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I buchi neri, LIGO e le onde gravitazionali

La settimana scorsa abbiamo parlato della Relatività e siamo pronti a capire cosa sono i buchi neri. Qui trovate le scorse newsletter, qui la pagina facebook e qui l’account twitter di Space break.
Oggi però è anche un giorno importante per la fisica. Forse sono state rilevate per la prima volta le onde gravitazionali e c’è un’attesa conferenza stampa oggi pomeriggio.
Se vi piace questa newsletter potete farla conoscere a un amico inoltrando la mail o suggerendogli di iscriversi.

Di cosa parliamo oggi
– cosa sono i buchi neri
– vedere i buchi neri (ma esistono davvero?)
– forse LIGO ha rilevato le onde gravitazionali

Cosa sono i buchi neri
Come abbiamo detto l’altra volta, secondo la Relatività l’universo “poggia” – per così dire – su una struttura intangibile chiamata spaziotempo che possiamo immaginare come un lenzuolo steso. La presenza di un corpo, come ad esempio un pianeta, una stella, una galassia o un comodino deforma il lenzuolo creando delle conche. Quando gli oggetti finiscono vicino a queste conche, ci cadono dentro come in questa animazione (si ingrandisce cliccando).

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La gravità quindi non è considerata una forza vera e propria, ma l’effetto di una deformazione geometrica dell’universo. È una descrizione strana, ma incredibilmente efficace e in accordo con gli esperimenti.
Abbiamo anche detto che pure i raggi di luce, che si spostano seguendo la griglia dello spaziotempo, cadono in queste conche e il loro percorso viene deviato dalla curvatura.
Più un corpo ha massa, più la sua conca è profonda, più facilmente devia le traiettorie degli altri corpi e della luce. Quindi la conca fatta dal Sole è più profonda di quella fatta dalla Terra, che è più profonda di quella fatta da una mongolfiera, che è più profonda di quella fatta da una pulce.
Per chi si è perso e per chi non c’era, rimando alla scorsa newsletter.

La velocità di fuga e il raggio di Schwarzschild
Per non cadere in una conca, un oggetto deve superare la cosiddetta velocità di fuga. La velocità di fuga è insomma la velocità necessaria per sfuggire alla gravità di un pianeta o di una stella, senza caderci addosso. Ad esempio sulla superficie della Terra la velocità di fuga è pari a 40’320 Km orari. Più ci si allontana dalla Terra però, meno si sente la gravità e la velocità di fuga diminuisce: a 9 mila chilometri dalla superficie, la velocità di fuga è 25’560 km orari. Quando mandiamo un oggetto nello spazio utilizziamo dei razzi che accelerano fino alla velocità di fuga e che possono poi viaggiare senza propulsione.
Anche la luce, per riuscire a sfuggire a una conca gravitazionale, deve superare la velocità di fuga. Tuttavia di solito non è un problema: la velocità della luce nel vuoto è enorme: circa 300’000 Km al secondo. E infatti riusciamo a mandare segnali luminosi nello spazio senza preoccupazioni.
Esiste però una distanza dai pianeti o dalle stelle, chiamata raggio di Schwarzschild, entro la quale anche la luce rimane intrappolata (la parola “raggio” va intesa in senso geometrico, come il raggio di un cerchio o di una bicicletta). Quale sarebbe questa distanza nel caso della Terra? Per la Terra – la cui massa è quasi 6 milioni di miliardi di miliardi di Kg – il raggio di Schwarzschild è poco più di 8 millimetri, per la precisione 8,869 millimetri. Cosa significa? Significa che se tutta la massa della Terra fosse compressa in una pallina con un raggio, supponiamo, di 8 millimetri, una volta arrivata a una distanza inferiore o uguale a 0,869 millimetri dalla superficie della Terra, anche la luce non potrebbe più sfuggire. E poiché nessun corpo può andare più veloce della luce, nulla può uscire dal raggio di Schwarzschild.
Fortunatamente non è così: la Terra non è condensata in una pallina piccolissima e il raggio di Schwarzschild, nel nostro caso, non c’è. Questo ci permette di mandare segnali elettromagnetici nello spazio senza problemi.
Cosa accade però quando una grande quantità di massa, per qualche motivo, si compatta in una pallina piccolissima?

I buchi neri non sono buchi
Quando una grande massa si compatta in un volume piccolo lo spaziotempo si deforma molto, ossia la conca si fa sempre più profonda, come in questa immagine.

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Perciò, a parità di distanza dalla pallina, la curvatura dello spaziotempo, ossia la gravità, diventa sempre più forte e la velocità di fuga necessaria per sfuggire dalla buca è sempre più alta.
Se la pallina in cui è compattata la materia è estremamente piccola allora ha senso parlare del raggio di Schwarzschild – la distanza entro la quale nemmeno la luce può sfuggire. Alla distanza prevista dal raggio di Schwarzschild si crea una superficie sferica chiamata orizzonte degli eventi, qui rappresentata da quel semicerchio nero.

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Tutti gli eventi che accadono dentro l’orizzonte degli eventi, ossia entro il raggio di Schwarzschild, non possono essere osservati da fuori. Questo accade perché nemmeno la luce può uscire: da quel punto in poi un osservatore esterno vede solo una sfera nera e nulla più. Questo è il buco nero.
Come avete capito, però, non è propriamente un buco, ma una parte di universo da cui nulla può uscire e che non possiamo osservare.

Come vedere i buchi neri, se esistono
I buchi neri quindi non si possono vedere per un motivo molto semplice: sono neri. Quando osserviamo il cielo riusciamo a vedere tutti gli oggetti che emettono onde elettromagnetiche: luce visibile, ad esempio, ma anche raggi infrarossi, ultravioletti, segnali radio e così via. Tutti questi segnali viaggiano alla velocità della luce, raggiungono la Terra e possono essere captati dall’occhio umano o da delle antenne. I buchi neri, però, “mangiano” tutto, anche questi segnali, e non ne emettono. Come facciamo allora a sapere che esistono? E come possiamo vederli? (Bonus: in realtà crediamo che i buchi neri possano emettere qualcosa – la radiazione di Hawking – ma ne parleremo un’altra volta)

Cercare cosa manca
Dato che non possiamo vederli direttamente, un metodo per cercare i buchi neri è puntare un telescopio dove si crede che ci possa essere un buco nero e vedere se manca qualcosa. Secondo le teorie moderne, al centro di ogni galassia si trova un buco nero supermassiccio. Negli anni novanta è stato quindi puntato un telescopio al centro della nostra Galassia, la Via Lattea. Dopo anni di osservazione, ecco cosa è stato visto (si ingrandisce cliccando).

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La stella segnata dal tracciato giallo si chiama S2 e sta girando intorno a qualcosa che non si vede. Per dare un’idea di quanto veloce stia andando, il righello in alto a destra (10 giorni luce) equivale a 259 miliardi di chilometri. Cosa c’è lì al centro? Dai calcoli dell’orbita si è stimato che l’oggetto misterioso attorno al quale S2 sta girando ha una massa pari a 3,7 milioni di Soli. Secondo le teorie moderne un oggetto così grande che non emette radiazione può essere solo un buco nero.
Gli astronomi hanno trovato evidenze simili anche al centro di altre galassie, sempre studiando il moto del materiale che orbita attorno al loro centro.

Cercare cosa scompare
Certo i buchi neri non si trovano solo al centro delle galassie: nulla vieta che ce ne siano altri da altre parti. Per trovarne bisogna essere molto fortunati – osservando per caso fenomeni spiegabili soltanto dalla presenza di un buco nero – oppure usare un po’ di astuzia e osservare le supergiganti rosse.
Una supergigante rossa è una stella che ha quasi completato il suo processo di fusione ed è “in fine vita”. Una volta terminati i processi di fusione può esplodere e diventare una supernova oppure può formare un buco nero. Gli astronomi da tempo osservano con attenzione decine di supergiganti rosse. L’idea è semplice: se improvvisamente scompaiono, potrebbe essersi formato un buco nero.
È quello che è accaduto a un paio di stelle l’anno scorso. Un attimo prima c’erano, un attimo dopo non c’erano più. Non è detto che siano diventate dei buchi neri, però. Le stelle potrebbero avere una luminosità molto variabile o potrebbero essere finite dietro un ammasso di polveri e detriti. Non possiamo fare altro che continuare ad osservarle e pazientare.

LIGO ha rilevato le onde gravitazionali, si dice
LIGO è un importante esperimento pensato per rilevare le onde gravitazionali. È formato da due rilevatori – uno in Lousiana e uno nello stato di Washington – che funzionano come delle antenne.

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Advanced LIGO, in Washington (Credit: MIT/CalTech LIGO)

Nella prossima newsletter parleremo delle onde gravitazionali. Per ora ci accontentiamo di sapere che sono delle increspature nello spaziotempo predette da Einstein ormai cento anni fa, che quasi tutta la comunità scientifica crede nella loro esistenza e che sono molto sfuggenti. Chi vuole saperne un po’ di più può guardare questo video su youtube, attivando i sottotitoli in italiano.
Da tempo si mormora che LIGO abbia captato qualcosa di interessante, ma le voci si sono fatte più forti da quando lo staff di LIGO (composto da circa mille collaboratori sparsi in tutto il mondo) ha invitato tutta la comunità scientifica a una conferenza stampa per “fornire aggiornamenti sulla ricerca delle onde gravitazionali”.
Se LIGO avesse trovato le onde gravitazionali sarebbe una notizia epocale anche se, ricordo, i dati dovranno passare il vaglio della comunità scientifica per una conferma definitiva. Ciò che renderebbe comunque molto promettente la possibile scoperta è che i dati di LIGO sono analizzati da molti gruppi di ricerca che partecipano alla collaborazione scientifica. L’appuntamento per la conferenza stampa è oggi 11 Febbraio alle 16:30. Uno streaming sarà disponibile su youtube. Seguite la pagina facebook per aggiornamenti. Se riesco faccio un livetweet su twitter.

Per approfondire
– La prima evidenza scientifica della relatività generale
– Cosa sono i micro buchi neri
– E interstellar? Un bel video di Rai Scuola

La Relatività Generale e le missioni su Marte, un giorno

Come promesso oggi parliamo della Relatività Generale, la parte della Teoria di Einstein che considera anche la gravità. La scorsa mail è stata corposa, oggi ci andiamo piano.
Se avete curiosità potete scrivermi a spacebreak [at] francescobussola.it

Di cosa parliamo
– la Teoria della Relatività Generale
– pillole della settimana

La Teoria della Relatività Generale
Come abbiamo visto la volta scorsa la Relatività Speciale è basata su poche buone idee:
1 – Le leggi fisiche sono le stesse per osservatori con velocità diverse;
2 – La velocità della luce nel vuoto è una costante, ed è uguale per ogni osservatore;
3 – Lo spazio e il tempo non sono più concetti distinti, ma sono fusi in un unico concetto chiamato spaziotempo;
4 – Non valgono più le leggi inventate da Galileo. Al loro posto ci sono delle nuove leggi, chiamate trasformazioni di Lorentz che “mescolano” lo spazio e il tempo.
Le conseguenze di queste idee sono interessanti e inaspettate:
– La misura delle distanze è relativa, ossia cambia in base alla velocità dell’osservatore;
– Anche la misura degli intervalli di tempo è relativa.
Questi due fenomeni, chiamati contrazione delle lunghezze e dilatazione del tempo, accadono veramente e sono stati ampiamente verificati dagli esperimenti.
Inoltre ci sono altre conseguenze, come ad esempio la famosa legge E=mc2 o il fatto che nessun corpo può raggiungere e superare la velocità della luce.
Per chi si è perso e per chi non c’era, qui c’è la newsletter della settimana scorsa.

Manca la gravità
Nella Relatività Speciale manca però un ingrediente, la gravità. Tutta la Teoria è infatti valida quando gli effetti della gravità sono trascurabili o non presenti: è quindi un modello, una semplificazione utile in alcuni casi, ma che non dice nulla a proposito della forza di gravità, che solitamente è descritta da Newton. Ma sappiamo anche che Newton non funziona. Che si fa? Non potremmo accontentarci di avere un modello che in qualche modo funziona, magari correggendo un po’ la teoria di Newton giusto per far tornare i conti? Perché bisogna per forza includere la gravità nella Relatività?  Essenzialmente per completezza. Ai fisici piace cercare delle leggi semplici che descrivano la più vasta gamma di fenomeni naturali. Una teoria sul movimento dei corpi, come è la Relatività, che non descrive la gravità – il fenomeno fisico che conosciamo da più tempo – è in un certo senso “zoppa”.
Comunque sia, in una delle prossime mail vi parlerò del paradosso dei gemelli e sarà evidente che in effetti nella Relatività Speciale si nota che manca qualcosa.

Come introdurre la gravità
Abbiamo detto tempo fa che la forza di gravità, per Newton, dipendeva dalla distanza tra i corpi in gioco. Siccome però per Einstein la misura della distanza è un concetto relativo, quella legge non va più bene. Come si può introdurre perciò la gravità nella Relatività?
Per farlo dobbiamo ricordarci di come Einstein descrive lo spazio e il tempo: non sono entità separate, ma sono unite in un unico concetto chiamato spaziotempo. Lo spaziotempo è in sostanza una specie di struttura su cui poggiamo e senza di essa non ci sarebbe l’universo.
La faccio semplice. Provate a immaginare un universo completamente vuoto, senza galassie, stelle, pianeti, polveri. Ecco, quello sarebbe lo spaziotempo descritto dalla Relatività Speciale. Dal punto di vista geometrico possiamo pensarlo come un lenzuolo steso orizzontalmente. Ogni punto del lenzuolo indica un evento, ossia un punto dello spazio ad un certo istante di tempo. In ogni punto però non accade niente e, come detto, non c’è niente. Questo è il motivo per cui non c’è gravità.
Cosa accade però quando appoggiamo una palla sul lenzuolo? Il lenzuolo ovviamente fa una conca dove viene messa la palla, no? Ecco, questo è l’effetto della presenza di un pianeta (o di una stella, o di un qualsiasi corpo) sullo spaziotempo: la struttura su cui “poggia” il corpo si deforma. Lo spaziotempo quindi non è più piatto, come poco prima, ma è curvo. Ovviamente ogni pallina che appoggiate sul lenzuolo – sia essa una stella, un pianeta, un asteroide, un uomo, un gatto o un temperamatite – curverà lo spaziotempo. Più l’oggetto è grande (o meglio, più la sua massa è grande), più la conca sarà profonda. Se poi l’oggetto si muove, la conca si sposterà insieme ad esso.
Per capire cosa c’entra questo con la gravità basta immaginare cosa accade a una pallina quando finisce nella conca di un’altra pallina, come nella seguente animazione.


Come vedete quando una pallina finisce nella conca di una pallina molto più pesante, ci cade dentro. Vedete il movimento che fa? Sembra quello di un asteroide che cade su un pianeta. La curvatura dello spaziotempo dunque è il modo con cui viene descritta la gravità nella Teoria della Relatività.

Perché non la vediamo?
Non vediamo la curvatura per il fatto che lo spaziotempo non è una struttura tangibile. Il nostro punto di vista è molto simile a quello della telecamera in verticale nell’animazione: a noi lo spaziotempo appare “piatto”. Ci accorgiamo però degli effetti causati della curvatura.

Quali sono gli effetti della curvatura?
Beh, innanzitutto vediamo i corpi che si attirano: i pianeti orbitano attorno al Sole, gli oggetti cadono verso la Terra e così via. Insomma, percepiamo la gravità. Ma ci sono altri effetti. Se lo spaziotempo si piega, pensateci, significa che lo spazio e il tempo vengono deformati e le loro misure cambiano. Non stiamo parlando della dilatazione del tempo e della contrazione delle lunghezze viste l’altra volta. Parliamo di ulteriori effetti aggiuntivi dovuti alla gravità ed esistono delle formule per descriverli. L’esperimento di Hafele e Keating di cui abbiamo parlato dimostrò anche questi effetti aggiuntivi.
Se siete scettici fate bene – lo scetticismo in mancanza di prove è una buona abitudine – e soprattutto siete in buona compagnia. Negli anni ’70 il Dipartimento di Difesa statunitense cominciò a costruire il sistema GPS, il famoso sistema di localizzazione basato sui satelliti. Per funzionare correttamente i satelliti dovevano essere sincronizzati, altrimenti avrebbero segnalato in maniera sfasata le posizioni. All’epoca i fisici spiegarono ai militari che per sincronizzare i satelliti bisognava tenere conto delle correzioni agli orologi previste sia dalla Relatività Speciale che da quella Generale. I militari non ci credevano. Indovinate chi aveva ragione.

C’è altro?
Sì, una cosa importantissima e difficile da credere. Abbiamo visto che le palline quando cadono in una buca ci finiscono dentro girando intorno al centro. E che questo è come la Relatività descrive la gravità. Ma c’è una cosa in più: anche ai raggi di luce accade a stessa cosa: I raggi di luce infatti si propagano seguendo la griglia dello spaziotempo. Quando questa si deforma, però, si modifica anche il loro percorso. Perciò quando un raggio di luce passa vicino a un pianeta, a una stella o a una galassia, modifica la sua traiettoria, più o meno come in questa immagine.

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Questo fenomeno si chiama lente gravitazionale. Vi spiego l’immagine. La stella, quella in alto a destra, si trova nascosta dietro il Sole e sarebbe impossibile vederla dalla Terra. La sua luce però finisce nella conca gravitazionale del Sole, perciò il raggio luminoso curva la propria traiettoria e raggiunge comunque la Terra (linea gialla). Noi quindi riusciamo a vedere la stella, ma la vediamo come se fosse più a sinistra (linea rossa). Insomma, grazie a questo effetto possiamo vedere dei corpi celesti nascosti dietro qualche ostacolo.
Volete una prova? Questa foto è la famosa croce di Einstein, un corpo celeste nella costellazione di Pegaso. Quella al centro è una Galassia e le luci accanto sono quattro immagini apparenti di un unico Quasar che si trova dietro la Galassia. La luce emessa dal quasar passa in fianco alla Galassia, curva la sua traiettoria e ci raggiunge comunque. Einstein postulò l’esistenza di tali oggetti nel 1915, sessantacinque anni prima della loro scoperta.

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Pillole
Alcune notizie di questi giorni, brevi.

I funghi sulla ISS
Sulla Stazione Spaziale Internazionale sono stati coltivate per 18 mesi delle cellule di alcuni funghi particolari che solitamente crescono in Antartide e che sono considerati buoni candidati per “colonizzare” l’ambiente marziano. Li vedete nell’immagine sotto, dove c’è la freccia. Più del 60% delle cellule dei funghi sono sopravvissute, mantenendo stabile il proprio DNA dando prova che la vita può sopravvivere anche in situazioni estreme. Qui gli approfondimenti.

L’esperimento Expose-A (Credit: NASA ESA, ISS)

La navicella Orion
L’Orion MPCV è un veicolo spaziale con equipaggio attualmente in fase di sviluppo da parte della NASA che sarà impiegato nell’esplorazione umana degli asteroidi in vista di un futuro sbarco su Marte. Nonostante i tagli ai finanziamenti il progetto continua. In questi giorni Orion è stato trasportato al Kennedy Space Center a Cape Canaveral con il fighissimo aereo Super Guppy per l’assemblaggio finale. Il prossimo lancio test senza equipaggio è previsto nel 2018.

L’aereo Super Guppy, pronto a trasportare Orion (Credit: NASA)

Il Lussemburgo spara (molto) alto
Il governo del Lussemburgo ha annunciato un ambizioso progetto per diventare “il centro europeo nell’esplorazione e nell’utilizzo delle risorse spaziali”. L’obiettivo è quello di sviluppare le tecnologie e stabilire un quadro normativo per poter estrarre minerali dagli asteroidi. Chissà.

Una passeggiata spaziale
Ieri gli astronauti Russi Malenchenko e Volkov hanno fatto una passeggiata spaziale per attività di manutenzione della ISS. Durante la passeggiata hanno recuperato l’esperimento europeo Expose-R2, un laboratorio di campioni biologici simile a quello utilizzato per i funghi di cui abbiamo parlato. Ecco Volkov al lavoro.

L’astronauta Volkov durante la passeggiata spaziale (Credit: NASA, ISS)

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Per approfondire
– Il fenomeno della lente gravitazionale rivisto a Dicembre dello scorso anno
– La storia delle lenti gravitazionali (inglese)
– La Relatività Generale, in inglese, coi disegnini (video)
– Gli ultimi appunti di Einstein, scritti poco prima di morire
– Cosa sono le onde gravitazionali (fumetto e video in inglese)

Le Relatività Speciale, l’allineamento dei pianeti e Blue Origin

Oggi cominciamo ad affrontare un argomento complesso: la Teoria della Relatività di Einstein. Questa Teoria è divisa in due parti: la Relatività Speciale, che si occupa del moto dei corpi senza considerare la gravità, e la Relatività Generale, che generalizza – appunto – gli stessi concetti in presenza della gravità. In questa mail parliamo della Teoria della Relatività Speciale. nella prossima di quella Generale. Non sarò esaustivo, è impossibile. Una tale teoria richiede mesi di studio per comprenderne le basi e anni di pratica per saperla maneggiare con consapevolezza. È inoltre una teoria molto “matematica”, nel senso che si basa su una branca della matematica – la geometria differenziale – piuttosto tecnica.
Cercheremo di capirne i concetti base, senza strafare e lo faremo seguendo un ordine narrativo, più che logico. Anche perché Space break è questo: una chiacchierata al bar.
In futuro ci sarà tempo di approfondirne alcuni aspetti. Attendo le vostre richieste in merito.

Di cosa parliamo
– perché è nata Teoria della Relatività
– la Teoria della Relatività Speciale
– conseguenze della Teoria
– pillole della settimana

La Teoria della Relatività
La Teoria della Relatività è una delle teorie scientifiche più di successo. È il prototipo di quella che i fisici chiamano una “teoria elegante” perché, partendo da pochi assunti e utilizzando un linguaggio matematico chiaro e completo, riesce a predire moltissimi fenomeni fisici, altrimenti inspiegabili, con una precisione imbarazzante: le predizioni si scostano dai valori sperimentali di una parte su un miliardo. Inoltre tutti i risultati nascono in maniera diretta dai teoremi matematici della teoria. Insomma, spacca.
Ovviamente la Teoria vale nel suo ambito: più si studia la natura nel piccolo, più fallisce. Ma su larga scala – ossia per mandare satelliti in orbita, studiare corpi anche a grande velocità, comprendere i fenomeni cosmologici – non c’è partita.
I fenomeni non spiegati dalla Relatività sono generalmente spiegati da un’altra teoria – la Meccanica quantistica. Ne parleremo.

Perché è nata
Fino alla seconda metà dell’Ottocento la comunità fisica concordava che le leggi di Galileo – che spiegavano la cinematica dei corpi – e quelle di Newton – che spiegavano lameccanica dei corpi e la gravitazione – fossero compiute. D’altronde non c’era ragione di dubitare: avevano dato prova di grande precisione e le discrepanze riscontrate con gli esperimenti erano spesso attribuite a limiti tecnologici, a una superficiale comprensione dei fenomeni naturali o a una applicazione errata delle leggi conosciute. Ma le leggi stesse non erano in discussione.
Nel 1864 Maxwell, come abbiamo già accennato, unificò l’elettricità e il magnetismo sotto un’unica teoria, chiamata elettromagnetismo. I fenomeni elettromagnetici erano spiegati da quattro eleganti formule che concordavano perfettamente con gli esperimenti. Un unico, grosso problema: le leggi di Maxwell non erano covarianti rispetto alle leggi di Galileo. Cosa significa? I fisici ritengono che i fenomeni naturali funzionino tramite le stesse leggi anche se misurati da osservatori che si muovono con velocità diverse (purché costanti). È una richiesta di buon senso che Galileo formalizzò nel cosiddetto principio di relatività: se io viaggio su un treno mentre tu sei a terra, dobbiamo poter leggere il mondo con le stesse leggi fisiche. Conti alla mano, le leggi di Maxwell non rispettavano questo principio: cambiando sistema di riferimento, ossia cambiando lo stato di moto dell’osservatore, le leggi cambiavano forma. Non bene.
Un altro problema era legato alla velocità della luce, un fenomeno non a caso elettromagnetico. Semplificando molto (troppo. Per un breve approfondimento, clicca qui): i fisici si aspettavano che la velocità della luce cambiasse in base all’osservatore. Si aspettavano cioè che, accelerando abbastanza, si sarebbe potuto superare un raggio di luce così come si supera un treno. L’esperimento di Michelson e Morley del 1887 cominciò a smontare questa convinzione: il treno rispettava le leggi di Galileo, la luce no.
Le opzioni a quel punto erano due: riformulare le leggi di Maxwell oppure mettere in discussione la meccanica di Newton e la dinamica di Galileo, ossia tutta la fisica conosciuta fino ad allora. Einstein, con grande intuito, scelse la seconda strada.

L’idea alla base della Teoria della Relatività
Nella fisica Newtoniana/Galileiana esistono due concetti separati, lo spazio e il tempo: le distanze tra due punti vengono misurate con un righello, mentre il tempo si misura a parte con un cronometro. È quello che facciamo tutti. Inoltre per Newton – e per tutti noi nella nostra esperienza quotidiana – il tempo è un ritmo universale, come se da qualche parte ci fosse un Buddha con un immenso gong a scandire la vita di ciascuno.
Einstein pensò di ribaltare questo paradigma: perché dobbiamo dare al tempo un ruolo privilegiato e assoluto? L’idea di Einstein fu di considerare il tempo come una coordinata come le altre. Così, mentre per noi un punto è dato da tre coordinate (x,y,z), come nel disegno qui sotto,


per Einstein un punto è dato da quattro coordinate (t,x,y,z), ossia le tre di prima più “t”, il tempo. Quindi per Einstein dire “un punto” equivale a dire “un evento”, cioè quello che accade nelle coordinate spaziali x,y,z al tempo t. Quando si misura la distanza tra due eventi – due punti, – bisogna tenere conto di tutte e quattro le coordinate assieme. Non si può parlare di distanze spaziali e temporali come se fossero cose indipendenti. Il tempo e lo spazio si fondono perciò in un unico concetto: l’universo ha quattro dimensioni e si chiama spaziotempo.

Ok, ma in pratica cosa cambia?
Nello spaziotempo di Einstein le leggi di Galileo non funzionano più. In particolare non funzionano le trasformazioni di Galileo, quelle che facevano sballare le equazioni di Maxwell. Le stesse leggi che inizialmente avevano fatto credere ai fisici di poter “superare” la luce semplicemente andando abbastanza veloce. Al loro posto ci sono delle nuove leggi, dette trasformazioni di Lorentz, che mescolano il tempo con lo spazio e rendono il tempo relativo.

Cosa significa che il tempo non è più assoluto ma relativo?
Significa questo: niente più Buddha, niente più gong. Mentre con Galileo tutti misurano il tempo allo stesso modo, con Einstein due osservatori diversi possono scandire il tempo con ritmi diversi. È un’idea controintuitiva, lo so. Siamo abituati a pensare che “un secondo”, “un minuto” siano unità di misura uguali per tutti, ma non è così. Lo vediamo tra poco.
Fatto sta che le nuove trasformazioni di Lorentz sono esattamente quelle che servono pernon sballare le leggi di Maxwell. Inoltre dicono che – guarda un po’ – anche accelerando tantissimo non si può superare la velocità della luce. Insomma, tutto torna.
A questo quadro Einstein aggiunge un postulato: la velocità della luce nel vuoto è una costante indipendentemente dalla velocità di chi la misura.

Riassumendo quanto detto
1 – Le leggi fisiche sono le stesse per osservatori con diversi stati di moto (ossia con diverse velocità)
2 – La velocità della luce nel vuoto è una costante, ed è uguale per ogni osservatore
3 – Lo spazio e il tempo non sono più concetti distinti: esiste un unico concetto chiamato spaziotempo.
4 – Per cambiare osservatore bisogna modificare le leggi fisiche usando le trasformazioni di Lorentz, anziché quelle di Galileo. Con queste leggi tempo e spazio possono si “mescolano”. La misura del tempo (ma anche della distanza) diventa relativa.
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Conseguenze della Relatività Speciale
Vediamo ora cosa significa di preciso che il tempo e lo spazio si “mescolano” quando cambia l’osservatore. Supponiamo che voi siate su un treno che si muove, mentre io sono fermo sul ciglio del binario. Entrambi proviamo a misurare due cose: la lunghezza del treno e il tempo che ci mette il treno a superarmi completamente, da quando la locomotiva mi passa davanti a quando l’ultimo vagone mi sorpassa.
Per Galileo funziona così:
– sia io che voi, provando a misurare la lunghezza del treno, troviamo che è lungo 100 metri.
– sia io che voi, provando a misurare il tempo che ci mette il treno a superarmi completamente, troviamo che ci mette 15 secondi.
Semplice no? Esattamente quello che viviamo noi nel quotidiano. Le lunghezze e le misure degli intervalli di tempo sono uguali per tutti. Eppure è sbagliato. Per Einstein – e anche nella realtà – non funziona così. A me infatti, che sono fermo sul ciglio del binario, sembrerà che il treno sia più corto rispetto a voi, che vi state muovendo insieme al treno. Questo fenomeno si chiama contrazione delle lunghezze.
Se poi si misurasse il tempo che ci mette il treno a superarmi completamente, io misurerò un tempo leggermente più lungo di quanto misurato da voi, come se da me il tempo scorresse più velocemente. Questo fenomeno si chiama dilatazione del tempo.
Come forse avete notato, ho chiamato questi effetti fenomeni e l’ho fatto per un motivo molto semplice: accadono. Certo sembrano assurdi e il motivo è che a velocità molto basse questi effetti sono praticamente impercettibili. Nell’esempio che abbiamo fatto il treno si stava muovendo a 24 Km orari, una velocità bassissima e le differenze sono queste:
– quando voi misurate un treno lungo 100 metri, io misuro un treno lungo 99,999999999999975 metri;
– quando voi misurate un intervallo di tempo di 15 secondi, io misuro un intervallo di 15,0000000000000037 secondi.
Come vedete, a 24 Km orari le differenze sono così piccole che sono impossibili da notare.
Cosa accade però con una velocità molto più alta, diciamo 200 mila Km al secondo? In tal caso
– quando voi misurate un treno lungo 100 metri, io misuro un treno lungo 74,49 metri;
– quando voi misurate un intervallo di tempo di 15 secondi, io misuro un intervallo di 20,14 secondi.
Più aumenta la velocità più le differenze si fanno significative.

Ma sta roba è vera?
Sì. Sono fenomeni ampiamente verificati che vengono utilizzati quotidianamente. I più scettici trovano nelle note la storia del famoso esperimento di Hafele e Keating i quali, nel 1971, confermarono la dilatazione del tempo circumnavigando per due volte la terra portando a bordo dell’aereo quattro orologi atomici al cesio. Gli orologi risultarono poi sfasati rispetto a quelli rimasti fermi al US Naval Observatory di Washington DC e la differenza si dimostrò coerente con quella predetta dalla teoria di Einstein.

Pillole
Alcune notizie di questi giorni, brevi.

L’allineamento dei pianeti
A partire da questi giorni fino a circa metà febbraio potremo vedere in cielo l’allineamento di Mercurio, Venere, Saturno, Marte e Giove a formare quasi una linea retta nel cielo. Per vederli tutti insieme a occhio nudo sarà sufficiente guardare verso sud poco prima dell’alba, meglio se da un posto con poco inquinamento luminoso. Per individuarli basterà cercare la Luna, che in quei giorni sarà più o meno sulla traiettoria tracciata dai pianeti. L’immagine qui sotto è una simulazione di cosa si vedrà in cielo il 2 febbraio, intorno alle 6 e mezza del mattino più o meno alle latitudini di Milano (l’immagine, tratta dal software Stellarium, si ingrandisce con un click).


Blue Origin raddoppia
Blue Origin – il razzo suborbitale di Jeff Bezos, fondatore di Amazon – è stato riutilizzato in un lancio test ed è atterrato ancora una volta in verticale. Va comunque ricordato che Blue Origin, nonostante i successi, è un lanciatore con finalità turistiche e tecnologicamente molto più semplice del Falcon 9 di SpaceX – che ogni tanto esplode.

Feedback
Aspetto come sempre le vostre opinioni a spacebreak [at] francescobussola.it.
Se vi fa piacere potete far conoscere la newsletter ai vostri amici.

Per approfondire
– L’esperimento di Hafele e Keating, in breve
– L’articolo storico di Hafele e Keating per presentare i dati dell’esperimento alla comunità scientifica
– Una puntata di Quark, credo, dedicata alla Teoria della Relatività (dal minuto 8:40, dura 15 minuti)
– Un video di Rai Scuola sulle trasformazioni di Lorentz

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