulla Terra, atterrando verticalmente su una chiatta nell’oceano… continua a leggere su Il Tascabile
Mi chiamo Francesco Bussola. Sono un dottore di ricerca in fisica, un insegnante di scuola superiore, un divulgatore scientifico. Gestisco Space break, una newsletter di fisica, tecnologia e esplorazioni spaziali.
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