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I buchi neri, LIGO e le onde gravitazionali

La settimana scorsa abbiamo parlato della Relatività e siamo pronti a capire cosa sono i buchi neri. Qui trovate le scorse newsletter, qui la pagina facebook e qui l’account twitter di Space break.
Oggi però è anche un giorno importante per la fisica. Forse sono state rilevate per la prima volta le onde gravitazionali e c’è un’attesa conferenza stampa oggi pomeriggio.
Se vi piace questa newsletter potete farla conoscere a un amico inoltrando la mail o suggerendogli di iscriversi.

Di cosa parliamo oggi
– cosa sono i buchi neri
– vedere i buchi neri (ma esistono davvero?)
– forse LIGO ha rilevato le onde gravitazionali

Cosa sono i buchi neri
Come abbiamo detto l’altra volta, secondo la Relatività l’universo “poggia” – per così dire – su una struttura intangibile chiamata spaziotempo che possiamo immaginare come un lenzuolo steso. La presenza di un corpo, come ad esempio un pianeta, una stella, una galassia o un comodino deforma il lenzuolo creando delle conche. Quando gli oggetti finiscono vicino a queste conche, ci cadono dentro come in questa animazione (si ingrandisce cliccando).

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La gravità quindi non è considerata una forza vera e propria, ma l’effetto di una deformazione geometrica dell’universo. È una descrizione strana, ma incredibilmente efficace e in accordo con gli esperimenti.
Abbiamo anche detto che pure i raggi di luce, che si spostano seguendo la griglia dello spaziotempo, cadono in queste conche e il loro percorso viene deviato dalla curvatura.
Più un corpo ha massa, più la sua conca è profonda, più facilmente devia le traiettorie degli altri corpi e della luce. Quindi la conca fatta dal Sole è più profonda di quella fatta dalla Terra, che è più profonda di quella fatta da una mongolfiera, che è più profonda di quella fatta da una pulce.
Per chi si è perso e per chi non c’era, rimando alla scorsa newsletter.

La velocità di fuga e il raggio di Schwarzschild
Per non cadere in una conca, un oggetto deve superare la cosiddetta velocità di fuga. La velocità di fuga è insomma la velocità necessaria per sfuggire alla gravità di un pianeta o di una stella, senza caderci addosso. Ad esempio sulla superficie della Terra la velocità di fuga è pari a 40’320 Km orari. Più ci si allontana dalla Terra però, meno si sente la gravità e la velocità di fuga diminuisce: a 9 mila chilometri dalla superficie, la velocità di fuga è 25’560 km orari. Quando mandiamo un oggetto nello spazio utilizziamo dei razzi che accelerano fino alla velocità di fuga e che possono poi viaggiare senza propulsione.
Anche la luce, per riuscire a sfuggire a una conca gravitazionale, deve superare la velocità di fuga. Tuttavia di solito non è un problema: la velocità della luce nel vuoto è enorme: circa 300’000 Km al secondo. E infatti riusciamo a mandare segnali luminosi nello spazio senza preoccupazioni.
Esiste però una distanza dai pianeti o dalle stelle, chiamata raggio di Schwarzschild, entro la quale anche la luce rimane intrappolata (la parola “raggio” va intesa in senso geometrico, come il raggio di un cerchio o di una bicicletta). Quale sarebbe questa distanza nel caso della Terra? Per la Terra – la cui massa è quasi 6 milioni di miliardi di miliardi di Kg – il raggio di Schwarzschild è poco più di 8 millimetri, per la precisione 8,869 millimetri. Cosa significa? Significa che se tutta la massa della Terra fosse compressa in una pallina con un raggio, supponiamo, di 8 millimetri, una volta arrivata a una distanza inferiore o uguale a 0,869 millimetri dalla superficie della Terra, anche la luce non potrebbe più sfuggire. E poiché nessun corpo può andare più veloce della luce, nulla può uscire dal raggio di Schwarzschild.
Fortunatamente non è così: la Terra non è condensata in una pallina piccolissima e il raggio di Schwarzschild, nel nostro caso, non c’è. Questo ci permette di mandare segnali elettromagnetici nello spazio senza problemi.
Cosa accade però quando una grande quantità di massa, per qualche motivo, si compatta in una pallina piccolissima?

I buchi neri non sono buchi
Quando una grande massa si compatta in un volume piccolo lo spaziotempo si deforma molto, ossia la conca si fa sempre più profonda, come in questa immagine.

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Perciò, a parità di distanza dalla pallina, la curvatura dello spaziotempo, ossia la gravità, diventa sempre più forte e la velocità di fuga necessaria per sfuggire dalla buca è sempre più alta.
Se la pallina in cui è compattata la materia è estremamente piccola allora ha senso parlare del raggio di Schwarzschild – la distanza entro la quale nemmeno la luce può sfuggire. Alla distanza prevista dal raggio di Schwarzschild si crea una superficie sferica chiamata orizzonte degli eventi, qui rappresentata da quel semicerchio nero.

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Tutti gli eventi che accadono dentro l’orizzonte degli eventi, ossia entro il raggio di Schwarzschild, non possono essere osservati da fuori. Questo accade perché nemmeno la luce può uscire: da quel punto in poi un osservatore esterno vede solo una sfera nera e nulla più. Questo è il buco nero.
Come avete capito, però, non è propriamente un buco, ma una parte di universo da cui nulla può uscire e che non possiamo osservare.

Come vedere i buchi neri, se esistono
I buchi neri quindi non si possono vedere per un motivo molto semplice: sono neri. Quando osserviamo il cielo riusciamo a vedere tutti gli oggetti che emettono onde elettromagnetiche: luce visibile, ad esempio, ma anche raggi infrarossi, ultravioletti, segnali radio e così via. Tutti questi segnali viaggiano alla velocità della luce, raggiungono la Terra e possono essere captati dall’occhio umano o da delle antenne. I buchi neri, però, “mangiano” tutto, anche questi segnali, e non ne emettono. Come facciamo allora a sapere che esistono? E come possiamo vederli? (Bonus: in realtà crediamo che i buchi neri possano emettere qualcosa – la radiazione di Hawking – ma ne parleremo un’altra volta)

Cercare cosa manca
Dato che non possiamo vederli direttamente, un metodo per cercare i buchi neri è puntare un telescopio dove si crede che ci possa essere un buco nero e vedere se manca qualcosa. Secondo le teorie moderne, al centro di ogni galassia si trova un buco nero supermassiccio. Negli anni novanta è stato quindi puntato un telescopio al centro della nostra Galassia, la Via Lattea. Dopo anni di osservazione, ecco cosa è stato visto (si ingrandisce cliccando).

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La stella segnata dal tracciato giallo si chiama S2 e sta girando intorno a qualcosa che non si vede. Per dare un’idea di quanto veloce stia andando, il righello in alto a destra (10 giorni luce) equivale a 259 miliardi di chilometri. Cosa c’è lì al centro? Dai calcoli dell’orbita si è stimato che l’oggetto misterioso attorno al quale S2 sta girando ha una massa pari a 3,7 milioni di Soli. Secondo le teorie moderne un oggetto così grande che non emette radiazione può essere solo un buco nero.
Gli astronomi hanno trovato evidenze simili anche al centro di altre galassie, sempre studiando il moto del materiale che orbita attorno al loro centro.

Cercare cosa scompare
Certo i buchi neri non si trovano solo al centro delle galassie: nulla vieta che ce ne siano altri da altre parti. Per trovarne bisogna essere molto fortunati – osservando per caso fenomeni spiegabili soltanto dalla presenza di un buco nero – oppure usare un po’ di astuzia e osservare le supergiganti rosse.
Una supergigante rossa è una stella che ha quasi completato il suo processo di fusione ed è “in fine vita”. Una volta terminati i processi di fusione può esplodere e diventare una supernova oppure può formare un buco nero. Gli astronomi da tempo osservano con attenzione decine di supergiganti rosse. L’idea è semplice: se improvvisamente scompaiono, potrebbe essersi formato un buco nero.
È quello che è accaduto a un paio di stelle l’anno scorso. Un attimo prima c’erano, un attimo dopo non c’erano più. Non è detto che siano diventate dei buchi neri, però. Le stelle potrebbero avere una luminosità molto variabile o potrebbero essere finite dietro un ammasso di polveri e detriti. Non possiamo fare altro che continuare ad osservarle e pazientare.

LIGO ha rilevato le onde gravitazionali, si dice
LIGO è un importante esperimento pensato per rilevare le onde gravitazionali. È formato da due rilevatori – uno in Lousiana e uno nello stato di Washington – che funzionano come delle antenne.

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Advanced LIGO, in Washington (Credit: MIT/CalTech LIGO)

Nella prossima newsletter parleremo delle onde gravitazionali. Per ora ci accontentiamo di sapere che sono delle increspature nello spaziotempo predette da Einstein ormai cento anni fa, che quasi tutta la comunità scientifica crede nella loro esistenza e che sono molto sfuggenti. Chi vuole saperne un po’ di più può guardare questo video su youtube, attivando i sottotitoli in italiano.
Da tempo si mormora che LIGO abbia captato qualcosa di interessante, ma le voci si sono fatte più forti da quando lo staff di LIGO (composto da circa mille collaboratori sparsi in tutto il mondo) ha invitato tutta la comunità scientifica a una conferenza stampa per “fornire aggiornamenti sulla ricerca delle onde gravitazionali”.
Se LIGO avesse trovato le onde gravitazionali sarebbe una notizia epocale anche se, ricordo, i dati dovranno passare il vaglio della comunità scientifica per una conferma definitiva. Ciò che renderebbe comunque molto promettente la possibile scoperta è che i dati di LIGO sono analizzati da molti gruppi di ricerca che partecipano alla collaborazione scientifica. L’appuntamento per la conferenza stampa è oggi 11 Febbraio alle 16:30. Uno streaming sarà disponibile su youtube. Seguite la pagina facebook per aggiornamenti. Se riesco faccio un livetweet su twitter.

Per approfondire
– La prima evidenza scientifica della relatività generale
– Cosa sono i micro buchi neri
– E interstellar? Un bel video di Rai Scuola

Le quattro forze fondamentali

Continuiamo ad affrontare alcuni argomenti di fisica. La volta scorsa abbiamo parlato della gravità e abbiamo imparato alcuni termini. Oggi vedremo quali sono le quattro forze fondamentali presenti in natura.
Come già detto, per richieste e suggerimenti, scrivetemi. Grazie anche a chi mi ha fatto notare che nella mail della settimana scorsa ho nominato sovrappensiero la dinamica dei corpi di Galileo, intendendo invece la cinematica dei corpi. Primo errore.
La mia mail è spacebreak [at] francescobussola.it

Di cosa parliamo
– le quattro forze fondamentali
– la storia di Hubble
– pillole della settimana

Le quattro forze fondamentali
Sappiamo oggi che in natura esistono quattro forze fondamentali che regolano le interazioni tra le particelle. Due di queste sono molto famose: sono la forza di gravità e la forza elettromagnetica. Le altre due sono meno famose e sono chiamate, in maniera piuttosto banale, forza debole e forza forte. In seguito mi capiterà di chiamare queste forze “interazioni”. Sono termini sinonimi in questo contesto. Spero non sia un problema. Vediamole dunque una per una.

La forza di gravità
Della forza di gravità abbiamo già parlato con la scorsa newsletter. La conosciamo tutti, dato che tutti siamo caduti almeno una volta dalla bicicletta. Abbiamo detto che è stata “scoperta” da Newton la cui legge di gravitazione universale è buona, ma intrinsecamente sbagliata perché dipende dalle distanze tra i corpi. E la misura della distanza tra i corpi non è un valore univoco, è un concetto relativo. Abbiamo poi accennato al fatto che Einstein ha sistemato piuttosto bene le cose, anche se non abbiamo detto come. Per chi si è perso e per chi non c’era, rimando alla scorsa newsletter.
Parleremo nuovamente della gravità più avanti, quando affronteremo la Teoria della Relatività. Ok?

La forza elettromagnetica
Anche la forza elettromagnetica la conosciamo tutti. Riguarda l’elettricità e il magnetismo.
I magneti sono noti all’uomo da molto tempo, ma ne abbiamo cominciato a capire il funzionamento soltanto da pochi secoli. Hanno un “polo nord” e un “polo sud”. Il polo nord e il polo sud di due calamite si attirano, mentre due poli uguali si respingono. Un magnete inoltre attira alcuni metalli, più o meno con lo stesso processo.
L’elettricità invece, che ci è sempre passata sotto il naso durante i temporali, ha trovato applicazione a partire dalla fine del Settecento. Sappiamo che i corpi possono avere una carica positiva, negativa, oppure non averne – e in tal caso si dicono neutri. Cariche di segno opposto si attraggono, mentre cariche dello stesso segno si respingono. Anche le molecole, gli atomi e le particelle fondamentali che troviamo in natura possono avere una carica. Ad esempio il protone è una particella con carica positiva, l’elettrone ha carica negativa, mentre il neutrone non ha carica elettrica.
A fine Ottocento il fisico Maxwell comprese che l’elettricità e il magnetismo sono due facce dello stesso fenomeno fisico. Chiamò questo fenomeno elettromagnetismo e trovò delle formule per descriverlo. In che senso elettricità e magnetismo sono lo stesso fenomeno? È presto detto: cariche elettriche in movimento – la corrente – generano un campo magnetico (per verificarlo prendete una bussola e avvicinatela al cavo di alimentazione del pc – dentro il quale passa corrente – l’ago si muoverà), mentre se muoviamo delle calamite vicino a un metallo che conduce elettricità, possiamo creare delle correnti elettriche. Questi principi sono oggi molto utilizzati, ad esempio nei freni magnetici dei treni.
L’elettromagnetismo inoltre assume anche altre forme inaspettate: la luce, ad esempio, è un fenomeno elettromagnetico, così come le microonde che usiamo per riscaldare il latte o i raggi X sfruttati in ospedale. Tutto questo è descritto da quattro eleganti formule, chiamate Equazioni di Maxwell.

L’interazione nucleare forte
Se non lo sapete, la materia è costituita da molecole e le molecole sono fatte di atomi. La molecola dell’acqua, ad esempio, è H2O ed è quindi costituita da due atomi di idrogeno (H) e uno di ossigeno (O). A loro volta gli atomi sono composti di particelle più piccole, dette particelle subatomiche, in numero diverso a seconda del tipo di atomo. Ci sono tre tipi di particelle subatomiche. Protoni e neutroni sono incollati tra loro e formano il nucleo, mentre gli elettroni, che sono molto più piccoli, “girano” intorno al nucleo.
Ma come stanno insieme i protoni e i neutroni nel nucleo? Grazie alla forza elettromagnetica? No. Come abbiamo visto prima i protoni hanno carica elettrica positiva, mentre i neutroni non hanno carica. Non rimangono certo incollati a causa dell’elettromagnetismo. Inoltre in un nucleo possono esserci più protoni, tutti con carica positiva e quindi tenderebbero a respingersi tra loro. Cosa li fa rimanere uniti?
La responsabile è l’interazione nucleare forte, chiamata così perché è più forte delle altre interazioni, compresa la forza elettromagnetica.
Parleremo più nel dettaglio di questa forza e confronteremo l’intensità delle varie forze più avanti.

L’interazione nucleare debole
Nel 1964 si teorizzò che anche i protoni e i neutroni fossero composti di particelle più piccole, detti quark. Per gli appassionati di letteratura, il nome quark fu preso in prestito dal fisico Murray Gell-Mann da un passo del romanzo sperimentale Finnegans Wake di James Joyce. Nel libro la parola “quarks” è una crasi dell’espressione “question marks”, che significa “punti di domanda”.
La teorizzazione dei quark – e la loro scoperta solamente quattro anni dopo all’acceleratore di particelle di Stanford, in California – permise di spiegare con precisione un fenomeno molto interessante detto decadimento beta. Il decadimento beta è un tipo di decadimento radioattivo, una reazione nucleare spontanea che trasforma una particella in un’altra. Ad esempio un protone può trasformarsi in un neutrone, creando anche altre particelle, oppure viceversa.
Il tipo di interazione che sta alla base di questi processi è appunto l’interazione nucleare debole che, agendo tra i quark all’interno di protoni e neutroni, ne cambia la natura, dando il via ai decadimenti.
Aggiungo una cosa, anche i quark sono tenuti insieme tra loro dall’interazione nucleare forte di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente. Quindi mentre l’interazione nucleare debole è responsabile dei decadimenti, facendo in un certo senso “dividere” le particelle, l’interazione nucleare forte agisce come una “colla” e le tiene insieme. Il fatto che l’interazione nucleare forte sia “più forte” di quella debole garantisce l’esistenza e la stabilità dei nuclei atomici. È andata bene.

La storia di Hubble
La settimana scorsa abbiamo nominato il telescopio spaziale Hubble (HST), che orbita attorno alla terra a circa 560 Km di quota. Avere un telescopio che orbita intorno alla terra fu necessario per evitare la distorsione delle immagini dovuta alla presenza dell’atmosfera, altrimenti aggirabile solo con complessi sistemi di ottica adattiva. Avete presente come si distorcono le immagini quando guardate oltre il termosifone acceso, il fuoco o l’asfalto d’estate? L’atmosfera fa lo stesso effetto alla luce delle stelle.
Hubble ha avuto una storia piuttosto tortuosa. Il suo lancio fu inizialmente rimandato a causa dell’esplosione dello space shuttle Challenger nel 1986. Messo in orbita tempo dopo, nel 1990, generò molto sconforto: le prime foto erano distorte e fuori fuoco a causa di una lente troppo piatta sul bordo di soli 0,002 millimetri (non 2 millimetri). L’errore fu corretto da degli astronauti in una missione Shuttle solamente nel 1993. La missione, che richiese cinque passeggiate spaziali della durata di sei ore ciascuna e l’installazione di una lente correttiva, migliorò drasticamente la qualità delle foto (l’immagine di Eta Carinae, una stella binaria a 7mila anni luce da noi, prima e dopo la correzione, si ingrandisce cliccando).

(Credit: NASA, ESA, Jon Morse)

Da allora Hubble  grazie alla sua ricca strumentazione scientifica, fornisce foto dettagliate e tantissime informazioni sulla radiazione emessa dagli oggetti celesti, analizzando anche la loro composizione chimica.
Presto Hubble avrà un nuovo compagno di avventure. Nel 2018 infatti verrà messo in orbita il James Webb Space Telescope, con lo scopo primario di studiare l’origine dell’universo.
Studiare l’origine dell’universo con un telescopio sembra una sciocchezza, ma è piuttosto semplice. Questa foto di Hubble, ad esempio, è NGC 3808 – un sistema di due galassie che stanno per scontrarsi – a 300 milioni di anni luce da noi.

(Credit: NASA, ESA)

Un anno luce è una unità di misura che corrisponde alla distanza percorsa da un raggio di luce in un anno.
Quando si dice che una galassia è a 300 milioni di anni luce da noi, quindi, significa che la luce che catturiamo con il telescopio ci ha messo 300 milioni di anni a raggiungere l’obiettivo. La foto è dunque di 300 milioni di anni fa.
Più osserviamo oggetti distanti nello spazio, più osserviamo il passato: un telescopio è quindi una banale macchina del tempo e, studiando la radiazione proveniente da oggetti molto distanti, ci permette di investigare l’universo com’era alle sue origini.

Pillole
Alcune notizie di questi giorni, brevi.

SpaceX rilancia
Il 17 Gennaio SpaceX tenterà un nuovo atterraggio in verticale del razzo Falcon 9 utilizzato durante la scorsa missione. L’atterraggio non verrà effettuato con un lancio test, ma durante la missione per la messa in orbita di Jason-3, un satellite dedicato allo studio della topografia degli oceani. Inoltre non avverrà sulla terraferma, ma su una chiatta nell’oceano. L’ultima volta che hanno provato a far atterrare il Falcon 9 su una chiatta, non è andata molto bene.

LIGO ci ha visto giusto?
LIGO è un esperimento statunitense (ne conduciamo uno simile in Italia, VIRGO) per rilevare sulla terra le onde gravitazionali. Cosa sono le onde gravitazionali lo vedremo, ma si vocifera che LIGO sia riuscito a vederle la prima volta nella storia. C’è estrema cautela, ma se la voce fosse confermata sarebbe una scoperta sensazionale. Si vedrà.

Philae, ultima spiaggia
Sono cominciati gli ultimi (disperati) tentativi di comunicare con Philae, il lander della missione Rosetta che si trova mezzo addormentato sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. Il volano del lander è stato fatto ruotare velocemente per sbarazzarsi della polvere e provare così ad attivare i pannelli solari. Non si sa ancora se la manovra sia andata a buon fine. C’è tempo fino a fine Gennaio, poi la cometa sarà troppo distante dal Sole, farà troppo freddo e Philae non si sveglierà più.

Prime ipotesi al CERN
Nel 2015 l’acceleratore di particelle del CERN di Ginevra ha funzionato per la prima volta a pieno regime. Lo scorso 15 Dicembre sono stati pubblicati dei risultati interessanti – ma non definitivi – che indicavano la possibile scoperta di nuove particelle. In attesa di dati più precisi i fisici stanno già facendo delle ipotesi.

MAVEN
La Missione MAVEN per studiare l’atmosfera di Marte indica che il vento solare (cos’è?) strappa gas dall’atmosfera al ritmo di 100 grammi al secondo (video). Studiare l’atmosfera di Marte è importante in vista delle missioni umane.

Feedback
Se siete arrivati fino qua siete stati bravi. Sono stato abbastanza chiaro? Troppo lungo? Manca qualcosa?Fatemi sapere a spacebreak [at] francescobussola.it

Per approfondire
non sempre due galassie vicine stanno per scontrarsi (inglese)
– cosa sono le particelle mediatrici delle forze? (qualche cenno, per chi vuole buttarsi avanti)
– le equazioni che governano il mondo, di Carlo Bernardini
– Il telescopio spaziale James Webb, in costruzione nell’hangar (live)

Buon anno, si comincia

Buon anno nuovo a tutti! Per cominciare con il passo giusto oggi ci riscaldiamo con qualche curiosità facendo un bel riassuntone di cosa è successo di figo nel 2015. Le “lezioni” di cui vi parlavo cominciano con la prossima newsletter. L’idea è quella di partire pian piano, magari legando l’argomento della newsletter ai fatti della settimana, per poi alzare un po’ il tiro. Prometto, niente formule o discorsi incomprensibili. Quando non sono chiaro, scrivetemi. Così come se aveste delle richieste o dei suggerimenti.
La mia mail è spacebreak [at] francescobussola.it

Di cosa parliamo
– un 2015 veramente figo
– la cometa Catalina, per l’ultima volta
– cosa ci aspettiamo dal 2016

Un 2015 veramente figo
Per quanto riguarda l’esplorazione spaziale, il 2015 è stato un anno di svolta, sia dal punto di vista tecnologico che scientifico. Ecco alcune delle notizie più belle.

Amazon ne sa a pacchi
La compagnia Blue Origin di Jeff Bezos, fondatore di Amazon, sta da tempo provando a sviluppare un lanciatore – un razzo –  riutilizzabile per il turismo spaziale, ossia per permettere a gente molto ricca di andare nello spazio, anche solo per pochi minuti. Dopo una serie di test, il 23 Novembre partendo da una base in Texas il razzo New Shepard ha viaggiato a oltre 100 Km di altitudine trasportando una capsula senza equipaggio. La capsula è atterrata con dei paracaduti mentre il razzo è tornato verticalmente a terra utilizzando il propulsore di coda per rallentare la caduta.
Solitamente i lanciatori utilizzati per i lanci spaziali vengono persi nello spazio o distrutti quando ricadono verso la terra e entrano a contatto con l’atmosfera. La possibilità di riutilizzarli permetterà di risparmiare tempo e costi.


Tony Stark esiste e si chiama Elon Musk
Elon Musk è un imprenditore sudafricano, fondatore di PayPal, Tesla Motors, Solar City, in sella a numerosi progetti ambiziosi come la costruzione del treno Hyperloop o lo sviluppo batteria casalinga Tesla Powerwall (ci ritorneremo, un giorno). La sua compagnia SpaceX collabora da tempo con la NASA per la creazione di un lanciatore riutilizzabile per rifornire con minori costi la Stazione Spaziale Internazionale (ISS), un satellite che orbita intorno alla terra e ospita continuamente da tre a sei astronauti per periodi non inferiori a tre mesi. Periodicamente vengono inviati alla stazione cibo, acqua, vestiti e strumenti scientifici. I lanciatori disponibili per inviare questi rifornimenti sono di quattro tipi: Antares e Atlas V (USA), Falcon (SpaceX) e Soyuz (RUS). Tutti questi lanciatori non sono riutilizzabili e di questi solo l’ultimo è adatto a inviare astronauti.
Negli anni scorsi SpaceX ha investito molto e, con i suoi razzi Falcon, è stata la prima azienda privata a recuperare un veicolo spaziale, a viaggiare verso la ISS e a superare l’orbita terrestre.
Dopo parecchi test e un paio di tentativi falliti, il 22 Dicembre SpaceX è riuscita nell’impresa di far atterrare verticalmente il primo stadio del proprio lanciatore Falcon 9, in maniera analoga a quanto fatto dal New Shepard di Blue Origin. Per chi non lo sapesse, spesso i razzi sono divisi in “stadi”, ossia il motore è diviso in più parti. Quando il primo stadio, cioè la prima parte del motore, finisce il carburante si stacca e si avvia il secondo stadio e così via.
Dicevo, il primo stadio del Falcon 9 è riatterrato verticalmente sulla terra, così come ha fatto Blue Origin. Tuttavia, mentre nel caso di Blue Origin si trattava di un volo verticale di prova, il rientro del Falcon 9 è stato effettuato durante una missione per depositare undici satelliti in orbita. Questo significa che il razzo non è stato lanciato verticalmente, ma che il motore principale, quando si è staccato per tornare a terra, aveva una grande velocità orizzontale. La velocità orizzontale è infatti necessaria ai satelliti per non ricadere sulla terra come farebbe una pallina da tennis lanciata verticalmente in aria.
Come hanno detto durante la diretta, quello che è accaduto è come lanciare una matita sopra l’Empire State Building, dividerla in due, girarne un pezzo, farlo tornare indietro e depositarlo verticalmente al suolo. Insomma, più o meno come in questa animazione.


Il video completo della missione lo si trova qui sotto. Il delirio comincia al minuto 32, quando il motore principale, già staccato dal resto del razzo, sta per atterrare verticalmente.

Philae si è svegliato
Il lander Philae è un piccolo robot che è stato depositato dalla sonda Rosetta sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko il 12 Novembre 2014, dopo dieci anni di viaggio nello spazio. L’atterraggio sulla cometa fu un grande successo tecnologico e scientifico, ma fu anche molto rocambolesco. Dopo aver rimbalzato un paio di volte facendo salti di qualche centinaio di metri, Philae si agganciò alla superficie della cometa  – che, ricordo, non è una stella anche se noi la chiamiamo così, – ed entrò in ibernazione, ossia “in letargo”. Finì infatti in una zona diversa da quella prevista, una zona non abbastanza illuminata dal Sole per permettere ai suoi pannelli solari di farlo funzionare.
Gli scienziati hanno aspettato pazientemente per mesi che il lander fosse meglio illuminato dal Sole e la scorsa estate, nel periodo compreso tra Giugno e Luglio, sono riusciti a comunicare più volte con Philae trasmettendo comandi e ricevendo pacchetti di dati che verranno analizzati per comprendere meglio l’origine e la formazione delle comete.

Lisa Pathfinder
Con quattro anni di ritardo, il 3 Dicembre, Lisa Pathfinder, una sonda di prova costruita dall’Agenzia Spaziale Europea, ha cominciato il suo viaggio nel Sistema Solare. Lo scopo di Lisa è quella di testare le tecnologie che serviranno in futuro per eLISA, una missione con l’obiettivo di rilevare la presenza delle onde gravitazionali. Che cosa siano le onde gravitazionali, perché quasi tutti credono nella loro esistenza e perché ancora ci sfuggono lo vedremo nelle prossime newsletter. Per ora Lisa si trova nei paraggi di un punto del Sistema Solare chiamato L1. È un punto molto importante, ma vedremo in seguito perché.

LHC ha raggiunto il limite
Il Large Hadron Collider è un enorme acceleratore di particelle e si trova a Ginevra. È un grosso anello che serve per accelerare delle particelle e farle scontrare. Più le particelle vanno veloci quando si scontrano, infatti, più è facile “fotografare” alcuni fenomeni fisici molto rari o molto sfuggenti.
Abbiamo tutti sentito parlare di LHC nel 2012, quando – parola di Repubblica e dei Maya – il mondo stava per finire inghiottito da un buco nero, poi nel 2013, quando è stata confermata la scoperta del bosone di Higgs – qualsiasi cosa sia, per ora – e successivamente all’inizio del 2015, quando la fisica italiana Fabiola Gianotti è diventata direttore generale del CERN, il centro di ricerca europeo che lavora anche con LHC.
Nel maggio 2015, dopo due anni di pausa tecnica, LHC è stato riattivato ed ha accelerato delle particelle subnucleari fin quasi al suo massimo teorico, una velocità corrispondente a una energia di 13 TeV.
I risultati di questi esperimenti arriveranno nei prossimi mesi. In particolare tutti stanno aspettando di vedere se verranno rilevate delle particelle dette supersimmetriche (SUSY). Sono delle particelle particolari, con delle proprietà particolari, previste da alcune teorie fisiche molto innovative.
Se anche così non se ne trovassero potrebbe essere un duro colpo per la Teoria delle Stringhe, che ne richiede l’esistenza. Per la legge del contrappasso, la teoria fisica che più è salita alla ribalta della tv è sempre più in difficoltà di fronte all’evidenza dei fatti: dopo quarant’anni dalla sua prima formulazione non si è ancora trovato alcun riscontro delle sue predizioni più importanti.
Non è la fine della Teoria delle Stringhe, ma diciamo che molti fisici stanno perdendo interesse. Ne parleremo.

Buon compleanno Relatività Generale!
Parlando invece di teorie fisiche che hanno avuto parecchio successo, quest’anno si è celebrato il centenario della Teoria della Relatività Generale, proposta da Einstein nel 1915.
Per chi conosce l’inglese e ha otto minuti, in questo video il fisico Brian Greene, ospite al Late Show di Stephen Colbert in onda su CBS, spiega a modo suo l’idea che sta dietro a questa teoria.

Acqua su Marte
Lo scorso Settembre la NASA ha annunciato la probabile presenza di acqua liquida su Marte (e se c’è acqua liquida c’è molto probabilmente qualche forma di vita, almeno unicellulare). Dal 2010 si sono viste infatti sulla superficie di Marte delle striature stagionali che si ingrandiscono durante l’estate e spariscono in inverno. L’analisi spettroscopica delle striature ha rilevato la presenza di perclorati, dei sali che si depositano sul terreno in presenza di acqua liquida.
Eppure un nuovo studio pubblicato qualche giorno fa su Nature geoscience mette in discussione questa conclusione sostenendo che non è necessaria la presenza di acqua per avere queste formazioni. Potrebbe trattarsi di anidride carbonica liquida. Si vedrà.

New Horizon e Plutone
La sonda New Horizon, lanciata nel 2006, ha raggiunto Plutone lo scorso Luglio. Da allora ha scattato magnifiche foto di quello che era considerato l’ultimo pianeta del Sistema Solare e della sua “luna”, Caronte. Oggi Plutone è classificato come pianeta nano, ma le foto di New Horizon sono comunque fantastiche.

La cometa Catalina, per la prima e ultima volta
In questi giorni è visibile in cielo la cometa Catalina. Una cometa, come detto prima, non è una stella, ma un oggetto roccioso, ricoperto di ghiacci, polveri e gas che viaggia nello spazio. Quando la cometa si avvicina al Sole i ghiacci si sciolgono, i gas si ionizzano e le polveri si disperdono: è la coda della cometa. Catalina è una cometa “di passaggio” con due code, una fatta dalla scia di gas e una dalle polveri. Sta attraversando il Sistema Solare e non tornerà mai più. Per vederla bisogna svegliarsi verso le tre di notte e guardare verso Est. In questi giorni tra l’altro è facile da trovare anche ad occhio nudo perché è vicinissima ad Arturo, la seconda stella più luminosa del nostro emisfero. L’immagine, scattata lo scorso Agosto, si ingrandisce cliccando.


Brevemente, che 2016 sarà
Dal 2016 ci aspettiamo grandi cose.
Come detto arriveranno sempre più dati dal CERN ed è possibile, ma non è detto, che vengano scoperte nuove particelle. Gli esperimenti al CERN comunque non si fermeranno qua e andranno avanti ancora per un bel po’ di anni.
Tutti i fisici poi sperano che il 2016 possa essere l’anno della rilevazione delle onde gravitazionali. Oltre all’esperimento eLISA, che però verrà lanciato solo nel 2034, ci sono altri due esperimenti importanti, VIRGO e LIGO. Questi esperimenti sono effettuati sulla terra e non nello spazio, ma potrebbero dare presto dei risultati.
Blue Origin e SpaceX, con i loro lanciatori riutilizzabili, stanno mettendo le basi per una nuova epoca di esplorazioni spaziali. Se anche il 2016 sarà un anno di successi mi sbilancio a dire che riusciremo tutti a vedere durante la nostra vita un uomo mettere piede su Marte. I progressi tecnologici dell’ultimo anno puntano tutti in quella direzione.
Ah, nel 2016 sentiremo probabilmente ancora parlare di qualche scienziato americano che ha inventato il teletrasporto quantistico con l‘entaglement e adesso, figata, faremo i viaggi nello spazio e avremo dei mega computer quantici che fanno cose. Non sarà così.
Magari parleremo dell’entaglement, un giorno, ma con calma.

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