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  (Credit: NASA)

Il paradosso dei gemelli

Nella Relatività Speciale esiste un paradosso, chiamato paradosso dei gemelli. Il paradosso è dovuto al fenomeno della dilatazione dei tempi di cui abbiamo già parlato. Per mettervi al pari e capire il paradosso potete leggere il riassuntino qua sotto, oppure dare una letta qui.
Ah, la prossima volta ci sarà in newsletter anche un breve spazio di domande e risposte. Potete inviarmi le domande a spacebreak [at] francescobussola.it, oppure su twitter o facebook.

Di cosa parliamo oggi
– il paradosso dei gemelli
– come si risolve?
– pillole della settimana

Il paradosso dei gemelli
Prima di parlare del paradosso dei gemelli, mi sembra il caso di fare tre righe di riassunto. Pronti? Via.

Riassuntino veloce veloce
La Teoria della Relatività Speciale di Einstein predice che se facciamo viaggiare degli orologi su un aereo, questi scandiranno il tempo più lentamente rispetto a quelli che sono sulla Terra. Insomma, il tempo scorre più lentamente quando ci si muove. Questo fenomeno, totalmente controintuitivo, è stato verificato sperimentalmente ed è oggi uno dei principi cardini della fisica.

I gemelli Scott e Mark
Immaginiamo che ci siano due gemelli, Scott e Mark, entrambi astronauti. Scott e Mark si trovano entrambi sulla Terra fino a quando la NASA non decide di mandare Scott in missione nello spazio. Scott dovrà viaggiare a velocità elevatissime con una navicella spaziale, effettuare alcuni test scientifici fermandosi al di fuori del Sistema Solare e infine tornare sulla Terra per comunicare i risultati. A Scott vengono date provviste per dieci anni: la missione è molto complessa, il viaggio lungo e gli esperimenti dovranno essere ripetuti più volte per verificare i risultati. Il 17 Marzo 2016, Scott parte, mentre suo fratello Mark rimane sulla Terra per addestrare dei giovani astronauti.

Il viaggio
La navicella con cui viaggia Scott si muove a velocità costante allontanandosi dalla Terra. Nello spazio non è difficile: una volta raggiunta la velocità desiderata, basta spegnere i motori e la navicella continua a viaggiare perché non c’è l’attrito dell’aria. Supponiamo che la navicella di Scott viaggi a circa 290 mila Km al secondo – una velocità prossima alla velocità della luce. Per gli effetti della Relatività Speciale l’orologio che si trova sulla navicella scandisce il tempo più lentamente di quelli che si trovano sulla Terra. Per dare dei numeri, a 290 mila Km al secondo gli orologi scorrono quasi 4 volte più lentamente, il che significa che un minuto sulla navicella corrisponde a quattro minuti sulla Terra. Insomma, quando sulla navicella passa un minuto, sulla Terra ne passano quattro,
Immaginiamo ora che Scott viaggi per quattro anni a queste velocità, si fermi per un paio d’anni al di fuori del Sistema Solare per effettuare gli esperimenti e poi decida di tornare sulla Terra per evitare di finire il cibo a disposizione. Una volta tornato sulla Terra avrà viaggiato complessivamente per otto anni – sui dieci della missione – a velocità prossime a quelle della luce.
Dalla partenza, il 17 Marzo 2016, Scott è dieci anni più vecchio ma, siccome sulla Terra il tempo è trascorso quattro volte più velocemente durante gli otto anni di viaggio di Scott, suo fratello Mark non sarà più vecchio di dieci anni, ma di trentaquattro (8[anni in viaggio]x4+2[anni di esperimenti]=34). All’arrivo di Scott, sulla Terra è il Marzo 2050, non il Marzo 2026.

Il paradosso
Fin qua è tutto molto assurdo ma, se la Relatività è vera (lo è) e se il fenomeno della dilatazione del tempo esiste (esiste), il ragionamento non fa una grinza: durante gli otto anni di viaggio a quelle velocità, il tempo sulla Terra è trascorso quattro volte più velocemente. Al loro incontro i due gemelli avranno età diverse: Scott sarà invecchiato di dieci anni, mentre Mark di trentaquattro. Dunque qual è il paradosso?
Il paradosso nasce dal principio cardine della Relatività Speciale, il principio di relatività. Il principio di relatività afferma che le leggi fisiche sono le stesse per tutti i sistemi di riferimento inerziali. Cosa significa? Significa, in questo caso, che sia Scott che Mark devono poter leggere il mondo con le stesse leggi fisiche.
Fin’ora infatti abbiamo osservato tutto il viaggio di Scott come se fossimo sulla Terra insieme a Mark: Scott è partito, ha viaggiato rispetto a noi a una velocità prossima a quella della luce per raggiungere lo spazio profondo, si è fermato e poi è tornato indietro sempre a una velocità elevatissima. Ma nulla ci impedisce di metterci dal punto di vista di Scott. Mentre viaggia, guardando fuori dall’oblò della navicella, Scott vedrebbe la Terra allontanarsi da lui a grande velocità. Se non sapesse di essere un astronauta su una navicella potrebbe credere di essere fermo in mezzo allo spazio, mentre la Terra fugge via. Potrebbe insomma avere la stessa sensazione che abbiamo quando vediamo il treno in fianco al nostro muoversi e non capiamo se è il nostro treno che parte o se siamo fermi. La velocità è infatti un concetto relativo e dipende da chi la misura: per Mark è Scott a muoversi con la sua navicella. Dal punto di vista di Scott è la Terra ad allontanarsi da lui.
Considerando Scott come se fosse fermo, allora sarebbe la Terra, insieme a Mark, a muoversi a 290 mila Km al secondo. Perciò il tempo dovrebbe dilatarsi sulla Terra, non sulla navicella. Dovrebbe insomma accadere il contrario di quanto abbiamo detto prima: quando sulla Terra passa un minuto, sulla navicella ne passano quattro. Seguendo questo ragionamento quindi sarebbe Scott a invecchiare quattro volte più velocemente di Mark, non viceversa.
Il paradosso dei gemelli è questo qua: dal punto di vista di Scott, Mark dovrebbe invecchiare. Dal punto di vista di Mark, dovrebbe invecchiare Scott. Cosa accade davvero?

Prima di dare la soluzione, ecco una bella foto di Mark e Scott Kelly, i due astronauti NASA che si sono prestati per davvero a un esperimento simile a quello che abbiamo raccontato, senza però viaggiare nello spazio profondo. Ne abbiamo parlato qui. Dopo l’esperimento, durato un anno, uno dei due è 10 millisecondi più vecchio dell’altro.

mark_scott_big

Mark e Scott Kelly (Credit: NASA)

La soluzione
Per risolvere il paradosso bisogna prestare un po’ di attenzione a come si svolge l’esperimento. La situazione non è infatti completamente speculare, anche se sembrerebbe di sì. Il paradosso nasce appunto applicando il principio di relatività: i punti di vista di Mark e Scott ci sembrano equivalenti e saltando dall’uno all’altro non sappiamo più da che parte il tempo scorre più veloce o più lento.
I due punti di vista, però, non sono equivalenti. A differenza di Mark, che se ne sta comodo sulla Terra, Scott è soggetto a forti decelerazioni e accelerazioni: il razzo deve lanciare la navicella nello spazio, la navicella deve poi frenare bruscamente e fermarsi fuori dal Sistema Solare per poi riaccelerare e tornare indietro. Scott, quindi, quando i motori sono accesi, sente il suo corpo schiacciarsi contro il sedile o contro le cinture di sicurezza. Mark invece non sente alcuna accelerazione. La situazione non è dunque speculare: uno dei due astronauti percepisce, anche senza guardare fuori, anche senza sapere dove si trova, di essere soggetto a grandi accelerazioni. L’altro no.

Verso la Relatività Generale
Questo ragionamento convinse Einstein che alla Relatività mancasse un ingrediente e che l’accelerazione c’entrasse qualcosa in tutto questo. L’ingrediente mancante era la gravità, una forza che fa appunto accelerare i corpi: è impossibile distinguere un’accelerazione dovuta a una forza esterna da quella prodotta da un campo gravitazionale. Questo principio, chiamato principio di equivalenza, è il punto di partenza della Relatività Generale, la parte della Teoria di Einstein che considera anche la gravità. Per capire meglio cosa significa il principio di equivalenza, potete leggere questo esperimento immaginario, chiamato ascensore di Einstein.

Pillole della settimana
Alcune notizie di questi giorni, brevi.

ExoMars è partita
La missione ExoMars, un progetto dell’Agenzia Spaziale Europea per l’esplorazione robotica di Marte, è partita. È composta da una sonda – TGO – che rimarrà in orbita attorno a Marte e da un Lander – Schiaparelli – che atterrerà sul pianeta per studiarne l’atmosfera. Il contributo italiano alla missione, tramite l’Agenzia Spaziale Italiana e Finmeccanica, è consistente: la leadership della missione è affidata all’Italia, così come la responsabilità complessiva del sistema e lo sviluppo di Schiaparelli. Sono poi italiani i progetti di vari strumenti scientifici di Schiaparelli come DREAMS, AMELIA, MA_MISS e INRRI. Per maggiori informazioni sul ruolo dell’Italia potete guardare questo video Rai. Purtroppo il video ufficiale del lancio (questo) è piuttosto sgranato. C’è però un bel video fatto con il cellulare da Roberto Battiston, presidente dell’ASI.
Curiosità: come vengono trasportati i lanciatori di queste missioni? Così.

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Per il capitolo «A cosa servono le missioni spaziali?», il satellite Landsat 8 sta scandagliando gli oceani per trovare relitti di navi affondate. Sapere dove sono i relitti è importante per varie ragioni. Quelli più recenti possono essere fonte di inquinamento, quelli vicini alla costa sono un potenziale pericolo per la navigazione, quelli più vecchi possono addirittura favorire la nascita di una barriera corallina. Lo sviluppo di tecnologie anche per missioni apparentemente inutili, permette poi di riutilizzarle in moltissimi ambiti che impattano direttamente sulla nostra vita.

Landsat

(Credit: NASA/USGS Landsat/Jesse Allen/NASA Earth Observatory/Matthias Baeye et al)

KosmoKurs sfiderà Blue Origin
L’agenzia spaziale russa Roscosmos ha approvato il progetto dell’azienda privata KosmoKurs di Pavel Pushkin per progettare e sviluppare un sistema riutilizzabile per il turismo spaziale. I primi viaggi sono programmati attorno al 2020. Se avrete voglia di fare un viaggetto di qualche minuto nello spazio potete cominciare a mettere via un po’ di soldi. Il biglietto dovrebbe costare attorno ai 250 mila euro. KosmoKurs non è la prima azienda che punta a questo obiettivo. L’azienda americana Blue Origin di Jeff Bezos ha già effettuato i primi lanci test.

Feedback
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Per approfondire
– Il paradosso dei gemelli
– L’esperimento che ha coinvolto i veri Scott e Mark Kelly (inglese)

La scoperta delle onde gravitazionali

Settimana pazzesca per la fisica. Con una conferenza stampa è stato annunciato che l’esperimento LIGO ha rilevato per la prima volta le onde gravitazionali. Ne parliamo oggi. La newsletter è lunga, ma ne vale la pena. Può essere utile dare una letta alla scorsa newsletter sui buchi neri, per chi non l’avesse fatto.
Durante la conferenza stampa ho fatto un livetweet. Lo trovate qui.
Ricordo che le newsletter sono pubblicate online con qualche giorno di ritardo.
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Di cosa parliamo oggi
– cosa sono le onde gravitazionali
– come rilevare le onde gravitazionali
– la dimensione di quello che è accaduto
– pillole della settimana

Riassunto delle puntate precedenti
L’universo in cui viviamo, secondo la Teoria della Relatività, “poggia” su una struttura geometrica intangibile chiamata spaziotempo. Possiamo immaginare questa struttura come un lenzuolo steso. La presenza di stelle, pianeti o di altri oggetti dotati di massa sopra il lenzuolo ne modifica la forma, creando delle conche. Questo effetto di deformazione, chiamato curvatura, è il modo in cui la Relatività descrive la gravità: se si finisce nella conca di un altro corpo, ci si cade addosso. La presenza di masse, quindi, modifica lo spaziotempo, ossia deforma sia il tempo che lo spazio. Nella nostra vita non ci accorgiamo di queste deformazioni perché anche noi veniamo deformati insieme allo spaziotempo e tutto ci sembra normale.

Cosa sono le onde gravitazionali
Oltre a questo, la Relatività predice che delle masse in accelerazione, ad esempio due masse che ruotano l’una attorno all’altra, producano, oltre alle loro conche, delle increspature dello spaziotempo che si propagano nel lenzuolo. L’idea è simile a quella di una barca che muovendosi sull’acqua produce delle onde. L’unica importante differenza è che non è sufficiente che le masse si muovano come la barca, ma devono proprio accelerare (modificando il loro momento di quadrupolo, per chi sa cos’è).
Le onde gravitazionali si propagano deformando lo spaziotempo in senso radiale, come in questa animazione.

SoylentGreen – Opera propria, CC BY-SA 3.0 [link]

Dato che le onde deformano lo spaziotempo, significa che al loro passaggio deformano il tempo e lo spazio. Ed è proprio questa deformazione che può essere misurata per individuarle.

Come rilevare le onde gravitazionali
Per rilevare le onde gravitazionali è sufficiente misurare la deformazione dello spazio, ossia la deformazione delle distanze al passaggio dell’onda e confrontare questa deformazione con quello che ci si aspetta. Semplice, no? No.
Le onde gravitazionali sono segnali così deboli che deformano le distanze per meno di 1 miliardesimo di miliardesimo di metro. Bisogna quindi essere in grado di costruire un apparato estremamente sensibile e, soprattutto, isolato da altri disturbi elettromagnetici, termici, acustici o sismici, che sono ben più intensi. Serve poi uno strumento di misura che non si deformi insieme allo spazio quando passa l’onda, altrimenti sarebbe impossibile misurare la deformazione. Fortunatamente ne abbiamo uno: la velocità della luce è una costante universale e possiamo quindi usarla come “righello” per vedere se lo spazio si deforma oppure no. Ora vediamo come.

Advanced LIGO in Washington (Credit: MIT/CalTech LIGO)

LIGO è un’enorme antenna
Advanced LIGO è un apparato costruito per misurare le deformazioni dello spazio e captare quindi le onde gravitazionali. Si può dire che, essenzialmente, è un’enorme antenna: utilizzando dei principi fisici, riceve dei segnali. Ci sono due Advanced LIGO, uno in Louisiana e uno nello stato di Washington, a tremila chilometri di distanza.
Nella pratica LIGO è un interferometro di Michelson, simile a quello usato da Michelson e Morley nel 1887, ma molto più grande e ovviamente più complesso.
Funziona così: un raggio laser viene sparato contro uno splitter, quello rosso nell’immagine qui sotto. Uno splitter è un dispositivo ottico in grado di dividere il raggio in due fasci perpendicolari. Dallo splitter i due fasci percorrono due bracci lunghi quattro chilometri. Al termine di ogni braccio si trovano degli specchi – quelli verdi – che riflettono i fasci all’indietro. Ad un certo punto i due fasci laser si reincrociano nello splitter, si riuniscono in un unico fascio e vengono indirizzati verso un rilevatore – quello nero.

Credit: B. P. Abbott et al. Phys. Rev. Lett. 116, 061102 – Published 11 February 2016 DOI CC BY 3.0

Inizialmente il raggio laser è unico. Dallo splitter in poi, però, i due fasci viaggiano lungo percorsi diversi, perpendicolari tra loro. I percorsi sono tuttavia lunghi uguali e quando i due fasci si riuniscono, ricreano il raggio originale. Quando però uno dei due bracci è un po’ più lungo dell’altro, i fasci non ricreano il raggio originale, ma formano una figura di interferenza, che si nota quando due segnali sono sfasati tra loro o sono diversi e quindi si disturbano a vicenda. L’interferenza è un fenomeno che conosciamo tutti: è il cellulare che gratta le casse audio quando riceviamo un sms, un fulmine che altera il segnale tv, due onde nel mare che si incrociano.

interfrenza

La cosa interessante è che studiando le figure di interferenza possiamo ricostruire il segnale che le ha generate.

Cosa succede quando arriva un’onda gravitazionale
All’arrivo di un’onda gravitazionale lo spaziotempo si deforma e le distanze tra gli specchi – quelli verdi – cambiano. I due bracci quindi si accorciano o si allungano in base a come è fatta l’onda. Noi non ci accorgiamo di questa deformazione dello spazio perché anche noi siamo “immersi” nello spaziotempo: è la nostra realtà a deformarsi. Tuttavia il raggio laser viaggia alla velocità della luce, che è una costante universale. Se al passaggio di un’onda gravitazionale uno dei due bracci si allunga, allora il fascio che sta viaggiando in quel braccio deve fare più strada dell’altro. Quando i due fasci si ricongiungono hanno quindi percorso distanze diverse e creano una figura di interferenza.

Cosa ha visto LIGO 
LIGO ad un certo punto ha visto una figura di interferenza. Studiandola, gli scienziati hanno ricreato la forma dell’onda che l’ha generata. Eccola.

Credit: P. Abbott et al. Phys. Rev. Lett. 116, 061102 – Published 11 February 2016 DOI CC BY 3.0

Questa è l’onda gravitazionale che è stata misurata. È durata circa due decimi di secondo e ha deformato i bracci di LIGO – che sono lunghi 4 Km – solo di un millesimo di miliardesimo di miliardesimo di metro.

Cosa ci dice questo segnale (tanto)
Il segnale, come si vede anche a occhio, aumenta nel tempo sia l’ampiezza che la frequenza di oscillazione, per poi decadere bruscamente alla fine. La spiegazione più probabile per un segnale di questo tipo è che sia stato generato da due masse in collisione e in rotazione a circa 150 mila Km orari al secondo. Attraverso dei calcoli è stato stimato che la collisione sia avvenuta 1,3 miliardi di anni fa a più di 12 mila miliardi di miliardi di chilometri da noi, che la somma delle due masse coinvolte sia circa 70 masse solari (70 volte la massa del Sole) e che le due masse dovessero essere molto compatte e vicine, a circa 350 Km l’una dall’altra. Gli unici oggetti celesti previsti dalle nostre teorie che possono avere così tanta massa, ma ruotare così vicini sono due buchi neri. Inoltre, il decadimento così brusco dell’onda verso la fine del segnale è compatibile con la rapida formazione di un unico buco nero una volta che i due si sono scontrati. Ulteriori analisi hanno stabilito che le masse dei due buchi neri fossero rispettivamente 36 e 29 masse solari. La massa del buco nero in cui si sono fusi è 62 masse solari.
Notate: 36+29= 65, non 62. Dove sono finite le 3 masse solari mancanti? La massa che manca si è trasformata in energia, sotto forma di onde gravitazionali. Il processo però è stato così rapido (meno di due decimi di secondo) che la potenza emessa è pari alla maggiore della potenza di tutte le stelle visibili nell’universo.
Come se tutto ciò non bastasse, questa rilevazione è anche la prima prova diretta dell’esistenza di sistemi binari di buchi neri.

È valido il risultato?
Rilevare un segnale così debole è tecnicamente molto difficile. È stato fatto un enorme lavoro per amplificare il segnale e sopprimere i disturbi. Il raggio laser viene potenziato con alcuni stratagemmi da una potenza di 20 Watt a 100 mila Watt, gli specchi sono isolati dal rumore sismico e sono costruiti con materiali particolari per diminuire le oscillazioni termiche e tutti i componenti sono montati su impalcature in ultravuoto per isolarli dalle vibrazioni. Ma nonostante tutti gli accorgimenti, potremmo chiederci: è valido il risultato?
Siamo piuttosto certi che lo sia. Innanzitutto il segnale è stato rilevato da entrambi i LIGO, a pochi millisecondi di distanza, come se l’onda fosse arrivata prima in Washington e poi in Louisiana e il ritardo di misura è compatibile con la propagazione di un’onda gravitazionale. Il segnale, poi, è così forte che è stato rilevato già sui dati in tempo reale, ossia attraverso le analisi preliminari, che sono meno approfondite di quelle fatte a posteriori ed ha una confidenza maggiore di 5 sigma, che è un modo statistico per dire che, per carità, potrebbe essere un falso allarme, ma un falso allarme come questo accade una volta ogni 203 mila anni.
Inoltre il segnale è arrivato il 14 Settembre scorso. Da allora fino ad oggi gli scienziati che collaborano al progetto hanno controllato i dati e testato la risposta dell’antenna ai disturbi esterni. La procedura è così serrata che nella collaborazione esistono alcune persone che possono inserire all’insaputa di tutti gli altri dei falsi segnali. È accaduto in passato: erano tutti pronti alla conferenza stampa, ma si trattava di un’esercitazione. Per questo i membri del progetto devono rispettare un vincolo di segretezza. Inoltre è bene sapere che alla collaborazione LIGO partecipano più di mille ricercatori divisi in quattro continenti. Questo significa che il risultato è già stato abbondantemente sottoposto al processo di revisione scientifica – chiamato peer review – ancor prima della pubblicazione.

Gli amici di LIGO 
I due Advanced LIGO non sono gli unici rilevatori di onde gravitazionali. Ne esistono altri: GEO600 e VIRGO ad esempio. VIRGO si trova Pisa, ha caratteristiche simili a LIGO e dovrebbe essere presto attivato dopo alcuni miglioramenti, mentre GEO600 non è ancora abbastanza sensibile per rilevare eventi di questo tipo.
eLISA è invece un rilevatore spaziale che verrà lanciato in orbita nel 2034. Oggi in orbita c’è Lisa Pathfinder, una missione test per collaudare le tecnologie necessarie a eLISA.
Tutti questi rilevatori stanno creando poco a poco una rete online, in modo da poter analizzare insieme i dati rilevati.

La dimensione di quello che è accaduto
Si tratta di una scoperta epocale. Le onde gravitazionali sono state teorizzate da Einstein 100 anni fa. Per trovarle sono serviti anni di ricerca, mille scienziati, 103 istituti coinvolti e milioni di finanziamenti. Uno sforzo scientifico e tecnologico impressionante. Chicca: la prima validazione del segnale come probabile onda gravitazionale è stata fatta dall’Università di Trento in collaborazione con l’Albert Einstein Institute di Hannover. Trovate qualche dettaglio negli approfondimenti.

Pillole della settimana
Alcune notizie di questi giorni, brevi.

Lisa Pathfinder ha liberato le masse di prova
Lisa Pathfinder è una missione spaziale per testare le tecnologie necessarie per l’esperimento eLISA, un rilevatore di onde gravitazionali simile a LIGO e VIRGO, ma con caratteristiche diverse e che verrà posizionato nello spazio e non sulla Terra. Lisa Pathfinder ha raggiunto la sua destinazione, un punto del sistema solare chiamato L1, e questa settimana ha rilasciato le masse di prova, che durante il lancio erano state fissate con dei fermi. Le masse di prova sono dei cubi di oro platino di 4.5 cm e hanno lo stesso ruolo degli specchi nell’esperimento LIGO. Tra una ventina di giorni potranno cominciare i test scientifici.

Ciao ciao, Philae
Philae, il lander che si trova sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko e che era finito in una zona d’ombra, ricoperto di polveri, non si sveglierà più. I tentativi di rianimarlo sono falliti, ha le pile scariche e non c’è più niente da fare. Ci lascia comunque un po’ di dati da analizzare.

Astrosamantha, al cinema
L’1 e il 2 marzo (e solo in quei giorni) sarà al cinema il film sugli scorsi tre anni di vita dell’astronauta Samantha Cristoforetti, la prima donna italiana nello spazio. Potete prenotare il biglietto online. Qui il sito del docufilm, qui il trailer. Consiglio: andateci.

Per approfondire
– Il ruolo dei ricercatori italiani nella scoperta
– La storia dei rilevatori di onde gravitazionali, di Licia Troisi
– La conversione in onde sonore del segnale rilevato da LIGO
– La conferenza stampa di Giovedì scorso, su youtube (inglese)
– Un video di Scientific American su come funziona LIGO (inglese)
– Un video dell’Istituto italiano di Astrofisica (INAF)
– Marco Drago, l’italiano che per primo ha visto il segnale, qui in italiano, qui in inglese
– L’articolo scientifico sulla scoperta, pubblicato su Physical Review Letters
– La scoperta, raccontata come una storia di Paolo Calisse

I buchi neri, LIGO e le onde gravitazionali

La settimana scorsa abbiamo parlato della Relatività e siamo pronti a capire cosa sono i buchi neri. Qui trovate le scorse newsletter, qui la pagina facebook e qui l’account twitter di Space break.
Oggi però è anche un giorno importante per la fisica. Forse sono state rilevate per la prima volta le onde gravitazionali e c’è un’attesa conferenza stampa oggi pomeriggio.
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Di cosa parliamo oggi
– cosa sono i buchi neri
– vedere i buchi neri (ma esistono davvero?)
– forse LIGO ha rilevato le onde gravitazionali

Cosa sono i buchi neri
Come abbiamo detto l’altra volta, secondo la Relatività l’universo “poggia” – per così dire – su una struttura intangibile chiamata spaziotempo che possiamo immaginare come un lenzuolo steso. La presenza di un corpo, come ad esempio un pianeta, una stella, una galassia o un comodino deforma il lenzuolo creando delle conche. Quando gli oggetti finiscono vicino a queste conche, ci cadono dentro come in questa animazione (si ingrandisce cliccando).

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La gravità quindi non è considerata una forza vera e propria, ma l’effetto di una deformazione geometrica dell’universo. È una descrizione strana, ma incredibilmente efficace e in accordo con gli esperimenti.
Abbiamo anche detto che pure i raggi di luce, che si spostano seguendo la griglia dello spaziotempo, cadono in queste conche e il loro percorso viene deviato dalla curvatura.
Più un corpo ha massa, più la sua conca è profonda, più facilmente devia le traiettorie degli altri corpi e della luce. Quindi la conca fatta dal Sole è più profonda di quella fatta dalla Terra, che è più profonda di quella fatta da una mongolfiera, che è più profonda di quella fatta da una pulce.
Per chi si è perso e per chi non c’era, rimando alla scorsa newsletter.

La velocità di fuga e il raggio di Schwarzschild
Per non cadere in una conca, un oggetto deve superare la cosiddetta velocità di fuga. La velocità di fuga è insomma la velocità necessaria per sfuggire alla gravità di un pianeta o di una stella, senza caderci addosso. Ad esempio sulla superficie della Terra la velocità di fuga è pari a 40’320 Km orari. Più ci si allontana dalla Terra però, meno si sente la gravità e la velocità di fuga diminuisce: a 9 mila chilometri dalla superficie, la velocità di fuga è 25’560 km orari. Quando mandiamo un oggetto nello spazio utilizziamo dei razzi che accelerano fino alla velocità di fuga e che possono poi viaggiare senza propulsione.
Anche la luce, per riuscire a sfuggire a una conca gravitazionale, deve superare la velocità di fuga. Tuttavia di solito non è un problema: la velocità della luce nel vuoto è enorme: circa 300’000 Km al secondo. E infatti riusciamo a mandare segnali luminosi nello spazio senza preoccupazioni.
Esiste però una distanza dai pianeti o dalle stelle, chiamata raggio di Schwarzschild, entro la quale anche la luce rimane intrappolata (la parola “raggio” va intesa in senso geometrico, come il raggio di un cerchio o di una bicicletta). Quale sarebbe questa distanza nel caso della Terra? Per la Terra – la cui massa è quasi 6 milioni di miliardi di miliardi di Kg – il raggio di Schwarzschild è poco più di 8 millimetri, per la precisione 8,869 millimetri. Cosa significa? Significa che se tutta la massa della Terra fosse compressa in una pallina con un raggio, supponiamo, di 8 millimetri, una volta arrivata a una distanza inferiore o uguale a 0,869 millimetri dalla superficie della Terra, anche la luce non potrebbe più sfuggire. E poiché nessun corpo può andare più veloce della luce, nulla può uscire dal raggio di Schwarzschild.
Fortunatamente non è così: la Terra non è condensata in una pallina piccolissima e il raggio di Schwarzschild, nel nostro caso, non c’è. Questo ci permette di mandare segnali elettromagnetici nello spazio senza problemi.
Cosa accade però quando una grande quantità di massa, per qualche motivo, si compatta in una pallina piccolissima?

I buchi neri non sono buchi
Quando una grande massa si compatta in un volume piccolo lo spaziotempo si deforma molto, ossia la conca si fa sempre più profonda, come in questa immagine.

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Perciò, a parità di distanza dalla pallina, la curvatura dello spaziotempo, ossia la gravità, diventa sempre più forte e la velocità di fuga necessaria per sfuggire dalla buca è sempre più alta.
Se la pallina in cui è compattata la materia è estremamente piccola allora ha senso parlare del raggio di Schwarzschild – la distanza entro la quale nemmeno la luce può sfuggire. Alla distanza prevista dal raggio di Schwarzschild si crea una superficie sferica chiamata orizzonte degli eventi, qui rappresentata da quel semicerchio nero.

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Tutti gli eventi che accadono dentro l’orizzonte degli eventi, ossia entro il raggio di Schwarzschild, non possono essere osservati da fuori. Questo accade perché nemmeno la luce può uscire: da quel punto in poi un osservatore esterno vede solo una sfera nera e nulla più. Questo è il buco nero.
Come avete capito, però, non è propriamente un buco, ma una parte di universo da cui nulla può uscire e che non possiamo osservare.

Come vedere i buchi neri, se esistono
I buchi neri quindi non si possono vedere per un motivo molto semplice: sono neri. Quando osserviamo il cielo riusciamo a vedere tutti gli oggetti che emettono onde elettromagnetiche: luce visibile, ad esempio, ma anche raggi infrarossi, ultravioletti, segnali radio e così via. Tutti questi segnali viaggiano alla velocità della luce, raggiungono la Terra e possono essere captati dall’occhio umano o da delle antenne. I buchi neri, però, “mangiano” tutto, anche questi segnali, e non ne emettono. Come facciamo allora a sapere che esistono? E come possiamo vederli? (Bonus: in realtà crediamo che i buchi neri possano emettere qualcosa – la radiazione di Hawking – ma ne parleremo un’altra volta)

Cercare cosa manca
Dato che non possiamo vederli direttamente, un metodo per cercare i buchi neri è puntare un telescopio dove si crede che ci possa essere un buco nero e vedere se manca qualcosa. Secondo le teorie moderne, al centro di ogni galassia si trova un buco nero supermassiccio. Negli anni novanta è stato quindi puntato un telescopio al centro della nostra Galassia, la Via Lattea. Dopo anni di osservazione, ecco cosa è stato visto (si ingrandisce cliccando).

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La stella segnata dal tracciato giallo si chiama S2 e sta girando intorno a qualcosa che non si vede. Per dare un’idea di quanto veloce stia andando, il righello in alto a destra (10 giorni luce) equivale a 259 miliardi di chilometri. Cosa c’è lì al centro? Dai calcoli dell’orbita si è stimato che l’oggetto misterioso attorno al quale S2 sta girando ha una massa pari a 3,7 milioni di Soli. Secondo le teorie moderne un oggetto così grande che non emette radiazione può essere solo un buco nero.
Gli astronomi hanno trovato evidenze simili anche al centro di altre galassie, sempre studiando il moto del materiale che orbita attorno al loro centro.

Cercare cosa scompare
Certo i buchi neri non si trovano solo al centro delle galassie: nulla vieta che ce ne siano altri da altre parti. Per trovarne bisogna essere molto fortunati – osservando per caso fenomeni spiegabili soltanto dalla presenza di un buco nero – oppure usare un po’ di astuzia e osservare le supergiganti rosse.
Una supergigante rossa è una stella che ha quasi completato il suo processo di fusione ed è “in fine vita”. Una volta terminati i processi di fusione può esplodere e diventare una supernova oppure può formare un buco nero. Gli astronomi da tempo osservano con attenzione decine di supergiganti rosse. L’idea è semplice: se improvvisamente scompaiono, potrebbe essersi formato un buco nero.
È quello che è accaduto a un paio di stelle l’anno scorso. Un attimo prima c’erano, un attimo dopo non c’erano più. Non è detto che siano diventate dei buchi neri, però. Le stelle potrebbero avere una luminosità molto variabile o potrebbero essere finite dietro un ammasso di polveri e detriti. Non possiamo fare altro che continuare ad osservarle e pazientare.

LIGO ha rilevato le onde gravitazionali, si dice
LIGO è un importante esperimento pensato per rilevare le onde gravitazionali. È formato da due rilevatori – uno in Lousiana e uno nello stato di Washington – che funzionano come delle antenne.

LIGO

Advanced LIGO, in Washington (Credit: MIT/CalTech LIGO)

Nella prossima newsletter parleremo delle onde gravitazionali. Per ora ci accontentiamo di sapere che sono delle increspature nello spaziotempo predette da Einstein ormai cento anni fa, che quasi tutta la comunità scientifica crede nella loro esistenza e che sono molto sfuggenti. Chi vuole saperne un po’ di più può guardare questo video su youtube, attivando i sottotitoli in italiano.
Da tempo si mormora che LIGO abbia captato qualcosa di interessante, ma le voci si sono fatte più forti da quando lo staff di LIGO (composto da circa mille collaboratori sparsi in tutto il mondo) ha invitato tutta la comunità scientifica a una conferenza stampa per “fornire aggiornamenti sulla ricerca delle onde gravitazionali”.
Se LIGO avesse trovato le onde gravitazionali sarebbe una notizia epocale anche se, ricordo, i dati dovranno passare il vaglio della comunità scientifica per una conferma definitiva. Ciò che renderebbe comunque molto promettente la possibile scoperta è che i dati di LIGO sono analizzati da molti gruppi di ricerca che partecipano alla collaborazione scientifica. L’appuntamento per la conferenza stampa è oggi 11 Febbraio alle 16:30. Uno streaming sarà disponibile su youtube. Seguite la pagina facebook per aggiornamenti. Se riesco faccio un livetweet su twitter.

Per approfondire
– La prima evidenza scientifica della relatività generale
– Cosa sono i micro buchi neri
– E interstellar? Un bel video di Rai Scuola

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