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Il paradosso EPR

Settimana interessante. Un gruppo di ricerca ha fatto un annuncio piuttosto importante per chi si occupa di superconduttori. Ne parliamo nelle pillole. Oggi proviamo anche a rispondere a un po’ di domande lasciate in sospeso la volta scorsa: per capire di cosa parliamo, fa molto comodo sapere cos’è l’entanglement.
Prima di cominciare però, ecco una nuova puntata di Storie, il podcast in cui intervisto giovani ricercatori in fisica. Stavolta trovate una chiacchierata con Zeno Tornasi, dell’Università di Glasgow. Si occupa di onde gravitazionali, ma in una maniera inaspettata.
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Ah, ho comprato un nuovo microfono, ma ci sto ancora prendendo la mano. Portate pazienza se l’audio non è ancora ottimale. Con il tempo migliorerò.

Ascolta 3. Le onde gravitazionali” su Spreaker.
(Conosci qualche dottorando in fisica che sarebbe bello intervistare? Scrivimi. Nel frattempo clicca play)

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Di cosa parliamo oggi
– riassuntino della puntata precedente
– il paradosso EPR
– correlazione e causalità
– la completezza e le disuguaglianze di Bell
– pillole

Riassuntino
La volta scorsa abbiamo parlato dell’entanglement, un fenomeno fisico di difficile comprensione, per il quale due particelle, quando vengono preparate nello stesso stato quantistico, riescono a influenzarsi istantaneamente a vicenda anche a grandi distanze. Ci siamo lasciati con tante domande: come fanno a interagire istantaneamente a distanza? Possiamo sfruttare questo fenomeno per creare un moderno telegrafo senza fili? E se queste particelle riescono a influenzarsi istantaneamente, significa che si scambiano un segnale a velocità superiori a quella della luce, anche se la Relatività dice che non si può? Abbiamo per caso trovato un controesempio alla teoria di Einstein?
Non sono domande semplici: ne hanno dibattuto per anni i fisici migliori, tra cui Einstein, Podolsky e Rosen. Proprio grazie a loro, questa apparente violazione della teoria della relatività prende il nome di paradosso EPR.

Il paradosso EPR
L’entanglement infatti, ancor prima di essere verificato sperimentalmente, fu pensato concettualmente da Einstein, Podolsky e Rosen: era concettualmente possibile preparare una coppia di particelle nello stesso “stato fisico”, era possibile separarle mettendole in due luoghi distanti, era possibile misurare le proprietà fisiche di una delle due e istantaneamente questa misura avrebbe influenzato le proprietà fisiche dell’altra, ma forse questo comportamento era una violazione di leggi fisiche note.
Vi ricordate i due elettroni di cui abbiamo parlato nella scorsa newsletter? Dicevamo che, provando a misurare lo spin di uno di questi – trovando come risultato spin su – avremmo influenzato lo spin dell’altro, che si sarebbe orientato in giù.

Occhio però
Ora, alcuni di voi potrebbero pensare la seguente cosa, ossia che in realtà i due elettroni avevano già prima della misura o spin su o spin giù e che, al momento della misura, noi non abbiamo fatto altro che scoprire una cosa che ancora non sapevamo. Però non è così: non è corretto e non è vero dire che prima c’era già un elettrone con spin su e uno con spin giù, ma che noi non lo sapevamo. Vi ricordate l’esperimento della doppia fenditura, in cui una particella sembrava comportasi come un’onda del mare, passando per entrambe le fessure? In quel caso non potevamo dire che la particella era passata a sinistra o a destra. L’unico modo per spiegare l’esistenza di una figura di interferenza era di accettare che le particelle, in alcune circostanze, non si comportano come palline, ma come onde.
Ecco, nel caso dell’entanglement accade la stessa cosa, solo che stavolta la grandezza fisica coinvolta non è la posizione degli elettroni, ma il loro spin. Prima di misurarlo gli elettroni non hanno uno spin definito: si trovano in una sovrapposizione di stati quantistici, in un miscuglio di possibili spin, il cui valore è determinato solo da leggi probabilistiche.

Correlazione e causalità
Come vi ho già accennato all’inizio, però, il fatto che il valore dello spin dei due elettroni risulta correlato istantaneamente anche a grandi distanze, sembra violare una delle leggi più importanti della Relatività: nulla può viaggiare più veloce della luce. Come fa il secondo elettrone a sapere istantaneamente che gli scienziati hanno misurato lo spin del primo, adeguando il suo spin di conseguenza? C’è un segnale che passa da un elettrone all’altro? E questo segnale è più veloce della luce?
Per capire cosa succede bisogna imparare a distinguere due concetti simili, ma diversi: la correlazione tra due eventi e il rapporto causa-effetto.
Guardate ad esempio questo grafico. Mostra l’andamento di due serie di dati, dal 1999 al 2009: il numero di dottorati in sociologia negli Stati Uniti e le morti causate dagli anticoagulanti.


Come vedete le due serie di dati sono evidentemente correlate: quando aumentano i dottorati, aumentano le morti e viceversa. Eppure ci rendiamo conto, senza bisogno di discuterne troppo, che tra le morti per anticoagulanti e il numero di dottorati assegnati negli Stati Uniti non c’è alcun rapporto causa-effetto.
Nella vita quotidiana, quando vediamo una correlazione senza un rapporto causa-effetto, diciamo che si tratta di un caso, di una coincidenza.
Ecco, nel caso dell’entanglement siamo di fronte a una correlazione, senza alcun tipo di rapporto causa-effetto. L’unica differenza con la vita quotidiana è che la correlazione tra i due elettroni di cui abbiamo parlato non è avvenuta “per caso”, ma è dovuta a come abbiamo preparato i due elettroni all’inizio dell’esperimento.

Se sentite di non aver capito a fondo la questione, non preoccupatevi. È un argomento molto difficile e io stesso sto facendo molta fatica per trovare le parole giuste, cercando di dire cose corrette senza usare termini troppo tecnici.
Il punto centrale della questione è però questo: possiamo usare l’entanglement per creare un efficientissimo telegrafo senza fili e mandare istantaneamente dei messaggi da una parte all’altra dell’universo, violando le regole della Relatività? No.

Ora vi convinco
Prendete i due elettroni, preparateli affinché siano correlati come abbiamo spiegato nella scorsa newsletter e separateli: uno rimane nei laboratori di Roma, l’altro va a Tokyo. Ora gli scienziati di Roma e di Tokyo si accordando: quelli di Roma misureranno lo spin prima di quelli di Tokyo e proveranno in questo modo a inviare un messaggio a Tokyo.
Gli scienziati di Roma quindi provano a misurare lo spin del primo elettrone. Supponiamo che trovino spin su. Ora gli scienziati di Tokyo misurano lo spin del secondo elettrone: ovviamente trovano spin giù. È il primo pezzo del messaggio.
Ora, per iniziare nuovamente bisogna ricominciare da capo: si preparano due elettroni correlati e li si separano, uno resta a Roma e l’altro va a Tokyo.
Gli scienziati di Roma misurano nuovamente lo spin. Stavolta trovano spin giù. Ora tocca agli scienziati di Tokyo: ovviamente trovano spin su. È il secondo pezzo del messaggio.
Ripetono questa operazione mille volte. Cosa accadrà? Beh, siccome il risultato della misura è probabilistico, gli scienziati di Roma misureranno circa il 50% delle volte spin su e il restante 50% spin giù. Un po’ come tirare una monetina.
Siccome i due elettroni sono correlati tramite l’entanglement, gli scienziati a Tokyo avranno trovato una serie inversa di risultati: ogni volta che a Roma hanno trovato spin su, loro hanno misurato spin giù e viceversa. Comunque sia il risultato è lo stesso: 50-50.
Come vedete, da Roma non hanno alcun modo di codificare un messaggio, di inviare una serie di bit o di creare un alfabeto.
Ma c’è di più. Mettetevi per un attimo nei panni degli scienziati di Tokyo. Come fanno a sapere che quelli di Roma hanno effettivamente misurato ogni volta lo spin prima di loro? E se li avessero imbrogliati? D’altronde loro hanno trovato il 50% delle volte spin giù e il restante spin su, così come sarebbe potuto accadere se fossero stati loro i primi a fare le misure. Come vedete, non c’è modo di distinguere se le misure fatte sono un evento naturale o il risultato di una correlazione.
L’unico modo per verificare che i due elettroni fossero veramente correlati è quello di scambiarsi i foglietti in cui gli scienziati di Roma hanno segnato “su, giù, giù, su, su, su, su, giù, …” e gli scienziati di Tokyo hanno segnato “giù, su, su, giù, giù, giù, giù, su, …”. Solo allora noteranno la correlazione tra i dati e quindi tra gli elettroni.

In linguaggio fisico
I fisici esprimono questi concetti dicendo che l’entanglement, ossia la correlazione quantistica tra due eventi, viola la località: è possibile trovare o creare delle correlazioni tra eventi molto distanti, anche istantaneamente.
Però, non viene violata una legge ancora più importante, ossia la causalità: tra i due eventi, anche se correlati, non c’è alcun rapporto causa-effetto. Non c’è alcun segnale più veloce della luce. Non si può mandare alcun messaggio.

La completezza e le disuguaglianze di Bell
Direi che ci possiamo fermare qui, per oggi. C’è però un’altra grande questione che nasce dal paradosso EPR e che può interessare alcuni di voi: la Meccanica quantistica è una teoria completa? Ossia, è la natura ad avere un comportamento probabilistico oppure ci sfugge qualcosa ed esiste invece una teoria più completa, magari con delle variabili nascoste che non riusciamo a vedere? Sembra una domanda più filosofica che scientifica, ma in realtà è una domanda concettuale, perché riguarda l’interpretazione che diamo alle leggi matematiche usate per descrivere i fenomeni naturali.
La cosa interessante è che nel 1964 il fisico John Stewart Bell provò a rispondere a questa domanda in maniera scientifica: formulò delle disuguaglianze matematiche – le disuguaglianze di Bell – e propose un esperimento per verificarle. Se le disuguaglianze fossero state verificate dagli esperimenti, sarebbe stata una prova che la Meccanica quantistica non era completa. Altrimenti si sarebbe dovuto accettare che la natura si comporta in maniera probabilistica e che in natura possono esistere correlazioni a distanza, senza alcun rapporto di causa-effetto (come l’entanglement).
Tutti gli esperimenti fatti a partire dagli anni ’80 hanno mostrato una violazione delle disuguaglianze di Bell: si ritiene quindi che la Meccanica quantistica sia una teoria completa e che sia invece la natura ad avere un comportamento probabilistico.

Pillole
Alcune notizie di questi giorni, in breve.

Idrogeno metallico
Un gruppo di ricerca di Harvard sostiene di essere riuscito a produrre l’idrogeno metallico. L’idrogeno metallico  è il sogno di chi si occupa di fisica dello stato solido, perché, se potessimo utilizzarlo a temperatura ambiente, si comporterebbe come un superconduttore. Il problema però è fabbricarlo: l’idrogeno, a temperatura ambiente, si comporta solitamente come un gas. Se ciò che sostengono i ricercatori è vero, l’idrogeno metallico sarebbe prodotto in condizioni estreme di pressione e temperature, ma si troverebbe poi in uno stato metastabile, e sarebbe possibile utilizzarlo in condizioni meno estreme. Avevamo parlato dei superconduttori qui.

Osservata un’asimmetria tra materia e antimateria barionica
A LHCb, uno dei grandi esperimenti svolti al CERN di Ginevra, è stata misurata per la prima volta una asimmetria tra materia e antimateria barionica. I barioni sono una gruppo di particelle, tra i quali ci sono anche i neutroni e i protoni. Per ognuna di queste particelle esiste un’antiparticella. Da tempo si ritiene che la fisica delle particelle barioniche sia, sotto alcuni aspetti, diversa dalla fisica delle antiparticelle barioniche: questa differenza di comportamento viene chiamata appunto asimmetria. Maggiori info qui.

Super-Kamiokande
Non è una notizia, ma pazienza: qui trovate un gran bell’articolo sul rilevatore di neutrini Super-Kamiokande. L’anno scorso avevamo parlato di un altro rilevatore di neutrini: DUNE.

Un film su LIGO, ecco il trailer
Esce il 7 febbraio un film sulla rilevazione delle onde gravitazionali. Ecco il trailer.

La fisica di Ale
La striscia di oggi. I fumetti di Alessandro sono su Vuoto Comico.

[Credit: Il paradosso EPR, di Alessandro Toffali (Vuoto Comico), CC-BY-NC-ND 4.0]

Per approfondire
– L’articolo originale di Einstein, Podolsky e Rosen
– Dalla Meccanica quantistica alle disuguaglianze di Bell (video in italiano)

Gli orbitali atomici

Gli elettroni sono distribuiti attorno al nucleo degli atomi seguendo le leggi della Meccanica quantistica, in alcune aree chiamate orbitali atomici. È l’argomento di oggi.
Per il resto parleremo di una novità riguardante le onde gravitazionali, dei famosi punti luminosi di Ceres – il pianeta nano – e di altre notizie della settimana.

Di cosa parliamo oggi
– la funzione d’onda
– come è fatto un atomo?
– gli orbitali atomici
– pillole della settimana

La funzione d’onda
Parlando della Meccanica quantistica avevamo detto che non è possibile misurare contemporaneamente la posizione e la velocità delle particelle con precisione arbitraria. Meglio misuriamo la posizione di una particella, più incerta è la misura della sua velocità e viceversa. Non è un limite sperimentale, ma un confine dato alla nostra conoscenza dalla natura e viene chiamato principio di indeterminazione di Heisenberg (per chi si è perso e per chi non c’era, ne abbiamo parlato qui). Per questo in Meccanica quantistica viene usata una descrizione probabilistica dello stato fisico delle particelle: la funzione d’onda. La funzione d’onda ci dice qual è la probabilità di trovare una certa particella in un determinato stato fisico – ad esempio qual è la probabilità di trovarla in una certa posizione. Questa descrizione probabilistica del comportamento delle particelle ha avuto molto successo, anche se ci ha costretto a cambiare modo di pensare. Se mettiamo una pallina sul tavolo e usciamo dalla stanza, possiamo dire con certezza che la pallina è rimasta sul tavolo. Se poi la lanciamo per aria, possiamo calcolare il suo moto e predire con esattezza dove cadrà. Con le particelle non funziona così: non possiamo più dire, prima di effettuare una misura, dove è una particella, né possiamo sapere in anticipo quale sarà la sua traiettoria. Possiamo solo conoscere la probabilità di misurarla in un punto a una certa velocità.

Come è fatto un atomo?
La funzione d’onda è lo strumento giusto per studiare la struttura degli atomi. Prima però chiariamoci le idee: cos’è un atomo? Prima che fossero scoperte le particelle elementari si credeva che la materia fosse costituita da piccoli granelli chiamati atomi (àtomos = indivisibile). È effettivamente così. La materia è composta di atomi che differiscono tra loro per dimensione, forma e altre proprietà fisiche e che possono combinarsi per creare molecole e dunque diversi materiali. Però non sono veramente indivisibili, anzi. Un atomo è formato da tre tipi di particelle: protoni, neutroni e elettroni. I protoni hanno carica elettrica positiva, i neutroni non hanno carica elettrica e gli elettroni – che sono 1836 volte più leggeri dei protoni e molto più piccoli – hanno carica elettrica negativa. Agli inizi del Novecento i fisici credevano che i protoni (rossi, in figura) se ne stessero insieme ai neutroni (verdi) a formare il nucleo atomico – la parte centrale dell’atomo – e che gli elettroni (gialli) ruotassero intorno al nucleo un po’ come i pianeti ruotano attorno al Sole.

Atom

(Credit: Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0)

Questo schema non nasce a caso – la legge di Coulomb che regola l’attrazione tra cariche elettriche negative e positive è molto simile alla legge di gravitazione universale di Newton, che modella l’attrazione dei corpi celesti – e ha permesso di spiegare come è formata la materia.
Atomi con un numero equivalente di protoni, neutroni e elettroni sono atomi dello stesso elemento. Ad esempio gli atomi composti da 3 protoni, 4 neutroni e 3 elettroni sono atomi di litio, quella sostanza usata nelle batterie. Solitamente protoni e elettroni sono presenti nell’atomo in numero uguale e cambiando il numero di protoni, cambia l’elemento: l’idrogeno ha 1 protone, l’elio ne ha 2, con 8 si fa l’ossigeno, con 26 il ferro e così via. Cambiando il numero dei neutroni invece si formano i cosiddetti isotopi, ossia atomi dello stesso elemento ma con caratteristiche fisiche un po’ diverse. Per dire, il trizio è un isotopo dell’idrogeno che si ottiene aggiungendo due neutroni al nucleo dell’idrogeno. Ed è radioattivo.
Tuttavia i fisici hanno scoperto che gli atomi non possono essere fatti come un piccolo sistema solare – con il nucleo al centro e gli elettroni che orbitano intorno. Le leggi dell’elettromagnetismo di Maxwell infatti dicono che delle cariche elettriche che si muovono emettono energia sotto forma di onde elettromagnetiche. Gli elettroni quindi, ruotando come piccoli pianeti, dovrebbero emettere onde elettromagnetiche, perdere energia e, prima o poi, cadere sul nucleo atomico distruggendo l’atomo. Perché non accade?

Gli orbitali atomici
Non accade perché gli elettroni sono particelle che obbediscono alle leggi della Meccanica quantistica e non seguono una traiettoria come l’orbita circolare disegnata sopra. Se seguissero una traiettoria precisa, esisterebbe una formula matematica che predice dove si trova ogni elettrone e a che velocità sta viaggiando. Pensateci: studiando le orbite dei pianeti intorno al Sole, o dei satelliti attorno alla Terra, siamo in grado di calcolare dove si trovano e la loro velocità. Sappiamo però che, a causa del principio di indeterminazione di Heisenberg, non è possibile fare lo stesso per le particelle. L’idea stessa di orbita, quindi, non si può applicare al modello atomico: gli elettroni non seguono delle orbite ruotando attorno ai protoni e ai neutroni.
Eppure gli esperimenti hanno dimostrato che l’atomo è formato da due regioni, una più centrale e densa, fatta di protoni e neutroni, e una più esterna e diradata, in cui si trovano gli elettroni.

Per riuscire a descrivere questa struttura possiamo provare a studiare la funzione d’onda degli elettroni che si trovano attorno al nucleo, individuando quelle zone in cui è più probabile trovare gli elettroni, quando li cerchiamo. Le zone adiacenti al nucleo in cui è più probabile trovare gli elettroni sono chiamate orbitali atomici. Si chiamano così perché sostituiscono l’idea di orbita – non più utilizzabile.
L’orbitale dell’atomo più piccolo – l’idrogeno, che ha 1 protone, 1 elettrone e zero neutroni – è molto semplice: è una sfera che avvolge il nucleo atomico

orbitals

(Credit: Av haade – Own work, CC BY-SA 3.0)

e ci dice che in quella zona è c’è un alta probabilità di trovare l’elettrone dell’idrogeno. Per convenzione gli orbitali sono quelle aree in cui la probabilità di trovare l’elettrone è superiore al 95%. Significa quindi che l’elettrone potrebbe trovarsi anche fuori da quella zona, ma con una probabilità sempre più bassa man mano che ci si allontana.
L’idrogeno però ha una struttura molto semplice, perché ha un solo elettrone che ruota attorno a un protone.
Come si dispongono gli elettroni, quando sono più di uno?

Il principio di esclusione di Pauli
Le particelle, oltre ad avere una posizione, una velocità o una carica elettrica, possono avere anche altre proprietà fisiche. Una di queste è chiamata spin. Non ne parliamo oggi, perché è una cosa piuttosto complicata da spiegare, ma è importante citarlo perché anche gli elettroni hanno uno spin, che può assumere due valori: +1/2 o -1/2 (Non fate caso ai numeri o al loro significato). La cosa importante da sapere è che due elettroni con lo stesso spin non possono stare nello stesso orbitale. È una legge dettata dalla natura, conosciuta come principio di esclusione di Pauli: se in un orbitale c’è un elettrone con spin +1/2 e ce ne è un altro, quest’altro ha per forza spin -1/2. Quindi in un orbitale ci possono essere al massimo due elettroni.
Se attorno a un atomo ci sono più di due elettroni, questi si trovano per forza in orbitali diversi.
Esistono infatti molti tipi di orbitali, che vengono riempiti dagli elettroni seguendo un ordine particolare. I primi orbitali hanno queste forme strane.

orbitali

(Credit: Av haade – Own work, based on various sources, sketch NOT computer generated models, CC BY-SA 3.0)

Il primo orbitale a riempirsi è quello rosso, chiamato orbitale s, poi si riempiono gli orbitali gialli, detti p, poi quelli azzurri e così via. Per chi volesse approfondire la struttura atomica, gli orbitali e scoprire cosa sono i livelli energetici, lascio un link negli approfondimenti.

I legami chimici
Una cosa importante degli orbitali è che questi giocano un ruolo di primo piano nella formazione dei legami chimici tra gli atomi. Gli orbitali più esterni di due atomi, infatti, possono legarsi tra loro, mettendo in comune i loro elettroni. In questo caso nascono dei nuovi tipi di orbitali, chiamati orbitali molecolari. Non entriamo nel dettaglio. Chi è appassionato di chimica, trova un link negli approfondimenti.

Pillole della settimana
Alcune notizie di questi giorni, brevi.

Uno strano segnale forse proveniente dai buchi neri
Il 14 Settembre 2015, il Fermi Telescope della NASA ha misurato un lieve segnale proveniente dalla stessa regione di spazio da cui proveniva l’onda gravitazionale misurata da LIGO. Si tratta di un’emissione di raggi gamma ed è stata misurata meno di mezzo secondo dopo la rivelazione di LIGO. Potrebbe trattarsi di una coincidenza, anche se le probabilità che due segnali così importanti arrivino in un tempo così ravvicinato per puro caso è inferiore allo 0.2%. Nel breve video qui sotto è stata ricostruita la regione da cui provengono i due segnali. Questa misurazione potrebbe permetterci di capire meglio come funziona la fusione tra due buchi neri, ma soprattutto ci dimostra quanto è importante la triangolazione dei segnali. Per individuare l’esatta posizione di una sorgente di onde gravitazionali bisogna effettuare una triangolazione. Per fare una triangolazione servono tre “antenne”. Oggi ne abbiamo due – i due LIGO negli Stati Uniti. Quando anche Virgo, il rivelatore italiano, sarà attivo, sarà possibile localizzare nel giro di alcuni minuti l’origine delle onde gravitazionali e puntare tutti gli altri telescopi verso quel punto, per misurare altri tipi di radiazioni.


I punti luminosi di Ceres
La sonda Dawn, lanciata dalla NASA per raggiungere il pianeta nano Ceres e l’asteroide Vesta aveva individuato su Ceres dei punti molto luminosi, forse composti di ghiaccio esposto alla luce del sole. Non abbiamo ancora una risposta definitiva, ma nel frattempo abbiamo immagini di qualità sempre migliore, come questa immagine del cratere Haulani, ripreso da un’altitudine di 1470 km (i colori di questa foto non sono reali, ma evidenziano materiali di origine diversa. Si ingrandisce cliccando).

haulani

(Credit: Dawn/NASA)

Installato il modulo BEAM
Dopo essere stato lanciato con il Falcon 9, il modulo gonfiabile BEAM è stato installato con successo sulla Stazione Spaziale Internazionale. Il video dell’installazione si trova qui.

Analizzata della polvere interstellare
La sonda Cassini, realizzata dalla NASA con la collaborazione dell’Agenzia Spaziale Italiana, si trova in orbita intorno a Saturno. Cassini è dotata di uno strumento chiamato Cosmic Dust Analyzer, in grado di analizzare minuscoli granelli di polvere spaziale. Queste analisi hanno individuato per la prima volta delle polveri provenienti dall’esterno del Sistema Solare. Tutti i dettagli qui.

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Per approfondire
– Il modello atomico a orbitali, spiegato con qualche dettaglio in più
– Gli orbitali molecolari