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La fissione nucleare

Vi siete mai chiesti come funziona una centrale nucleare? Si usano sostanze radioattive, certo. Ma cosa sono davvero? E come vengono utilizzate? E perché una centrale nucleare riesce a produrre molta più energia di una centrale elettrica a carbone? Ne parliamo oggi.

Nel frattempo, per chi se l’è persa, qui c’è la scorsa puntata di Storie, il podcast in cui intervisto giovani ricercatori in fisica. Ho parlato con Zeno Tornasi, dell’Università di Glasgow. Si occupa di onde gravitazionali.
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Ah, in fondo c’è la vignetta di Ale.

Di cosa parliamo oggi
– le centrali nucleari
– la fissione nucleare
– fusione e fissione
– pillole

Le centrali nucleari
Partiamo dall’argomento più semplice. Come fa una centrale nucleare a produrre energia elettrica? La risposta può sorprendere: esattamente come le centrali elettriche a carbone. Viene scaldata dell’acqua, l’acqua si trasforma in vapore, il vapore fa girare una turbina che a sua volta mette in moto un alternatore. L’alternatore è una macchina che trasforma l’energia meccanica della turbina in energia elettrica. Avete presente le “dinamo” per bicicletta che si usano per accendere il fanalino? Ecco, quelli sono alternatori.
Mentre l’alternatore genera corrente elettrica, il vapore acqueo si raffredda, torna allo stato liquido e il ciclo può ricominciare.
La differenza con le centrali a carbone non è quindi il procedimento usato per generare l’energia elettrica, ma la fonte utilizzata per scaldare l’acqua. Anziché bruciare il carbone si utilizzano delle sostanze radioattive.

Le sostanze radioattive
Ma quando una sostanza è radioattiva? Le sostanze radioattive sono formate da elementi piuttosto instabili, i cui atomi tendono a rompersi facilmente, causando la formazione di nuovi elementi ed emettendo radiazioni elettromagnetiche ad alta energia o altre piccole particelle. Le radiazioni, appunto.

La fissione nucleare
L’elemento radioattivo utilizzato nelle centrali nucleari è tipicamente l’uranio. Se vi ricordate questa newsletter, avevamo detto che gli atomi si distinguono tra loro in base al numero di protoni che li compongono: l’idrogeno ha 1 protone, l’elio ne ha 2, con 8 si fa l’ossigeno, con 26 il ferro e così via. L’uranio ne ha 92. Avevamo anche detto però che gli atomi sono formato anche da neutroni. Cambiando il numero dei neutroni di un elemento si formano i cosiddetti isotopi, ossia atomi dello stesso elemento ma con caratteristiche fisiche un po’ diverse. L’isotopo di uranio più diffuso è l’uranio-238, che ha (238 – 92) = 146 neutroni. Più del 99% dell’uranio in natura è uranio-238. L’uranio-238 è una sostanza radioattiva: con il passare del tempo i suoi atomi decadono, ossia si rompono dando vita a atomi con un numero più basso di protoni. Questo processo di rottura si chiama appunto fissione nucleare.
Quando si rompono, gli atomi di uranio-238 decadono in torio-234, che ha solo 90 protoni. Questo significa che l’uranio-238, decadendo, perde 2 protoni e 2 neutroni, che sono un nucleo di elio. I nuclei di elio sono chiamati anche particelle alfa e sono un tipo di radiazione non particolarmente pericoloso: basta un foglio di carta per fermarle.

Ovviamente più questi decadimenti avvengono velocemente, più vengono emesse radiazioni e più queste diventano pericolose.
Per determinare quanto l’uranio è radioattivo si calcola quindi il cosiddetto tempo di dimezzamento, ossia il tempo che ci mettono metà degli atomi di uranio a trasformarsi in torio, emettendo radiazioni alfa.
Il tempo di dimezzamento dell’uranio-238 è di circa 4,5 miliardi di anni. Se avete un chilo di uranio-238, dovrete aspettare tutto quel tempo affinché mezzo chilo si trasformi in torio.
Tra le sostanze radioattive, quindi, l’uranio-238 non è tra i più radioattivi. Emette radiazioni da cui è abbastanza facile schermarsi e il suo tempo di dimezzamento è piuttosto lungo.
Giusto per fare un confronto, un altro isotopo dell’uranio, l’uranio-239, emette radiazioni molto più pericolose (elettroni e positroni ad alta energia, detti anche particelle beta) e ha un tempo di dimezzamento di soli 23 minuti. Come vedete, l’uranio-239 e l’uranio-238 hanno solo un neutrone di differenza, eppure hanno caratteristiche molto diverse tra loro.
Nelle centrali nucleari si usa solitamente una miscela di due isotopi di uranio, l’uranio-238 e l’uranio-235, chiamata “uranio arricchito”, oppure una miscela di uranio e plutonio chiamata MOX.

Cosa accade nel nocciolo della centrale
Una volta preparata la miscela di combustibile, la si inserisce nel nocciolo della centrale nucleare e si cerca di innescare una reazione a catena: l’uranio arricchito viene bombardato con dei neutroni, per facilitarne la rottura. Gli atomi di uranio colpiti dai neutroni si spezzano quindi in torio, particelle alfa ad alta energia e altri neutroni, che a loro volta colpiscono altri atomi di uranio, replicando il processo.
Per facilitare l’innesco della reazione a catena, però, i neutroni devono essere rallentati alla giusta velocità. Per questo il nocciolo è immerso in una sostanza chiamata moderatore. Solitamente il moderatore utilizzato è il deuterio, conosciuto anche come acqua pesante.
Una volta innescata la reazione, però, i frammenti del processo di fissione, rallentando nel combustibile, generano calore che viene asportato da un fluido refrigerante: è l’acqua di cui parlavamo all’inizio, che raffredda il nocciolo scaldandosi e si trasforma in vapore, mettendo in moto la turbina.
La reazione a catena riesce quindi a liberare una grande quantità di energia: se un chilogrammo di carbone produce circa 8 kWh di energia, un chilogrammo di uranio-235 può produrne più di 20 milioni.

Fissione nucleare e fusione nucleare
Il processo di fissione è lo stesso che fu usato nelle bombe atomiche che colpirono Hiroshima e Nagasaki. Tuttavia, mentre nelle bombe nucleari la fissione avviene in modo incontrollato, nelle centrali nucleari la reazione viene controllata. Per controllare la reazione è necessario utilizzare una sostanza in grado di assorbire la maggior parte dei neutroni prodotti, così da limitare l’effetto catena. Nella miscela di uranio arricchito di cui abbiamo parlato, mentre l’uranio-235 partecipa attivamente alla fissione, l’uranio-238 ha proprio la capacità di assorbire i neutroni in eccesso, trasformandosi in uranio-239,che decade poi in plutonio-239.

Nonostante si usino principalmente uranio e plutonio, esistono molti altri elementi radioattivi in natura, come ad esempio il radon, il francio, l’astato o il polonio. Quest’ultimo è piuttosto famoso, in quanto fu usato nel 1998 per avvelenare a morte il dissidente russo Aleksandr Val’terovič Litvinenko.

C’è un ultimo appunto da fare. Esiste un altro tipo di reazione nucleare, chiamato fusione. È la reazione nucleare che avviene nelle stelle, produce molta più energia della fissione e non lascia alcun tipo di scoria radioattiva. Perché non usiamo la fusione anziché la fissione? Ne parliamo la prossima settimana.

Pillole
Alcune notizie di questi giorni, in breve.

104 satelliti in orbita con un solo lancio
L’India ha messo in orbita con un solo lancio 104 satelliti. È stato utilizzato il razzo Polar Satellite Launch Vehicle, che ha trasportato principalmente piccoli satelliti per rilevazioni della superficie terrestre e la raccolta di dati meteorologici. Un video della messa in orbita è qua.

La NASA e Marte
La NASA sta valutando la possibilità di utilizzare degli astronauti durante il primo lancio dello SLS, un nuovo sistema di lancio in fase di progettazione che dovrebbe essere inaugurato nei prossimi anni. Maggiori informazioni qui.

Forse si possono migliorare i telescopi
Dei ricercatori dell’Università di Toronto sono riusciti a migliorare in laboratorio la risoluzione di microscopi e telescopi. Quando le lenti inquadrano degli oggetti piccoli e molto vicini tra loro, non riescono a distinguerli a causa della diffrazione della luce nella lente: anziché vedere due puntini luminosi, si vede un unico oggetto sfocato. I ricercatori sono riusciti ad aumentare la risoluzione delle lenti sfruttando una caratteristica fisica dei raggi luminosi, chiamata fase. Non è ancora chiaro se si riuscirà a implementare questa nuova tecnica al di fuori degli ambienti controllati del laboratorio.

 

[Credit: La fissione nucleare, di Alessandro Toffali (Vuoto Comico), CC-BY-NC-ND 4.0]

La fisica di Ale
La striscia di oggi. I fumetti di Alessandro sono su Vuoto Comico.

Per approfondire
– Che cos’è la massa critica?
Come funziona una centrale nucleare (articolo)
– La fissione nucleare, spiegata da Rai Educational (video)
– La fissione nucleare, spiegata da Alessandro Cecchi Paone (video)

Gli orbitali atomici

Gli elettroni sono distribuiti attorno al nucleo degli atomi seguendo le leggi della Meccanica quantistica, in alcune aree chiamate orbitali atomici. È l’argomento di oggi.
Per il resto parleremo di una novità riguardante le onde gravitazionali, dei famosi punti luminosi di Ceres – il pianeta nano – e di altre notizie della settimana.

Di cosa parliamo oggi
– la funzione d’onda
– come è fatto un atomo?
– gli orbitali atomici
– pillole della settimana

La funzione d’onda
Parlando della Meccanica quantistica avevamo detto che non è possibile misurare contemporaneamente la posizione e la velocità delle particelle con precisione arbitraria. Meglio misuriamo la posizione di una particella, più incerta è la misura della sua velocità e viceversa. Non è un limite sperimentale, ma un confine dato alla nostra conoscenza dalla natura e viene chiamato principio di indeterminazione di Heisenberg (per chi si è perso e per chi non c’era, ne abbiamo parlato qui). Per questo in Meccanica quantistica viene usata una descrizione probabilistica dello stato fisico delle particelle: la funzione d’onda. La funzione d’onda ci dice qual è la probabilità di trovare una certa particella in un determinato stato fisico – ad esempio qual è la probabilità di trovarla in una certa posizione. Questa descrizione probabilistica del comportamento delle particelle ha avuto molto successo, anche se ci ha costretto a cambiare modo di pensare. Se mettiamo una pallina sul tavolo e usciamo dalla stanza, possiamo dire con certezza che la pallina è rimasta sul tavolo. Se poi la lanciamo per aria, possiamo calcolare il suo moto e predire con esattezza dove cadrà. Con le particelle non funziona così: non possiamo più dire, prima di effettuare una misura, dove è una particella, né possiamo sapere in anticipo quale sarà la sua traiettoria. Possiamo solo conoscere la probabilità di misurarla in un punto a una certa velocità.

Come è fatto un atomo?
La funzione d’onda è lo strumento giusto per studiare la struttura degli atomi. Prima però chiariamoci le idee: cos’è un atomo? Prima che fossero scoperte le particelle elementari si credeva che la materia fosse costituita da piccoli granelli chiamati atomi (àtomos = indivisibile). È effettivamente così. La materia è composta di atomi che differiscono tra loro per dimensione, forma e altre proprietà fisiche e che possono combinarsi per creare molecole e dunque diversi materiali. Però non sono veramente indivisibili, anzi. Un atomo è formato da tre tipi di particelle: protoni, neutroni e elettroni. I protoni hanno carica elettrica positiva, i neutroni non hanno carica elettrica e gli elettroni – che sono 1836 volte più leggeri dei protoni e molto più piccoli – hanno carica elettrica negativa. Agli inizi del Novecento i fisici credevano che i protoni (rossi, in figura) se ne stessero insieme ai neutroni (verdi) a formare il nucleo atomico – la parte centrale dell’atomo – e che gli elettroni (gialli) ruotassero intorno al nucleo un po’ come i pianeti ruotano attorno al Sole.

Atom

(Credit: Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0)

Questo schema non nasce a caso – la legge di Coulomb che regola l’attrazione tra cariche elettriche negative e positive è molto simile alla legge di gravitazione universale di Newton, che modella l’attrazione dei corpi celesti – e ha permesso di spiegare come è formata la materia.
Atomi con un numero equivalente di protoni, neutroni e elettroni sono atomi dello stesso elemento. Ad esempio gli atomi composti da 3 protoni, 4 neutroni e 3 elettroni sono atomi di litio, quella sostanza usata nelle batterie. Solitamente protoni e elettroni sono presenti nell’atomo in numero uguale e cambiando il numero di protoni, cambia l’elemento: l’idrogeno ha 1 protone, l’elio ne ha 2, con 8 si fa l’ossigeno, con 26 il ferro e così via. Cambiando il numero dei neutroni invece si formano i cosiddetti isotopi, ossia atomi dello stesso elemento ma con caratteristiche fisiche un po’ diverse. Per dire, il trizio è un isotopo dell’idrogeno che si ottiene aggiungendo due neutroni al nucleo dell’idrogeno. Ed è radioattivo.
Tuttavia i fisici hanno scoperto che gli atomi non possono essere fatti come un piccolo sistema solare – con il nucleo al centro e gli elettroni che orbitano intorno. Le leggi dell’elettromagnetismo di Maxwell infatti dicono che delle cariche elettriche che si muovono emettono energia sotto forma di onde elettromagnetiche. Gli elettroni quindi, ruotando come piccoli pianeti, dovrebbero emettere onde elettromagnetiche, perdere energia e, prima o poi, cadere sul nucleo atomico distruggendo l’atomo. Perché non accade?

Gli orbitali atomici
Non accade perché gli elettroni sono particelle che obbediscono alle leggi della Meccanica quantistica e non seguono una traiettoria come l’orbita circolare disegnata sopra. Se seguissero una traiettoria precisa, esisterebbe una formula matematica che predice dove si trova ogni elettrone e a che velocità sta viaggiando. Pensateci: studiando le orbite dei pianeti intorno al Sole, o dei satelliti attorno alla Terra, siamo in grado di calcolare dove si trovano e la loro velocità. Sappiamo però che, a causa del principio di indeterminazione di Heisenberg, non è possibile fare lo stesso per le particelle. L’idea stessa di orbita, quindi, non si può applicare al modello atomico: gli elettroni non seguono delle orbite ruotando attorno ai protoni e ai neutroni.
Eppure gli esperimenti hanno dimostrato che l’atomo è formato da due regioni, una più centrale e densa, fatta di protoni e neutroni, e una più esterna e diradata, in cui si trovano gli elettroni.

Per riuscire a descrivere questa struttura possiamo provare a studiare la funzione d’onda degli elettroni che si trovano attorno al nucleo, individuando quelle zone in cui è più probabile trovare gli elettroni, quando li cerchiamo. Le zone adiacenti al nucleo in cui è più probabile trovare gli elettroni sono chiamate orbitali atomici. Si chiamano così perché sostituiscono l’idea di orbita – non più utilizzabile.
L’orbitale dell’atomo più piccolo – l’idrogeno, che ha 1 protone, 1 elettrone e zero neutroni – è molto semplice: è una sfera che avvolge il nucleo atomico

orbitals

(Credit: Av haade – Own work, CC BY-SA 3.0)

e ci dice che in quella zona è c’è un alta probabilità di trovare l’elettrone dell’idrogeno. Per convenzione gli orbitali sono quelle aree in cui la probabilità di trovare l’elettrone è superiore al 95%. Significa quindi che l’elettrone potrebbe trovarsi anche fuori da quella zona, ma con una probabilità sempre più bassa man mano che ci si allontana.
L’idrogeno però ha una struttura molto semplice, perché ha un solo elettrone che ruota attorno a un protone.
Come si dispongono gli elettroni, quando sono più di uno?

Il principio di esclusione di Pauli
Le particelle, oltre ad avere una posizione, una velocità o una carica elettrica, possono avere anche altre proprietà fisiche. Una di queste è chiamata spin. Non ne parliamo oggi, perché è una cosa piuttosto complicata da spiegare, ma è importante citarlo perché anche gli elettroni hanno uno spin, che può assumere due valori: +1/2 o -1/2 (Non fate caso ai numeri o al loro significato). La cosa importante da sapere è che due elettroni con lo stesso spin non possono stare nello stesso orbitale. È una legge dettata dalla natura, conosciuta come principio di esclusione di Pauli: se in un orbitale c’è un elettrone con spin +1/2 e ce ne è un altro, quest’altro ha per forza spin -1/2. Quindi in un orbitale ci possono essere al massimo due elettroni.
Se attorno a un atomo ci sono più di due elettroni, questi si trovano per forza in orbitali diversi.
Esistono infatti molti tipi di orbitali, che vengono riempiti dagli elettroni seguendo un ordine particolare. I primi orbitali hanno queste forme strane.

orbitali

(Credit: Av haade – Own work, based on various sources, sketch NOT computer generated models, CC BY-SA 3.0)

Il primo orbitale a riempirsi è quello rosso, chiamato orbitale s, poi si riempiono gli orbitali gialli, detti p, poi quelli azzurri e così via. Per chi volesse approfondire la struttura atomica, gli orbitali e scoprire cosa sono i livelli energetici, lascio un link negli approfondimenti.

I legami chimici
Una cosa importante degli orbitali è che questi giocano un ruolo di primo piano nella formazione dei legami chimici tra gli atomi. Gli orbitali più esterni di due atomi, infatti, possono legarsi tra loro, mettendo in comune i loro elettroni. In questo caso nascono dei nuovi tipi di orbitali, chiamati orbitali molecolari. Non entriamo nel dettaglio. Chi è appassionato di chimica, trova un link negli approfondimenti.

Pillole della settimana
Alcune notizie di questi giorni, brevi.

Uno strano segnale forse proveniente dai buchi neri
Il 14 Settembre 2015, il Fermi Telescope della NASA ha misurato un lieve segnale proveniente dalla stessa regione di spazio da cui proveniva l’onda gravitazionale misurata da LIGO. Si tratta di un’emissione di raggi gamma ed è stata misurata meno di mezzo secondo dopo la rivelazione di LIGO. Potrebbe trattarsi di una coincidenza, anche se le probabilità che due segnali così importanti arrivino in un tempo così ravvicinato per puro caso è inferiore allo 0.2%. Nel breve video qui sotto è stata ricostruita la regione da cui provengono i due segnali. Questa misurazione potrebbe permetterci di capire meglio come funziona la fusione tra due buchi neri, ma soprattutto ci dimostra quanto è importante la triangolazione dei segnali. Per individuare l’esatta posizione di una sorgente di onde gravitazionali bisogna effettuare una triangolazione. Per fare una triangolazione servono tre “antenne”. Oggi ne abbiamo due – i due LIGO negli Stati Uniti. Quando anche Virgo, il rivelatore italiano, sarà attivo, sarà possibile localizzare nel giro di alcuni minuti l’origine delle onde gravitazionali e puntare tutti gli altri telescopi verso quel punto, per misurare altri tipi di radiazioni.


I punti luminosi di Ceres
La sonda Dawn, lanciata dalla NASA per raggiungere il pianeta nano Ceres e l’asteroide Vesta aveva individuato su Ceres dei punti molto luminosi, forse composti di ghiaccio esposto alla luce del sole. Non abbiamo ancora una risposta definitiva, ma nel frattempo abbiamo immagini di qualità sempre migliore, come questa immagine del cratere Haulani, ripreso da un’altitudine di 1470 km (i colori di questa foto non sono reali, ma evidenziano materiali di origine diversa. Si ingrandisce cliccando).

haulani

(Credit: Dawn/NASA)

Installato il modulo BEAM
Dopo essere stato lanciato con il Falcon 9, il modulo gonfiabile BEAM è stato installato con successo sulla Stazione Spaziale Internazionale. Il video dell’installazione si trova qui.

Analizzata della polvere interstellare
La sonda Cassini, realizzata dalla NASA con la collaborazione dell’Agenzia Spaziale Italiana, si trova in orbita intorno a Saturno. Cassini è dotata di uno strumento chiamato Cosmic Dust Analyzer, in grado di analizzare minuscoli granelli di polvere spaziale. Queste analisi hanno individuato per la prima volta delle polveri provenienti dall’esterno del Sistema Solare. Tutti i dettagli qui.

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Per approfondire
– Il modello atomico a orbitali, spiegato con qualche dettaglio in più
– Gli orbitali molecolari