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Wolfram vuole scoprire la teoria del tutto

Se avete usato il motore Wolframalpha o il programma Mathematica, dovete molto a Stephen Wolfram, fisico e matematico britannico fondatore di Wolfram Research.
Il contributo alla ricerca di Wolfram è enorme. Oltre alle sue pubblicazioni, i suoi progetti stanno aiutando migliaia di scienziati a svolgere il loro lavoro affrontando problemi sempre più complessi. Oggi Wolfram si è spinto oltre e ha presentato The Wolfram Physics Project, un progetto per scoprire la teoria fondamentale della fisica.

Come avevamo detto, la speranza che ogni fenomeno naturale sia spiegabile attraverso un’unica delle della natura, cardine di una teoria di tutte le cose è il motore che ha spinto la fisica teorica fino ad oggi.
Wolfram propone un approccio nuovo, ossia di simulare la creazione di un sistema complesso – un universo – partendo da alcuni punti dello spazio e stabilendo delle semplici regole per creare relazioni e per far nascere nuovi punti.

Un esempio di sistemi complessi che nascono da una semplice regola di combinazione tra punti [Credit: Stephen Wolfram Wolfram Physics Project]

L’idea è affascinante: poiché è possibile creare dei sistemi imprevedibili e complessi partendo da una semplice regola, forse, effettuando molte simulazioni potremo trovare una regola che spiega la complessità del nostro universo e la struttura dello spaziotempo.

Nel video di presentazione, Wolfram non esclude la possibilità che lo spaziotempo abbia più dimensioni delle quattro previste dalla Teoria della Relatività Generale e che la potenza dei computer sia sufficiente per simulare anche la dinamica delle particelle.

Il progetto si basa proprio sulle ricerche di Wolfram sugli automi cellulari e, nello spirito, ricorda ovviamente Il gioco della vita del matematico di John Conway, scomparso proprio qualche giorno fa.

La radiazione di Hawking e il quantum spin liquid

Perché Hawking è così famoso? Per la sua vita straordinaria, certo, ma anche per aver derivato uno dei più importanti risultati della fisica moderna: la radiazione di Hawking. C’entrano i buchi neri e la Meccanica quantistica.
Per chi volesse leggere le vecchie newsletter, le trova tutte sul mio sito o su medium. Space break ha anche una pagina facebook e un account twitter, dove pubblico di tanto in tanto curiosità e approfondimenti.

Di cosa parliamo oggi
– chi è Stephen Hawking
– la radiazione di Hawking
– pillole della settimana

Chi è Stephen Hawking
Stephen Hawking è un fisico britannico. Nato nel 1942, da quando ha 21 anni è affetto da SLA, una malattia neurodegenerativa. A Hawking vennero dati due anni di vita. La vita media di una persona affetta da SLA è tra i due e i cinque anni e meno del 5% dei malati sopravvive per più vent’anni. Hawking oggi ha 74 anni ed è sopravvissuto per così a lungo che la sua malattia sembra essersi stabilizzata. Pur non riuscendo a muovere il suo corpo atrofizzato e dovendo comunicare attraverso un sintetizzatore vocale, ha una mente ancora particolarmente brillante. Discute di scienza e religione e continua a fare divulgazione scientifica e ricerca di buona qualità. Il suoi risultati più importanti sono stati raggiunti negli anni ’70. Nel 1971 ha contribuito a dimostrare il cosiddetto “No-hair theorem”, un teorema matematico che riguarda i buchi neri e le loro proprietà fisiche. Nel 1974 ha teorizzato l’esistenza di una radiazione termica proveniente dai buchi neri: la radiazione di Hawking. Ne parliamo oggi.

I buchi neri, in tre righe
I buchi neri sono oggetti celesti con una grande massa che riescono ad attirare ed intrappolare ogni cosa, compresa la radiazione elettromagnetica. Insomma, mangiano tutto. Siccome anche la luce non riesce a uscire, non li vediamo brillare. Sono neri, appunto.

La radiazione di Hawking
Nonostante dal punto di vista classico, ossia secondo la Teoria della Relatività Generale, nulla può uscire da un buco nero, Hawking ha dimostrato che gli effetti quantistici permettono ai buchi neri di emettere una radiazione. In sostanza si tratta di una radiazione termica che si comporta come se fosse emessa da un corpo nero a una certa temperatura.

Cos’è un corpo nero
Un corpo nero in fisica è quello che dice di essere: un corpo completamente nero che assorbe tutta la radiazione elettromagnetica che lo colpisce, senza rifletterla. Riesce però a emettere una radiazione termica, che dipende dalla sua temperatura. Un corpo nero è considerato solitamente un oggetto ideale, perché ci si aspetta che un qualsiasi materiale rifletta un po’ di luce, ma è un utile modello che viene spesso usato quando si studiano i fenomeni elettromagnetici.

Che c’entra con i buchi neri
Ecco, Hawking ha dimostrato che i buchi neri, che non sono un materiale ma degli oggetti celesti, si comportano come un corpo nero: nonostante “mangino tutto”, compresa la radiazione elettromagnetica, riescono a emettere una radiazione termica, come se questa fosse emessa da un corpo nero ad una certa temperatura. In questo caso la temperatura dipende dalla massa del buco nero.
Questa radiazione emessa è chiamata a volte evaporazione, perché fa perdere energia al buco nero e dunque gli fa perdere massa. Perciò se il buco nero non mangiasse nulla per molto tempo, continuerebbe a “evaporare”, rimpicciolendosi fino a scomparire.

Come si arriva a questo risultato
La dimostrazione dell’esistenza di questa radiazione fa uso dei principi della Meccanica quantistica, applicati nell’ambito della Teoria della Relatività. Abbiamo detto più volte che Meccanica quantistica e Relatività non vanno molto d’accordo: dove funziona una teoria, fallisce l’altra e viceversa. Tuttavia negli anni si sono trovati dei modi per utilizzarle insieme. Esiste una teoria che permette di unificare la Meccanica quantistica con la Relatività Speciale. Questa teoria, chiamata Teoria quantistica dei campi (Quantum field theory) è molto complicata, ma ha permesso di ricavare il Modello Standard delle particelle elementari. Insomma, è la Teoria che ha reso possibile l’esperimento del CERN e tutte le scoperte fisiche degli ultimi sessant’anni. La Teoria dei campi funziona però solo con la Relatività Speciale, non con la Relatività Generale, ossia funziona quando si trascurano gli effetti della gravità. Questo significa che non abbiamo ancora una teoria fisica in grado di descrivere tutti i fenomeni quantistici e la gravità. In particolare non siamo in grado di descrivere il comportamento quantistico della gravità stessa. Se si trovasse una teoria di questo tipo, sarebbe quella che i fisici chiamano La teoria del tutto, perché sarebbe in grado di spiegare tutti i fenomeni naturali in modo coerente.
Nonostante non siamo in grado di spiegare a fondo il comportamento quantistico della forza di gravità, è possibile però applicare la Teoria dei campi anche in presenza di gravità. È la cosiddetta Teoria dei campi in spaziotempo curvo. Non è una teoria completa, perché la gravità fa in qualche modo da spettatore ai processi fisici in gioco, ma ci permette di studiare alcuni fenomeni quantistici anche quando c’è la gravità – anche vicino a un buco nero, ad esempio.

Le particelle virtuali e la radiazione di Hawking
Molto spesso per spiegare la radiazione di Hawking viene utilizzato il concetto di particella virtuale. Le particelle virtuali sono in generale particelle che violano alcuni principi fisici, come il principio di conservazione o il principio di causalità. Per questo non sono considerate particelle vere e proprie. Si usano perché saltano fuori nella Teoria dei campi quando si fanno alcuni conti, ma la loro esistenza in natura è una questione più filosofica che scientifica.
Comunque sia, spesso la radiazione di Hawking viene spiegata utilizzando le particelle virtuali. Vicino al buco nero si formano e si distruggono continuamente delle coppie di particelle virtuali con energia nulla. A volte però queste coppie di particelle si dividono: una particella cade nel buco nero e una fugge da esso. Delle due, la seconda, allontanandosi dal buco nero, diventa reale ed in teoria è possibile misurarla: è quella che crea la radiazione di Hawking. La prima invece cade nel buco nero e non la vediamo più. Siccome poi la coppia aveva energia totale nulla e la particella uscente ha energia positiva, per la conservazione dell’energia si dice che le particelle virtuali cadute nel buco nero hanno energia negativa e sono quindi loro che fanno diminuire l’energia – ossia la massa – del buco nero, facendolo rimpicciolire.
Tuttavia questa descrizione, anche se evocativa e in un certo senso intuitiva, è sbagliata: in Teoria dei campi in spaziotempo curvo, ossia quando anche la gravità è in gioco, non è possibile definire chiaramente cosa sia una particella. La definizione di particella è chiara quando la gravità è spenta, ma quando la gravità è accesa perde di significato. Hawking stesso non utilizza le particelle virtuali negli articoli tecnici. Insomma, è possibile ottenere i risultati sulla radiazione di Hawking in maniera rigorosa senza utilizzare il concetto di particella virtuale, che è solo un espediente divulgativo.

La radiazione di Hawking è stata misurata?
No, e per un motivo molto semplice: i buchi neri sono difficili da trovare e sono molto distanti da noi. Non abbiamo ancora la tecnologia per avvicinarci a un buco nero e misurare la radiazione di Hawking. Tuttavia è possibile fare degli esperimenti in laboratorio per simulare il comportamento di un buco nero utilizzando fluidi o fibre ottiche. In questi esperimenti sono stati osservati dei comportamenti compatibili con la radiazione di Hawking.

Pillole della settimana
Alcune notizie di questi giorni, brevi.

Scoperto un nuovo stato della materia
I fisici hanno osservato, in un materiale di Cloruro di rutenio, un nuovo stato della materia che era stato previsto una quarantina di anni fa, chiamato quantum spin liquid. Si tratta di un liquido fatto di elettroni a temperature prossime allo zero assoluto (-273 °C). Solitamente a temperature così basse gli elettroni tendono ad allinearsi in maniera particolare. In questo caso invece non lo fanno. Questo nuovo stato della materia potrebbe servire in futuro per sviluppare i computer quantistici, ma è troppo presto per dirlo con certezza. Trovate tutto qui.

Nuovo test per New Shepard, il lanciatore di Blue Origin
Terzo test per Blue Origin, la compagnia di Jeff Bezof che sta sviluppando dei lanciatori per il turismo spaziale. New Shepard è salito fino a 103 Km di quota, per poi riatterrare verticalmente a terra. Guardate il video perché è fantascienza: New Shepard ha riattivato i motori a 1 Km da terra, decelerando paurosamente.

Le scoperte di NEOWISE
La missione NEOWISE (Near-Earth Object Wide-field Survey Explorer) della NASA per la ricerca di asteroidi vicini alla terra ha rilasciato nuovi dati. Dalla sua riattivazione NEOWISE ha scoperto 250 nuovi oggetti, di cui 72 vicini alla terra, e 4 nuove comete. I dettagli e un video di spiegazione sono qui.

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Per approfondire
– la radiazione di Hawking, spiegata in termini di particelle virtuali
– perché non abbiamo una foto di un buco nero (video in inglese)
– il paradosso dell’informazione dei buchi neri

La scoperta delle onde gravitazionali

Settimana pazzesca per la fisica. Con una conferenza stampa è stato annunciato che l’esperimento LIGO ha rilevato per la prima volta le onde gravitazionali. Ne parliamo oggi. La newsletter è lunga, ma ne vale la pena. Può essere utile dare una letta alla scorsa newsletter sui buchi neri, per chi non l’avesse fatto.
Durante la conferenza stampa ho fatto un livetweet. Lo trovate qui.
Ricordo che le newsletter sono pubblicate online con qualche giorno di ritardo.
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Di cosa parliamo oggi
– cosa sono le onde gravitazionali
– come rilevare le onde gravitazionali
– la dimensione di quello che è accaduto
– pillole della settimana

Riassunto delle puntate precedenti
L’universo in cui viviamo, secondo la Teoria della Relatività, “poggia” su una struttura geometrica intangibile chiamata spaziotempo. Possiamo immaginare questa struttura come un lenzuolo steso. La presenza di stelle, pianeti o di altri oggetti dotati di massa sopra il lenzuolo ne modifica la forma, creando delle conche. Questo effetto di deformazione, chiamato curvatura, è il modo in cui la Relatività descrive la gravità: se si finisce nella conca di un altro corpo, ci si cade addosso. La presenza di masse, quindi, modifica lo spaziotempo, ossia deforma sia il tempo che lo spazio. Nella nostra vita non ci accorgiamo di queste deformazioni perché anche noi veniamo deformati insieme allo spaziotempo e tutto ci sembra normale.

Cosa sono le onde gravitazionali
Oltre a questo, la Relatività predice che delle masse in accelerazione, ad esempio due masse che ruotano l’una attorno all’altra, producano, oltre alle loro conche, delle increspature dello spaziotempo che si propagano nel lenzuolo. L’idea è simile a quella di una barca che muovendosi sull’acqua produce delle onde. L’unica importante differenza è che non è sufficiente che le masse si muovano come la barca, ma devono proprio accelerare (modificando il loro momento di quadrupolo, per chi sa cos’è).
Le onde gravitazionali si propagano deformando lo spaziotempo in senso radiale, come in questa animazione.

SoylentGreen – Opera propria, CC BY-SA 3.0 [link]

 

Dato che le onde deformano lo spaziotempo, significa che al loro passaggio deformano il tempo e lo spazio. Ed è proprio questa deformazione che può essere misurata per individuarle.

Come rilevare le onde gravitazionali
Per rilevare le onde gravitazionali è sufficiente misurare la deformazione dello spazio, ossia la deformazione delle distanze al passaggio dell’onda e confrontare questa deformazione con quello che ci si aspetta. Semplice, no? No.
Le onde gravitazionali sono segnali così deboli che deformano le distanze per meno di 1 miliardesimo di miliardesimo di metro. Bisogna quindi essere in grado di costruire un apparato estremamente sensibile e, soprattutto, isolato da altri disturbi elettromagnetici, termici, acustici o sismici, che sono ben più intensi. Serve poi uno strumento di misura che non si deformi insieme allo spazio quando passa l’onda, altrimenti sarebbe impossibile misurare la deformazione. Fortunatamente ne abbiamo uno: la velocità della luce è una costante universale e possiamo quindi usarla come “righello” per vedere se lo spazio si deforma oppure no. Ora vediamo come.

Advanced LIGO in Washington (Credit: MIT/CalTech LIGO)

LIGO è un’enorme antenna
Advanced LIGO è un apparato costruito per misurare le deformazioni dello spazio e captare quindi le onde gravitazionali. Si può dire che, essenzialmente, è un’enorme antenna: utilizzando dei principi fisici, riceve dei segnali. Ci sono due Advanced LIGO, uno in Louisiana e uno nello stato di Washington, a tremila chilometri di distanza.
Nella pratica LIGO è un interferometro di Michelson, simile a quello usato da Michelson e Morley nel 1887, ma molto più grande e ovviamente più complesso.
Funziona così: un raggio laser viene sparato contro uno splitter, quello rosso nell’immagine qui sotto. Uno splitter è un dispositivo ottico in grado di dividere il raggio in due fasci perpendicolari. Dallo splitter i due fasci percorrono due bracci lunghi quattro chilometri. Al termine di ogni braccio si trovano degli specchi – quelli verdi – che riflettono i fasci all’indietro. Ad un certo punto i due fasci laser si reincrociano nello splitter, si riuniscono in un unico fascio e vengono indirizzati verso un rilevatore – quello nero.

Credit: B. P. Abbott et al. Phys. Rev. Lett. 116, 061102 – Published 11 February 2016 DOI CC BY 3.0

Inizialmente il raggio laser è unico. Dallo splitter in poi, però, i due fasci viaggiano lungo percorsi diversi, perpendicolari tra loro. I percorsi sono tuttavia lunghi uguali e quando i due fasci si riuniscono, ricreano il raggio originale. Quando però uno dei due bracci è un po’ più lungo dell’altro, i fasci non ricreano il raggio originale, ma formano una figura di interferenza, che si nota quando due segnali sono sfasati tra loro o sono diversi e quindi si disturbano a vicenda. L’interferenza è un fenomeno che conosciamo tutti: è il cellulare che gratta le casse audio quando riceviamo un sms, un fulmine che altera il segnale tv, due onde nel mare che si incrociano.

interfrenza

La cosa interessante è che studiando le figure di interferenza possiamo ricostruire il segnale che le ha generate.

Cosa succede quando arriva un’onda gravitazionale
All’arrivo di un’onda gravitazionale lo spaziotempo si deforma e le distanze tra gli specchi – quelli verdi – cambiano. I due bracci quindi si accorciano o si allungano in base a come è fatta l’onda. Noi non ci accorgiamo di questa deformazione dello spazio perché anche noi siamo “immersi” nello spaziotempo: è la nostra realtà a deformarsi. Tuttavia il raggio laser viaggia alla velocità della luce, che è una costante universale. Se al passaggio di un’onda gravitazionale uno dei due bracci si allunga, allora il fascio che sta viaggiando in quel braccio deve fare più strada dell’altro. Quando i due fasci si ricongiungono hanno quindi percorso distanze diverse e creano una figura di interferenza.

Cosa ha visto LIGO 
LIGO ad un certo punto ha visto una figura di interferenza. Studiandola, gli scienziati hanno ricreato la forma dell’onda che l’ha generata. Eccola.

Credit: P. Abbott et al. Phys. Rev. Lett. 116, 061102 – Published 11 February 2016 DOI CC BY 3.0

Questa è l’onda gravitazionale che è stata misurata. È durata circa due decimi di secondo e ha deformato i bracci di LIGO – che sono lunghi 4 Km – solo di un millesimo di miliardesimo di miliardesimo di metro.

Cosa ci dice questo segnale (tanto)
Il segnale, come si vede anche a occhio, aumenta nel tempo sia l’ampiezza che la frequenza di oscillazione, per poi decadere bruscamente alla fine. La spiegazione più probabile per un segnale di questo tipo è che sia stato generato da due masse in collisione e in rotazione a circa 150 mila Km orari al secondo. Attraverso dei calcoli è stato stimato che la collisione sia avvenuta 1,3 miliardi di anni fa a più di 12 mila miliardi di miliardi di chilometri da noi, che la somma delle due masse coinvolte sia circa 70 masse solari (70 volte la massa del Sole) e che le due masse dovessero essere molto compatte e vicine, a circa 350 Km l’una dall’altra. Gli unici oggetti celesti previsti dalle nostre teorie che possono avere così tanta massa, ma ruotare così vicini sono due buchi neri. Inoltre, il decadimento così brusco dell’onda verso la fine del segnale è compatibile con la rapida formazione di un unico buco nero una volta che i due si sono scontrati. Ulteriori analisi hanno stabilito che le masse dei due buchi neri fossero rispettivamente 36 e 29 masse solari. La massa del buco nero in cui si sono fusi è 62 masse solari.
Notate: 36+29= 65, non 62. Dove sono finite le 3 masse solari mancanti? La massa che manca si è trasformata in energia, sotto forma di onde gravitazionali. Il processo però è stato così rapido (meno di due decimi di secondo) che la potenza emessa è pari alla maggiore della potenza di tutte le stelle visibili nell’universo.
Come se tutto ciò non bastasse, questa rilevazione è anche la prima prova diretta dell’esistenza di sistemi binari di buchi neri.

È valido il risultato?
Rilevare un segnale così debole è tecnicamente molto difficile. È stato fatto un enorme lavoro per amplificare il segnale e sopprimere i disturbi. Il raggio laser viene potenziato con alcuni stratagemmi da una potenza di 20 Watt a 100 mila Watt, gli specchi sono isolati dal rumore sismico e sono costruiti con materiali particolari per diminuire le oscillazioni termiche e tutti i componenti sono montati su impalcature in ultravuoto per isolarli dalle vibrazioni. Ma nonostante tutti gli accorgimenti, potremmo chiederci: è valido il risultato?
Siamo piuttosto certi che lo sia. Innanzitutto il segnale è stato rilevato da entrambi i LIGO, a pochi millisecondi di distanza, come se l’onda fosse arrivata prima in Washington e poi in Louisiana e il ritardo di misura è compatibile con la propagazione di un’onda gravitazionale. Il segnale, poi, è così forte che è stato rilevato già sui dati in tempo reale, ossia attraverso le analisi preliminari, che sono meno approfondite di quelle fatte a posteriori ed ha una confidenza maggiore di 5 sigma, che è un modo statistico per dire che, per carità, potrebbe essere un falso allarme, ma un falso allarme come questo accade una volta ogni 203 mila anni.
Inoltre il segnale è arrivato il 14 Settembre scorso. Da allora fino ad oggi gli scienziati che collaborano al progetto hanno controllato i dati e testato la risposta dell’antenna ai disturbi esterni. La procedura è così serrata che nella collaborazione esistono alcune persone che possono inserire all’insaputa di tutti gli altri dei falsi segnali. È accaduto in passato: erano tutti pronti alla conferenza stampa, ma si trattava di un’esercitazione. Per questo i membri del progetto devono rispettare un vincolo di segretezza. Inoltre è bene sapere che alla collaborazione LIGO partecipano più di mille ricercatori divisi in quattro continenti. Questo significa che il risultato è già stato abbondantemente sottoposto al processo di revisione scientifica – chiamato peer review – ancor prima della pubblicazione.

Gli amici di LIGO 
I due Advanced LIGO non sono gli unici rilevatori di onde gravitazionali. Ne esistono altri: GEO600 e VIRGO ad esempio. VIRGO si trova Pisa, ha caratteristiche simili a LIGO e dovrebbe essere presto attivato dopo alcuni miglioramenti, mentre GEO600 non è ancora abbastanza sensibile per rilevare eventi di questo tipo.
eLISA è invece un rilevatore spaziale che verrà lanciato in orbita nel 2034. Oggi in orbita c’è Lisa Pathfinder, una missione test per collaudare le tecnologie necessarie a eLISA.
Tutti questi rilevatori stanno creando poco a poco una rete online, in modo da poter analizzare insieme i dati rilevati.

La dimensione di quello che è accaduto
Si tratta di una scoperta epocale. Le onde gravitazionali sono state teorizzate da Einstein 100 anni fa. Per trovarle sono serviti anni di ricerca, mille scienziati, 103 istituti coinvolti e milioni di finanziamenti. Uno sforzo scientifico e tecnologico impressionante. Chicca: la prima validazione del segnale come probabile onda gravitazionale è stata fatta dall’Università di Trento in collaborazione con l’Albert Einstein Institute di Hannover. Trovate qualche dettaglio negli approfondimenti.

Pillole della settimana
Alcune notizie di questi giorni, brevi.

Lisa Pathfinder ha liberato le masse di prova
Lisa Pathfinder è una missione spaziale per testare le tecnologie necessarie per l’esperimento eLISA, un rilevatore di onde gravitazionali simile a LIGO e VIRGO, ma con caratteristiche diverse e che verrà posizionato nello spazio e non sulla Terra. Lisa Pathfinder ha raggiunto la sua destinazione, un punto del sistema solare chiamato L1, e questa settimana ha rilasciato le masse di prova, che durante il lancio erano state fissate con dei fermi. Le masse di prova sono dei cubi di oro platino di 4.5 cm e hanno lo stesso ruolo degli specchi nell’esperimento LIGO. Tra una ventina di giorni potranno cominciare i test scientifici.

Ciao ciao, Philae
Philae, il lander che si trova sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko e che era finito in una zona d’ombra, ricoperto di polveri, non si sveglierà più. I tentativi di rianimarlo sono falliti, ha le pile scariche e non c’è più niente da fare. Ci lascia comunque un po’ di dati da analizzare.

Astrosamantha, al cinema
L’1 e il 2 marzo (e solo in quei giorni) sarà al cinema il film sugli scorsi tre anni di vita dell’astronauta Samantha Cristoforetti, la prima donna italiana nello spazio. Potete prenotare il biglietto online. Qui il sito del docufilm, qui il trailer. Consiglio: andateci.

Per approfondire
– Il ruolo dei ricercatori italiani nella scoperta
– La storia dei rilevatori di onde gravitazionali, di Licia Troisi
– La conversione in onde sonore del segnale rilevato da LIGO
– La conferenza stampa di Giovedì scorso, su youtube (inglese)
– Un video di Scientific American su come funziona LIGO (inglese)
– Un video dell’Istituto italiano di Astrofisica (INAF)
– Marco Drago, l’italiano che per primo ha visto il segnale, qui in italiano, qui in inglese
– L’articolo scientifico sulla scoperta, pubblicato su Physical Review Letters
– La scoperta, raccontata come una storia di Paolo Calisse

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